La pastiera napoletana è uno di quei dolci pasquali che sulle tavole dei campani non può mancare. È un dolce dalle origini molto antiche: una delle ipotesi più accreditate ne colloca la nascita in un convento di Suore benedettine a San Gregorio Armeno, cuore pulsante partenopeo. Da allora, di generazione in generazione si può dire che ogni cuoca si sia fatta custode di questo dolce tradizionale, non semplicissimo nell’esecuzione ma che racconta i prodotti tipici di questa terra.
Ogni ricetta diventa memoria storica, ogni preparazione è ricca di significato e valenze culturali. La pastiera non è il semplice dolce da preparare per la ricorrenza pasquale: porta con sé memorie, valori simbolici e tradizioni che vanno oltre.
La scrittrice napoletana Loredana Limone ha raccolto un aneddoto molto antico e importante sul valore antropologico della pastiera, riportando quell’antica leggenda che narra della sirena Partenope che inondava con le sue melodie il golfo di Napoli; ellaricevette in dono dalla gente che la ringraziava per il suo canto, la farina (simbolo di ricchezza), la ricotta (omaggio dei pastori), e uova (di fertilità), il grano cotto nel latte, i fiori d’arancio (profumo mediterraneo campano), le spezie e lo zucchero (simbolo di dolcezza come dolce era il suo canto). Partenope mescolò tutti gli ingredienti, ricchezza del territorio vesuviano, e ottenne quella meraviglia che oggi appare ancora sulle nostre tavole e soddisfa i nostri palati.
Un altro aneddoto vuole che il re Ferdinando II di Borbone riuscisse a far sorridere sua moglie Maria Carolina d’Austria (soprannominata “la regina che non sorride mai”) facendole servire della pastiera.
La tradizione vuole che la preparazione della pastiera inizi il Giovedì Santo perché è uno di quei dolci che “più sta e più s’insaporisce”.
La preparazione è abbastanza laboriosa ma mentre un tempo si acquistava il grano sfuso e si metteva a cuocere nel latte, oggi si vende – in lattine o barattoli di vero, il grano già cotto e pronto all’uso.
Importante è anche la scelta della ricotta. L’ideale sarebbe avere ricotta contadina, fresca, lavorata in giornata e tipica della tradizione rurale campana. Qui le scuole di pensiero variano: c’è chi per la farcitura preferisce la ricotta di mucca più leggera e dal sapore delicato, chi la ricotta di pecora, dal sapore più intenso, cremoso e robusto.
Io preferisco aggiungere che “tra i due litiganti il terzo gode”: la ricotta di bufala, simbolo del patrimonio lattiero-caseario campano che dal 2010 ha anche ottenuto un riconoscimento DOP.
Ho sempre visto preparare la regina dei dolci da mia madre: la sua pastiera era apprezzata da tutti. Riusciva a lavorare così bene i sapori e gli odori facendola diventare unica e inconfondibile. Quella era la “pastiera di Olga”: prepararle era per lei oramai un esercizio di abilità in cui coniugava, in ore e ore di lavoro in cucina che faceva precedere da una ricerca di ingredienti finissimi e di qualità, ingegno e creatività, ma soprattutto amore e dedizione.
E ora che lei non c’è più, rimane il ricordo della sua pastiera e siccome io come cuoca valgo poco (e lo dico anche con una punta di rammarico per aver trascurato negli anni addietro di imparare con lei e da lei le ricette della tradizione) so che non potrò ritrovare più quell’antico sapore se non nei nostalgici ricordi del passato.
Tuttavia, per evitare che quelle radici vadano completamente perdute e chissà, un domani definitivamente soppiantate da esterofilie gastronomiche poco convincenti, ho voluto omaggiare la tradizione con una versione più moderna.
La pastiera è la pastiera e nessuna la deve toccare: il suo sapore deve essere definito, netto, riconoscibile, per palati raffinati. La pastiera è un racconto intergenerazionale e più di ogni altra preparazione ha un carico emotivo distinguibile, ma la rivisitazione in chiave moderna deve mantenere un rapporto vivo e fecondo con il passato, con la memoria, matrice di soluzioni contemporanee.
Una rivisitazione attuale delle ricette del passato deve essere comunque capace di andare in profondità, nelle radici della preparazione gastronomica, nelle radici del cibo come esperienza esistenziale. Una ricetta rivisitata deve indurre comunque riflessioni sulla funzione della memoria, collegata alla tradizione che è ciò che è trasmesso dal passato, ciò che ogni generazione consegna alla seguente.
Con questa chiave di lettura per cui la sfida di rivisitare una potente ricetta della tradizione è comunque rispetto della memoria collettiva, del lascito del passato, ma consapevolezza di un lascito che si rinnova nel presente, propongo una versione della pastiera che ho sperimentato nelle scorse settimane, in attesa di riproporla a Pasqua.
Non può sostituire la pastiera napoletana tradizionale ma questa versione è godibile per la sua freschezza e leggerezza (non ci sono uova nel ripieno, previste nella versione classica).
CHEESECAKE DI PASTIERA NAPOLETANA
Ingredienti per la pasta:
500 gr. di farina, 200 gr. di zucchero, 2 uova, 200 gr. di strutto, scorza di limone grattugiato, un pizzico di cannella.
Ingredienti per il ripieno:
400 gr. di ricotta di bufala, 100 gr. di formaggio tipo philadelphia, 350 gr. di zucchero, 150 gr. di frutta candita (cedro, zucca, arancia), vaniglia, essenza di fiori d’arancio,
(con queste dosi escono due cheesecake di media dimensione).
Procedimento:
Mescolare gli ingredienti per la pasta fino a quando l’impasto non sarà liscio e omogeneo. La pasta deve essere preparata almeno 24 ore prima. Preparare una base di pasta in uno stampo a cerniera apribile. Cuocere in forno a 170° per una decina di minuti.
Procedere con il ripieno: se si compra il grano già cotto in barattolo, seguire le istruzioni del produttore (probabilmente dovrete fare una ripassatina in pentola con latte e vaniglia). Mescolare la ricotta e il formaggio con lo zucchero fino a quando il composto non diventa omogeneo. Unire le essenze e la frutta candita. Versare il composto sulla base di pasta raffreddata. Lasciar riposare la cheesecake di pastiera per almeno 24 ore.
Nella mia versione in foto, ho decorato con delle forme di cioccolata che ho ricavato con stampini di silicone.