Archivio Storico 2011-2017

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Malloreddus alla Campidanese

01 Marzo 2011
la vera tradizione sarda: una pasta povera per ogni occasione
Nella tradizione sarda da secoli, non c’è una festa famigliare importante (matrimoni, battesimi … ) nella quale, ancor oggi, non siano presenti i malloreddus, fatti rigorosamente a mano e utilizzando semola di grano duro. La semola di grano duro ha un ruolo primario nell'alimentazione dei Sardi ed oltre che nella pasta essa viene usata anche per panificare. D’altra parte la sua coltivazione, che ha soppiantato quella del farro, parrebbe risalire intorno al IV sec a.C. e, circa 150 anni dopo, durante la dominazione romana, la Sardegna venne chiamata “Granaio di Roma” per via del fatto che i Romani, il cui cardine della politica dell'impero era assicurare a Roma l'approvvigionamento regolare del grano, sfruttarono le risorse agricole della Sardegna, più precisamente della zona denominata Trexenta. I Romani crearono una rete di collegamenti stradali e portuali in Sardegna per favorire il trasporto del grano e costruirono a Roma nuovi granai poiché quelli già esistenti non riuscivano a contenere l’enorme produzione.
Intanto la Sardegna era e rimane una regione povera ed anche un fatto banale ed antico come l'assenza di uova nella pasta è un emblema di questo stato di povertà. Infatti, al contrario di altre parti d’Italia dove si usava l’uovo per impastare, in Sardegna si cercava sempre di risparmiare sul cibo e usare l’uovo per l’impasto veniva visto come uno spreco. Solo rare volte, se avanzava magari dell’albume, perchè il tuorlo veniva usato nel ripieno (esempio ne sono i ravioli), veniva messo nell’impasto, ma solo perché non si doveva buttare via nulla.
Personalmente un bel piatto di malloreddus fumanti è sicuramente la cosa che mi fa pensare di più all'estate. Infatti, in quel periodo, mia madre era solita radunare me e i miei cugini (età media sette anni) attorno a un tavolo in veranda, davanti al mare e ad ognuno veniva data la tavoletta di legno rigata ed il proprio pezzetto di pasta. Al solito anarchico che si rifiutava di collaborare veniva offerta l’opzione di lavare i piatti a fine pasto e non mi spiego perché tutti alla fine scegliessero di fare i malloreddus :). Con gli anni il momento di preparare i malloreddus è diventato l’occasione di chiacchiere e risate.
½ Kg di semola
200 g di acqua
5 g di sale
½ Kg di salsiccia
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 Kg di pelati
Salsiccia secca
Olio
sale
Peperoncino piccante
Pecorino grattugiato

Fare i malloreddus è veramente semplice. Impastate ½ Kg di semola con 200 g di acqua e il sale, lavorate energicamente la pasta fino ad ottenere un impasto consistente e non troppo elastico.
Dopo aver preparato l’impasto, tagliate tanti pezzi di pasta e stendeteli fino a formare dei serpentelli, tagliate questi a pezzetti di un cm circa, appoggiate il pezzetto sulla tavoletta rigata, posatevi sopra il pollice e date la forma al pezzo di pasta schiacciandolo e spingendolo fuori dalla tavoletta, infine metteteli ad asciugare su un recipiente coperto da un telo cosparso di semola.
Preparate il sugo rosolando la salsiccia spellata con uno spicchio d’aglio ( che poi butterete), aggiungete un cucchiaio di concentrato, fate insaporire la salsiccia, aggiungete i pomodori pelati passati o tagliati a pezzetti, salate, aggiungete il peperoncino e fate cuocere per circa un’ora. A questo punto il sugo è pronto. Qualcuno aggiunge un pizzico di zafferano di San Gavino, ma io ho sempre visto mettere, dieci minuti prima dello spegnimento, un pezzetto di salsiccia secca tagliata a coltello. Ma forse questo è un segreto di famiglia! … Segreto? Ormai l’ho detto!
Una piccola curiosità: per quanto i malloreddus siano noti in tutta la Sardegna, essi cambiano nome a seconda della zona. Infatti vengono chiamati "ciciones" nel sassarese, "macarones de punzu" nel logudorese e "cravaos" nel nuorese. Il nome malloreddu significherebbe "piccolo toro" ma a nessun sardo verrebbe mai in mente di tradurlo così. Proprio esagerando li possiamo chiamare gnocchetti sardi ma, chiamandoli malloreddus non abbiamo difficoltà a far capire al resto dell'Italia di cosa stiamo parlando e, soprattutto dopo averli assaggiati, è difficile dimenticarli!
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