Archivio Storico 2011-2017

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La pearà

17 Marzo 2011
La piccantissima che accompagna il bollito
Penso di poter tranquillamente affermare che ogni veronese DOC sia cresciuto a pane e pearà, e che per molti la famosa salsa abbia spesso sostituito il latte nel biberon....

Innanzitutto l'etimologia del termine, per inquadrare il piatto: si tratta di una parola veneta che significa "pepata" o, meglio ancora “peperata”, nel senso di “con l'aggiunta di pepe”.
E' una salsa molto piccante realizzata con pane grattugiato, midollo di bue (la “mìola), formaggio grana, burro od olio extravergine di oliva, brodo di carne e abbondante pepe. Per una realizzazione perfetta è fondamentale una lunghissima cottura a fuoco lento (almeno 3 ore, per i più integralisti anche tutta la domenica mattina, puntando la sveglia all'alba..). Si accompagna tradizionalmente al bollito misto, detto anche “lesso” (che deve contenere manzo, vitello e gallina, ai quali si aggiungono lingua salmistrata e cotechino), nei pranzi domenicali o natalizi. La sua diffusione è limitata al Veneto, soprattutto alla provincia di Verona.
Non è da confondere con la “peverada”, salsa a base di fegatini di pollo, che è tutta un'altra cosa..

Le origini di questo piatto povero e agricolo non sono certe; la leggenda lo fa risalire all'anno 571, periodo delle invasioni barbariche, precisamente al tempo di Alboino e Rosamunda.
Quest'ultima era figlia di Cunimondo, re dei Gepidi, ed era stata rapita dal re longobardo Alboino.
Il padre di lei dichiarò guerra al longobardo ma perse miseramente e Rosmunda fu costretta a sposarlo. Cunimondo venne ucciso e col suo cranio venne ricavato un macabro calice dal quale Rosamunda venne obbligata a bere. Dopo tanta umiliazione, la fanciulla era talmente prostrata che decise di lasciarsi morire di fame.
Il cuoco di corte allora, vedendola tanto triste, si commosse e decise di creare per lei una pietanza che potesse ridarle energia e vitalità: nacque così la pearà, corroborante alimento ricco di midollo di bue e di olio d'oliva. Pochi giorni dopo Rosmunda, riacquistate le forze, e con la complicità del suo amante Elmichi, uccise il perfido Alboino e consumò la sua vendetta.

Al di là di tale suggestiva leggenda, certo è che assieme al lesso, la pearà era l'alimento principale delle famiglie povere, che in questo modo potevano sfruttare le ossa, i tagli poveri della carne e le galline che non producevano più uova (da cui il proverbio secondo cui "gallina vecchia fa buon brodo", tanto caro a tutte noi per cui la maggiore età è – ahimè – solo un piacevole ricordo...).
Nella seconda metà del 1800, per la generale carestia che aveva colpito il Veneto, il bollito e, quindi, la pearà, vennero introdotti nelle tavole signorili, con tagli di carne più nobili, sdoganando così l'immagine del piatto e la sua diffusione.
Tuttavia, per un bollito che si rispetti è bene ricordare che è imprescindibile l'utilizzo delle parti povere e meno nobili, come la testina e la lingua.
Nella tradizione veronese il bollito con la pearà è, appunto, il piatto della festa, immancabile sulla tavola nei giorni in cui ci si riunisce con i propri cari. Il tutto deve essere servito appena preparato, se possibile ancora fumante. Oggi, la sua realizzazione varia da paese a paese, addirittura da famiglia a famiglia e ciò ha portato alla creazione di numerose varianti. In alcune zone del Veneto, ad esempio, si aggiunge alla fine un po' di radice di cren (rafano grattugiato) che rende la salsa ancora più saporita e piccante. Il mio caro amico Giorgione mi ricorda una curiosità: durante il periodo della “mucca pazza”, molti ristoratori, per evidenti ragioni, usavano sostituire il midollo con 100 grammi di burro.

Permettetemi un personale aneddoto, a riprova di quanto finora detto: qualche anno fa trascorsi un periodo sabbatico a Perth, in Australia e fui ospite, in qualche occasione, di una famiglia di origine veronese che 40 anni fa aveva lasciato il quartiere del “Chievo” per emigrare downunder in cerca di fortuna. Vi lascio immaginare l'emozione provata alla scoperta del secondo piatto del pranzo: ogni domenica, la signora preparava (e prepara tutt'ora), per tutta la sua famiglia il tradizionale lesso con la pearà!
Ed ora la ricetta:

Ingredienti per 4 persone

500 grammi di pane vecchio di grano duro (ottime le rosette non condite, grattugiate finemente)
100 grammi di midollo di bovino
un litro di brodo di carne di manzo e gallina
Parmigiano Reggiano o Grana Padano
burro o olio extra vergine d’oliva
Sale: q.b.
Pepe finchè si vuole..

Preparazione

Posizionare un tegame in terracotta (diametro 25 centimetri) su un fornello piccolo, interponendo un disco rompifiamma.
Far bollire il brodo e poi aggiungere il pane grattugiato, il midollo, il burro, sale e pepe, mescolare fino ad ottenere una crema, portare ad ebollizione ed abbassare il fuoco al minimo.
Le dosi sono puramente indicative, la mia nonna diceva che sarebbe meglio andare un po' ad occhio...ed un po' a gusto.
Lasciare bollire per almeno tre ore senza coperchio.
A cottura ultimata, aggiungere il parmigiano (facoltativo) mescolando leggermente, regolare di sale e, soprattutto, di pepe.

La pearà dovrà risultare una salsa ben pepata, densa ed omogenea.

Alcuni consigliano di servire la terracotta in tavola su di un fornellino ad alcool, in modo che la salsa rimanga bollente fino all’ultima cucchiaiata.

Se già così è una prelibatezza, vi garantisco che il giorno dopo, quando formerà una crosta che la rivestirà quasi completamente, da tagliare con il coltello, sarà irresistibile!

Da ultimo l'abbinamento. Non vorrei diventare noiosa puntando ossessivamente sulla territorialità (avete già forse capito a che vino stavo pensando) e, quindi, riepilogo le caratteristiche del piatto, per fare un giochetto con voi.
Posto che – come già detto – la pearà a Verona si accompagna ai lessi, dal piatto potremo aspettarci:

speziatura (pepe)
succulenza (pearà)
tendenza dolce (pane, anche se sopraffatta dal pepe)
grassezza, untuosità (cotechino, lingua)

pertanto, a che vino ci affideremo perchè ci aiuti a detergere la bocca, sgrassare, disidratare, astringere e che, nel contempo, sia in grado di competere con la speziatura del piatto?
A voi l'enoica sentenza...
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