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Sant'Antonio, i fuocarazzi e il pollo

18 Gennaio 2012
Una tradizione familiare
Finiti i bagordi natalizi, attraversata la fase della forma da ritrovare con diete disintossicanti, infusi e tisane miracolose, la coscienza è pacata e la mente è già aperta alla ricerca di prossimi eventi culinari pronti a soddisfare la curiosità ed il gusto. Detto fatto, il 17 gennaio ricorre Sant' Antonio abate e in tutt' Italia sono molte le tradizioni folkloristiche e gastronomiche tipiche.
In Campania questa festa apre il periodo del carnevale che si concluderà il mercoledì delle Ceneri, momento in cui ha inizio la Quaresima.
Secondo i racconti storico-leggendari, Sant' Antonio nacque in Egitto e a vent'anni, seguendo il consiglio evangelico, lasciò tutte le sue ricchezze per condurre vita ascetica. Successivamente si fece rinchiudere in un castello abbandonato nel deserto e visse di pane, acqua e preghiera, anticipando il motto dei Benedettini 'ora et labora'.
Lasciò poi il suo eremo nel 311 quando ad Alessandria ci fu la persecuzione dei cristiani per portare conforto ai fratelli.
In seguito, tornata la pace, si rifugiò nel deserto della Tebaide dove morì il 17 gennaio del 356 all'età di 106 anni e fu sepolto in luogo segreto, scoperto poi solo nel 561.
Sul suo esempio molti scelsero di vivere in maniera ascetica, per questo è considerato il padre del monachesimo.
Alla sua storia sono attribuite anche molte leggende popolari come quella che lo vedevano sempre in lotta con il fuoco eterno, di qui il suo appellativo di padrone del fuoco e guaritore del 'fuoco di sant'Antonio' (herpes zoster).
È anche il protettore dei maiali perchè si narra che i monaci Antoniani consigliavano di curare l'herpes con il grasso dei maiali e naturalmente di rivolgere una preghiera al santo eremita.
Da questi racconti è nata la tradizione, campana e non solo, della sera della vigilia del 17 gennaio, di dar luogo ai 'fuocarazzi', ossia enormi falò con cui si bruciano l'abete ormai secco di Natale (per chi ancora lo compra), vecchi mobili e legna, per bruciare simbolicamente il vecchio anno passato e purificarsi per il nuovo.
A Napoli molte massaie preparano la sugna o strutto ed i cicoli (ciccioli) che si utilizzeranno per le preparazioni di Pasqua.
La sugna, ormai demonizzata dalla moderna dietologia per il suo alto contenuto di colesterolo (cosiddetto cattivo), resta comunque un ingrediente fondamentale per talune preparazioni sia dolci che salate, come il casatiello, pertanto, sia pure con oculatezza, va sempre usata.
Nella nostra famiglia da sempre c'è una tradizione particolare che vede protagonista il pollo, mia nonna e sua mamma prima, originaria di un paesino in provincia di Salerno, hanno sempre preparato per l'occasione il pollo ripieno, una preparazione un po' lunga ed elaborata ma gustosissima e completa.
Un piatto legato ad una tradizione familiare che racchiude il senso della convivialità e la poesia dello stare insieme, pertanto non saprei dire se trattasi di una costumanza largamente diffusa, ma si sa che la storia la fanno le piccole usanze rese grandi dalla condivisione.

Per preparare un pollo adatto a sei persone circa occorrono:
1 pollo intero disossato dal peso di circa 1,700 kg,
150 gr di mortadella,
300 gr di pane raffermo senza crosta,
2 uova,
100 gr di formaggio misto tra parmigiano e pecorino,
una manciata d'uvetta ammollata in acqua calda,
mezzo bicchiere di vino bianco,
mezzo bicchiere d'acqua calda,
sale,
pepe,
prezzemolo tritato,
olio evo,
carta alluminio.

Fatevi disossare il pollo dal macellaio, conservando la sua forma, fatevi togliere il petto e tritatelo.
Mettete in una terrina il petto tritato, il pane ammollato e strizzato, la mortadella a pezzettini, il formaggio, le uova, sale, pepe, impastate bene facendo amalgamare tutti gli ingredienti, unite poi l'uvetta ed il prezzemolo, riempite il pollo, chiudetelo unendo i lembi della pelle e cuciteli con ago e filo. Salate e pepate l'esterno, adagiate il pollo in un foglio di carta alluminio in una teglia, irrorate con un filo d'olio e un po' di vino. Chiudete la carta, mettete l'acqua e il restante vino sul fondo della teglia e ponete in forno caldo a 220° per un'ora e mezza, poi aprite il cartoccio e fate rosolare mezz'ora la superficie. Lasciate intiepidire, portatelo in tavola e tagliatelo a fette.
Mia nonna lo serviva con le patate fritte, io lo servo con un'insalata di lattuga romana, pomodori, finocchi e carote, a voi la scelta del contorno.
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