Dino Massignani, Direttore dell’Azienda Agricola Faunistica Riserva San Massimo, un perfetto ecosistema con una vasta superficie boschiva naturale, tra fauna, rogge, paludi, campi agricoli, risaie e alberi da frutta. Un’area del Parco Lombardo della Valle del Ticino che nel 2004 è stata riconosciuta Sito di Interesse Comunitario. Una Riserva di protezione speciale per la salvaguardia di diverse specie animali e vegetali protette dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura delle specie minacciate.
E’ questo l’ambiente in cui nasce il riso della Riserva San Massimo. Ben 800 ettari di proprietà (e quasi altrettanto in affitto) in cui vengono utilizzate antiche procedure nel rispetto della struttura del terreno e dell’habitat naturale. Per tutto ciò è fondamentale che la mano dell’uomo intervenga in modo saggio e sapiente. L’esperienza è fondamentale, soprattutto in un momento come questo in cui le condizioni climatiche sono particolarmente mutevoli.
Una vita dedicata all’agricoltura che richiede dedizione, amore e rispetto per la natura. Nato da una famiglia di agricoltori, non poteva avere altro destino. Ho deciso di visitare questa realtà produttiva dopo aver visto alcune immagini della Riserva, ma soprattutto dopo una recente chiacchierata con Dino a proposito di ‘fanghi’. Esattamente così, fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura. Una questione di riciclo a mio parere poco chiara. A dirla tutta, dopo averlo ascoltato, ho capito che di chiarezza ce né ben poca in molte cose, anche nella produzione del riso.
Ma ora a lui la parola.
D) Dino, iniziamo ad approfondire la questione dei fanghi di depurazione. Io stessa non ne ero a conoscenza prima che tu me ne parlassi. Mi spieghi meglio l’origine di questa massa riciclata in agricoltura, ma soprattutto, viene analizzata prima di essere distribuita sui terreni?
R) Fanghi di depurazione… bel problema. In Italia il nostro parlamento ha legiferato che la massa solida creata dalla lavorazione delle acque degli impianti di depurazione, sia civile che industriale, si possa distribuire (previa lavorazione e miscela) nei campi agricoli.
Il problema è che chi ne ha fatto uso (stupidamente), si è trovato solo un inquinamento del terreno, soprattutto di metalli pesanti. La legge prevede che il controllore di questo spandimento sia la medesima azienda che paga l’agricoltore per poter distribuire queste sostanze sui suoi terreni. L’unico obbligo è quello di consegnare le analisi di ogni campo fatte prima e post spandimento.
Puoi capire facilmente che fare il controllore di se stesso è da mondo delle favole. Ti pare che le società se trovano indici di inquinamento nel terreno si autodenuncino? Ti dico solo che in alcuni anni i cereali seminati non sono neanche cresciuti, oppure durante il ciclo vegetativo le piante si ammalavano a tal punto che l’agricoltore doveva intervenire triplicando i trattamenti (chimici) per salvare parte del raccolto.
D) Come ho già scritto, dopo averti ascoltato, ho capito che di chiarezza anche nella produzione del riso ce né ben poca. Questo spiegherebbe facilmente le differenze nei costi finali del riso che purtroppo il consumatore non riesce a percepire. Sbaglio?
R) Esatto, il mondo del riso è molto nebuloso, e molti ne beneficiano, anche i più impensabili. Basti pensare che non c’è obbligo di tracciabilità del prodotto. Pensa che da qualsiasi parte del mondo arrivi l’azienda intestataria del confezionamento, non è obbligata a menzionare la provenienza.
Non ci sono controlli sui valori dei fitosanitari (questo avviene anche sui cereali usati per la pasta), ed è ancora concessa l’essiccazione a gasolio nonostante rilasci una quantità di metalli pesanti sul chicco. Chiaramente viene privilegiata dalle aziende per gli sgravi fiscali che ne derivano rispetto al prezzo intero che pagano per la fornitura del gas.
La beffa più grande per il consumatore poi, è relativa alla denominazione di vendita siglata sulla scatola. Va chiarito che non è riferita alla varietà confezionata. Mi spiego meglio: ogni denominazione di vendita siglata sulla scatola non garantisce la varietà al suo interno, perché un decreto legge permette di inscatolare altre varietà e spacciarle come tali. Un decreto legge che avvantaggia solo i furbi che vogliono tenere all’oscuro il consumatore.
D) Mi piace andare all’origine di ogni cosa, mi serve per capire. La stessa cosa vale per le produzioni. Tutto nasce dal seme. Mi hai detto che il vostro è certificato. Che cosa garantisce questa certificazione?
R) Per poter vendere una varietà di riso ogni azienda, ad inizio stagione, deve dichiarare all’ENTE RISI le superfici seminate con la specifica della varietà. Questo serve solo per far sapere alle riserie, che venderanno il riso, quanta disponibilità c’è nell’arco dell’anno di quella determinata varietà.Ma soprattutto serve per la volontà, che si prefiggono da anni, di uniformare il cereale riso (hanno molta voce in capitolo all’interno dell’ ENTE RISI).
Noi, proprio per tutelarci, ci autoriproduciamo il seme del Carnaroli Autentico che anni fa acquistammo da un anziano agricoltore e che ci viene certificato dall’E.N.S.E. (Ente Naz. Le Sementi Elette) che ne garantisce l’autenticità.
