Archivio Storico 2011-2017

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I Taralli pugliesi

16 Maggio 2011
E finisce a tarallucci e vino...
Molto facili da fare in casa, basta avere 500 g. di farina, del buon olio d’oliva (100 g. ) magari pugliese per dare un tocco in più alla tipicità del prodotto e 200 cl. di vino bianco.
Il procedimento e anch’esso semplice, s’impasta la farina con l’olio e il vino leggermente caldo, aggiungendo un pugno di sale. Formeremo poi dei piccoli 'salsicciotti' unendo le estremità premendo con le dita.
Ora immergiamo i taralli in acqua bollente, leggermente salata, fino a quando non verranno a galla (per intenderci come gli gnocchi), appena scolati dalla pentola, li asciugheremo con l’ausilio di un canovaccio e li finiremo in forno a 170°c per venti minuti circa.
Questi sono i Taralli, chiamati in lingua locale Taràlle o taraddùzze, prodotti con un tipo d’impasto che ricorda la frolla 'meridionale' cioè con olio come grasso anziché il burro, e, infatti, è usato per produrre dei tipici dolci natalizi (le cartellate) o come base per focacce rustiche a base di vegetali ( il più famoso è il 'calzone di sponzali' , una varietà autoctona del più famoso cipollotto d’inverno).
Il tarallo, in epoche passate, era anche la corona tonda, fatta di stracci, che il fornaio poneva in testa per trasportare la tavola piena di pane dalle case al forno.
Infatti, come mia nonna mi raccontava, prima l’impasto di pane, focacce, taralli ecc. erano fatti in casa ma non avendo tutti il forno a disposizione, la cottura era centralizzata, portando la propria produzione nei forni esistenti nel paese.
Io ho trentadue anni e non ho potuto costatare di persona la felicità nel portare a casa un prodotto lavorato con abili mani da 'massaia' e cotto dalle maestrie di veri professionisti del passato, che riuscivano a conferire il profumo del forno a legna a un impasto fatto con pochissimi ingredienti, come i taralli.
Per consolarci almeno non abbiamo perso del tutto un prodotto simbolo di una cultura e come dicevano i miei avi e tuttora ancora usato nella dialettica 's’ fenescè a taraddùzze e mijere' (si finisce a taralli e vino). Morale? ...... Ogni salmo finisce in gloria.
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