In quel mare magnum della produzione editoriale gastronomica odierna, cartacea o virtuale, foodblog compresi, abbondano le pagine di suggerimenti più o meno fantasiosi per riciclare il risotto, cosa su cui non discuto affatto (sono io la prima ad inventarmene di tutti i colori). Quando però un noto guru delle tradizioni gastronomiche italiane (si dice il peccato ma non il peccatore…), anni fa, propose in un suo best seller tutto, ma proprio tutto, dalle creme alle pizzette alle crocchette, per declinarne gli avanzi, senza arrivare a suggerire il più semplice, se vogliamo scontato degli impieghi del risotto avanzato, restai davvero di sasso: forse lo riteneva troppo banale per un libro di successo?
Di fatto, scorrendo rapidamente i ricettari classici, non se ne trova uno che lo menzioni, questo benedetto riso al salto, dalla Gosetti della Salda delle celeberrime “Ricette regionali italiane”, a “Pronto, qui Lisa Biondi”, alla Boni del Talismano della Felicità: per non parlare poi dell’Artusi, che cita ben tre maniere di cucinare il risotto alla milanese, per ordine di digestione, ma nemmeno di striscio il modo popolare di riutilizzarlo, e questo pur nell’intento di diventare un “manuale pratico per le famiglie”. Per aspettare qualcuno che il giro delle famiglie lombarde lo farà veramente, per annotarsi le ricette di casa, bisognerà aspettare, neanche il caso di dirlo, la nostra Rangoni, che finalmente sdogana il ris saltaa nella sua Cucina Milanese in 500 ricette tradizionali, per i tipi della Newton Compton e, in contemporanea, Alessandro Molinari Pradelli, stessa casa editrice, stesso titolo, che lo presenta fra i piatti tipicamente meneghini. Da qui in poi il successo editoriale del riso al salto è assicurato, televisione compresa (Benedetta Parodi in primis).
Il riso al salto, effettivamente, in una casa lombarda nasce come modo estremamente gustoso e veloce per ridar senso agli avanzi del giorno prima, perché è insolito che si prepari un risotto appositamente per farlo al salto. Ad ogni modo, per chiarirci meglio, quando dico “avanzi” non intendo l’andare a rovistare nei piatti lasciati a metà: da che mondo è mondo le mamme hanno sempre preparato il risotto in dosi possibilmente abbondanti, proprio perché il farlo al salto risolveva deliziosamente il pasto successivo. Anche nelle trattorie, oggi come un tempo, lo si propone come piatto forte del giorno: mi ricordo di averlo gustato a Milano in zona universitaria, incinta del primo figlio, dieci anni orsono, e sarei curiosa di recensire qualche locale che lo vanti fra i piatti della tradizione meneghina (boutade molto interessata, questo è chiaro…).
Mia madre mi racconta di aver imparato l’arte, perché di arte si tratta, del riso al salto da un suo zio, gestore nel dopoguerra di un’osteria a Treviglio. Il nome me l’ha spiegato lei: il riso che sfrigola in padella schioppetta e saltella allegramente, proprio come il popcorn, se non si ha l’accortezza di tenere il fuoco basso e incoperchiare. C’è chi, invece, forse un po’ meno realisticamente, spiega il salto come fosse il colpo di polso dello chef alla crespella: non riesco onestamente ad immaginare che la frittata di riso, essendo piuttosto delicata, ritorni integra in padella. Ad ogni modo, è giusto e filologico riportare tutte le versioni, anche se piuttosto inverosimili.
Comunque sia, catalogare il riso al salto, in qualsiasi zona ove lo si cucini – a Milano certamente ma direi un po’ in tutte le terre dove il riso nasce nell’acqua e muore nel vino - come specialità casalinga o al massimo da ristorazione alla buona non è certo rendergli giustizia. E’ noto, infatti, che nientemeno che Maria Callas, appena uscita dalla Scala lì a due passi, si precipitava ad ordinarlo al celeberrimo Savini di Milano, il ristorante pluristellato in Galleria Vittorio Emanuele: cosa che evidentemente ristorava, dopo le performances, gli insuperati salti delle sue corde vocali. Musica per il palato, viene quindi da chiosare, per poveri e ricchi, per chi temprava l’ugola sui palcoscenici e per chi, invece, partecipava quotidianamente al ben più umile canto delle mondine.
Prepariamolo insieme.
Il giorno prima, farete un risotto giallo di cui esagererete volutamente le dosi.
L’avanzo che resterà in casseruola, verrà conservato religiosamente in frigorifero.
Il giorno successivo metterete il riso in una ciotola e lo riprenderete con una noce di burro.
Si farà sfrigolare abbondante burro in una padella antiaderente e vi si presserà molto bene il riso, in modo da creare una sorta di frittata poco spessa. Si farà dorare da entrambe le parti a fuoco dolce, incoperchiato, curando di aggiungere altro burro prima di rivoltare il riso (si giri prima con l’aiuto del coperchio o di un piatto, proprio come per una frittata).
A fuoco spento, il riso al salto va cosparso di abbondante grana o parmigiano grattugiati e di prezzemolo e lasciato riposare, coperto, per qualche minuto prima di servire.
Nota: si può preparare il riso al salto anche da un risotto alla parmigiana, senza zafferano. Non sarà però altrettanto gustoso.
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