D) Ora parliamo di essiccazione del riso. Molti non sanno che può avvenire con l’ausilio di impianti a gas metano (il sistema usato da voi) o a gasolio. Certo, comporta una differenza sui costi finali, ma anche sul chicco e sulla nostra salute. Dico bene?
R) Certo, in agricoltura ci sono delle agevolazioni sull’acquisto del gasolio per l’uso dei mezzi agricoli, e in azienda quando è utilizzato per l’essicazione dei cereali. Purtroppo il gasolio rilascia paraffine e PM 10 (Materia Particolata, cioè in piccole particelle) quindi non è per nulla salutare usarlo per essiccare il riso.
Mi spiego. L’aria riscaldata dal bruciatore va a contatto con i chicchi penetrandoli. Il processo di essicazione avviene per ridurre la percentuale di umidità degli stessi, che per legge deve essere del 11-12 % con sbalzo termico. E’ per offrire una qualità del prodotto di gran lunga superiore che abbiamo deciso di utilizzare esclusivamente l’essiccamento con il gas, nonostante il suo costo sia a prezzo pieno senza agevolazioni.
D) Gli italiani conoscono per lo più il riso Carnaroli, la varietà ideale per i risotti. In realtà ce ne sono molte altre. Ad esempio la varietà antica di riso ‘Rosa Marchetti’ di tua produzione, ideale per le minestre. Come mai ci sono pochi coltivatori che ci si dedicano?
R) Il ‘Rosa Marchetti’ è una varietà antica abbandonata dagli agricoltori in quanto raggiunta la maturazione, si alletta (intreccia) facilmente. Quest’anno stiamo sperimentando una concimazione con la decomposizione organica delle erbe, escludendo totalmente l’uso di prodotti chimici. Sicuramente produrremo 1/5 di quello che producono le altre aziende, ma sarà un Rosa Marchetti unico per sanità e bontà.
D) Passeggiando ho visto tantissime instancabili lavoratrici operose: le api. Mi parli del miele di tua produzione?
R) La Riserva San Massimo è una realtà ambientale unica per la sua biodiversità che noi garantiamo giornalmente attivandoci per tutelarla. Questo ha fatto si che negli ultimi anni sia diventata meta, oltre che di visitatori e professori di Università, di apicultori che vivono problemi di sopravvivenza delle api locate in altri luoghi. Per questo motivo abbiamo deciso di cercare persone serie che abbiano la nostra stessa filosofia sul rispetto per le forme viventi, per produrre del miele.
La scelta è ricaduta sulle dottoresse Marianna Paulis e Tui Anna Neri, le quali da subito hanno spostato tutte le loro arnie a San Massimo, intraprendendo un lavoro scrupoloso e di qualità, ed escludendo ogni trattamento chimico sulle api (questo non è scontato, anzi…)
Alimentando le api a miele, e non con panetti con prodotti chimici o con acqua e zucchero, ha portato nel tempo oltre che ad avere un prodotto naturale al 100 %, una risposta positiva della forza lavorativa delle api che ha sorpreso anche loro. Qualsiasi essere vivente che viva e si alimenta in un luogo sano, può solo stare bene.
La produzione del miele di acacia, vista la pioggia, si è un po’ ridotta, ma comunque rimane di altissima qualità. Sicuramente non sarà sufficiente per la richiesta. La certezza è che accettiamo questi rischi perché vendiamo solo il nostro prodotto (non ne compriamo sicuramente da altri, per rivenderli come nostri).
D) Un’ultima domanda. C’è un sottoprodotto (così lo chiamano i più anche se per me non lo è affatto), che mi piace molto perché ricco di sostanze nutritive. Amando molto la medicina naturale e pochissimo i farmaci (ove non necessario) è presto spiegato il motivo. Un ottimo integratore naturale dal sapore di nocciola. C’è chi lo chiama farinaccio e chi gemma di riso. Tu come lo chiami, e soprattutto, lo utilizzi?
R) Sì Cinzia, in gergo tecnico da riseria prende il nome di farinaccio. C’è chi lo spaccia per gemma di riso, anche se solo parzialmente può vantare questa definizione. Infatti una parte è composta dal 1° e 2° pericarpo, cioè la pellicola che ricopre il riso bianco, da non confondere con la lolla, che è la buccia esterna del riso.
Il farinaccio è molto nutriente e sano (ovviamente dipende sempre da chi produce il riso, se non trattato chimicamente, e come viene essiccato). Attenzione alla parola ‘sano’ ormai sulla bocca di tutti. Questa definizione va garantita da analisi. Per rispondere alla tua domanda sull’uso che ne facciamo, ti dico solo che negli ultimi tempi lo abbiamo inviato ad alcuni chef indirizzandoli sulle modalità di utilizzo. Abbiamo altre idee a proposito, che però è ancora presto per rivelare…
Queste sono le risposte di un produttore che ringrazio per avermi aiutato a capire che anche nel mondo del riso serve maggiore tutela a garanzia di un prodotto che spesso ha poco a che fare con il vero made in Italy.Chi vuole essere consumatore consapevole e informato ha gli strumenti per farlo.
Azienda Agricola San Massimo
Loc. Cascina San Massimo
27027 Gropello Cairoli (PV)
Ringraziamo Dino Massignani per le splendide foto forniteci (N.d.R)