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La cassoeula, un piatto dal sapore antico

18 Novembre 2011
Origine longobarda e presente di controtendenza
L'origine della cassoeula, o cazzoeura per dirla alla bosina, piatto obliato dai ricettari sino alla metà del Novecento - quando comincia a comparire nelle raccolte di ispirazione popolare - è tutt'altro che chiara. Diversi studiosi la riconducono alla cucina spagnola attraverso il confronto con la minestra maritata napoletana, umido di svariate carni in un trionfo di erbe dell'orto, fra cui la verza: a spiegare le similitudini ci sarebbe un ascendente comune arrivato dalla cucina iberica dapprima nella Napoli aragonese e successivamente in Lombardia in epoca spagnolesca. In realtà, le differenze fra i due stufati lasciano aperti molteplici dubbi, a partire dal fatto che la pignatta (altro nome della minestra maritata) è per natura brodosa, mentre la cassoeula 'la gha da vess ben tacchenta/ e minga sbrodolada e sbrodolenta', stando alle rime del poeta meneghino Antonio Strazza e all'unanimità degli intenditori. Come giustamente già fece notare Giovanni Rebora ne 'La civiltà della forchetta', si tratta piuttosto, con molta probabilità, di una vivanda più antica, di ascendenza longobarda: a quell'epoca le pulmentaria, ossia le pappe minestrate di verdure con o senza carne e cereali erano all'ordine del giorno. A conferma di ciò, un piatto simile, esclusivamente a base di maiale, pur con le erbe di campo che spesso si miscelano o anche si sostituiscono del tutto alle verze, viene preparato ancor oggi nel beneventano, un tempo parte della cosiddetta Langobardia Minor, sopravvissuta sino alla conquista normanna dell'XI secolo. Tale stufato, che come la cassoeula raduna tutte le parte più povere del maiale, prende il nome di 'mpanata per sottolineare come carne e verdure si sposino e si amalgamino fra di loro come fossero l'impasto di un pane: l'effetto morbidamente legato che costituisce il quid della cassoeula.
Non ci sarebbe proprio da meravigliarsi se fosse così. Del resto, i due ingredienti cardine della cassouela, il maiale e il cavolo, sono la base dell'alimentazione curtense padana e non solo: il caulus, che compare negli inventari dei beni del fisco regio in epoca carolingia, è fra i pochissimi olera (ortaggi) che vengono coltivati direttamente nell'hortus di casa (al contrario di cereali e legumi che sono associati nei campi); fondamentale nella dieta del tempo, è anche considerato una vera e propria panacea, un po' come l'aglio. Quanto al maiale, che sino alle soglie dell'anno Mille veniva pascolato nelle silvae, si trattava di un animale posseduto pressoché da tutti, in un'epoca nota come sostanzialmente carnivora (si ricordi, però, che a parte il maiale, gli animali da cortile, i pesci di fiume e la cacciagione, altra carne non compariva sulle tavole in quei tempi: il manzo, da sempre utilizzato come bestiame di fatica per i campi, arriva al di qua delle Alpi come carne da macello solo dopo l'anno Mille).

Italianizzata in 'cazzuola', pare che l'etimo sia un mediolatino *cattia, tazza, che avrebbe dato vita ad una serie terminologica sconfinata per indicare, giocando simultaneamente fra metonimia e antonomasia, l'umido di carne (o pesce) e verdure per eccellenza di molta cucina mediterranea, dal cassoulet provenzale alla cazzoligghia siciliana: non mancano esempi di cassola nemmeno in Spagna. Fatto sta che la cassoeula lombarda spazia dal milanese a Novara, dal varesotto al comasco passando per la Brianza intera, sempre identica e mille volte diversa: ad esempio, a Busto Arsizio si fa una cassoeula 'di strii', con l'aggiunta delle patate. Quale che sia la ricetta di famiglia, l'ingrediente che proprio non può mancare è il primo gelo della notte, indispensabile per intenerire la 'verzura'. Vuole la tradizione, infatti, che il tempo della cassoeula sia associato a quel lungo periodo in cui si ammazzava il maiale, da San Martino (11 novembre) - per tradizione vissuto come l'ultimo giorno del calendario rurale, quello in cui si rinnovavano i contratti agrari – al trionfo nel giorno di Sant'Antonio (17 gennaio), in cui è praticamente un delitto non metterla in tavola.
La cassoeula è il classico piatto completo: dovrebbe entrarci tutto quel che ci sta, dal musetto al codino, dal piedino all'orecchio per finire con le cotiche: tutto materiale, per così dire, di recupero del maiale che non va assolutamente buttato. Piatto povero, ma della festa, un tempo sarebbe stato probabilmente l'unico pasto della giornata (riscaldato, anche dei giorni successivi). Oggi prevale piuttosto la tendenza a sbollentarne tutte le parti grasse, e a cuocere a parte le verze: un'aberrazione dei tempi moderni, in cui abbiamo sempre la pancia piena e poi ci disperiamo dietro alle diete. Nella cassoeula i sapori si devono fondere: le verze hanno il preciso compito di digerire preventivamente il grasso, affiancandosi nel compito al rosso corposo che verrà portato in tavola. Poi, seguendo la ricetta di famiglia, si può sempre scegliere di eliminare il piscieu a favore dei cudegh, magari perché nella pentola non ci sta davvero tutto (anche se più se ne fa, meglio viene). L'importante, alla fine, è saper giocare su una scelta intelligente di commensali che sappiano davvero ancora apprezzare i gusti pieni, i sapori decisi e la convivialità che ne viene esaltata.

Ingredienti per sei persone
una dozzina di costine robuste
una ventina di salamini lombardi (detti anche verzitt: sono quelli legati assieme dallo spago)
mezzo piedino, una cotica; a trovarli, il musetto e un orecchio...
due verze medie o una decisamente grossa
aglio, cipolla, sedano, carota
olio
vino bianco (un paio di bicchieri)
chiodi di garofano, sale

In un soffritto generoso di cipolla, aglio, carota e sedano rosolare salamini e costine: la pentola dovrà essere molto capiente e preferibilmente a doppio fondo. Fiammeggiare bene le parti povere, sciacquarle accuratamente e tuffarle nel soffritto, facendole seguire dalle costine e dalle cotiche. Quando il tutto è insaporito per bene, sfumarlo con il vino bianco e lasciar evaporare. Salare il giusto e aggiungere metà della verza ben 'nettàda' e affettata grossolanamente: mescolare di tanto in tanto, quindi coprire d'acqua e salare ancora un poco. Incoperchiare e lasciar consumare un poco le verze di volume, così da poter aggiungere anche la parte rimanente, assieme ai chiodi di garofano. Far cuocere a fiamma media per almeno tre ore. La cassoeula dovrà risultare 'tachenta' e non brodosa: perché questo succeda, è utile farla riposare una notte almeno e consumarla il giorno successivo, con un bel piatto di polenta gialla o anche semplicemente con del pane casereccio.
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