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La pasta e fagioli con l’oca

05 Dicembre 2012
Il racconto della figlia dell'orefice...
Dopo lunga meditazione ho scoperto che il piatto che più di ogni altro unisce l’Italia non è “spaghetti al pomodoro” e neppure la pizza. È la pasta e fagioli! Ogni regione, ma che dico, ogni comune, frazione, via, casa, rivendica la pasta e fagioli più buona. Borlotti, Lamon, zolfini, cannellini, e poi ceci, cicerchie e lenticchie. Ogni legume dà gusto e consistenza diversi, ma tutti sono accomunati da una caratteristica: questa minestra piace a tutti! E a chi non piace? Peggio per lui!

È una preparazione che nonostante la tradizione di piatto rustico e povero, può diventare, con qualche cura nella presentazione, un primo raffinato da proporre anche nei ristoranti stellati. C’è chi li passa al setaccio per trasformarli in una morbida crema gustosa e chi li preferisce interi; chi mette il sedano e chi no; qualcuno usa il rosmarino, qualcun altro la salvia, chi li condisce con il lardo alle erbe e chi “solo olio extravergine d’oliva crudo” per carità!

E qual è la pasta che meglio si accompagna ai nostri versatili legumi? I tubetti lisci o gli spaghetti spezzati, i maltagliati o i tagliolini all’uovo?

E per insaporire cosa mettiamo? L’osso di prosciutto o le cotiche, il “gambetto” di crudo o la pancetta.

E le croste di parmigiano, ne vogliamo parlare? Noi, qui nel Veneto, nella bassa padovana per essere proprio precisi, mettiamo l’oca. Non un’oca qualsiasi, ma l’"oca soto onto”.

“Scusa” direte voi “cos’è l’oca soto onto? Sempre alla ricerca del difficile questi maniaci del cibo!” Sono d’accordo con voi , semplice, semplice non è, anzi trovarla è quasi impossibile, ma se volete cimentarvi nell’impresa di prepararla a casa vostra vi spiego come fare e lo faccio a modo mio, con un racconto.

“C’era una volta una bambina; abitava di fronte alle vecchie prigioni medievali della sua città.
Davanti alle prigioni c’era un portico; verso dicembre, al giovedì, di buon mattino, il portico si animava. Sulle bancarelle, avvolte nella nebbia, venivano appoggiati animali a lei sconosciuti; dai lunghi colli penzolavano le teste dal grosso becco arancione e nero. Altri, invece, erano appesi: rigidi e inerti attendevano i compratori. Era il mercato delle oche! Le donne le portavano dalla campagna e una parte del ricavato la consegnavano all’orefice come acconto per la collanina, gli orecchini o il braccialetto che avrebbero sfoggiato con orgoglio durante le feste di Natale. La bambina osservava incuriosita, rapita da quello spettacolo di vita e di morte insieme.

Quella bambina ero io e l’orefice era mio padre.

...La mamma mi ha insegnato a lavorare la carne delle oche per conservarla ed averla a disposizione tutto l’anno; ho imparato soprattutto la pazienza, il saper attendere perché tutto si compia e si completi nell’armonia dei sapori.

A dicembre scegliete un’oca, bella grassa; disossate il petto e tagliate il resto a pezzi, senza togliere la pelle. Sciogliete il grasso in eccesso a fuoco dolce profumandolo con rametti di rosmarino, filtratelo e tenetelo da parte. Ora prendete un cestello di vimini, ricopritene il fondo con un telo candido, versate uno strato di sale grosso, appoggiatevi l’oca e copritela con un altro strato di sale. Mettete il cestello nella parte bassa del frigorifero e lasciate riposare per 8-10 giorni, girando i pezzi ogni due giorni. Infine eliminate il sale strofinandola con un tovagliolo di cotone e mettetela in grandi vasi di vetro ricoperta dal suo grasso sciolto o, se preferite, da olio d’oliva. A maggio l’oca, risvegliata dal lungo sonno invernale, è matura per insaporire i piselli, la zuppa di verdura e la pasta e fagioli. Lei è squisita anche così, al naturale, affettata sottile e con la sola compagnia di una fetta di pane tostato”.

Nel luglio scorso ho avuto il piacere di preparare questo piatto per un gruppo di giornalisti arrivato a Montagnana per conoscere le nostre realtà gastronomiche. Tra questi c’era anche la nostra direttrice, Laura Rangoni. Laura l’ha molto gradita e mi ha chiesto di farvela conoscere. E io, come posso disubbidire al mio direttore? Sarei immediatamente radiata dalla rosa degli autori del Cavolo Verde, non vi pare? Quindi, ecco a voi

LA RICETTA

Ingredienti per 4 persone
borlotti secchi grammi 200
carota, sedano e cipolla tritati grammi 100 in tutto
uno spicchio d’aglio tritato
sale, pepe, 1 dl di olio extravergine d’oliva
brodo vegetale
qualche rametto di rosmarino
200 grammi di maltagliati all’uovo
un pezzo di oca “soto onto” con l’osso

Procedimento

Ammollate i fagioli in abbondante acqua per una notte intera. Al mattino metteteli in un tegame, preferibilmente di terracotta, coprite d’acqua e fate prendere il bollore, schiumando spesso. A questo punto unite il trito di verdure e l’oca e fate cuocere coperto. Occorrerà almeno un’ora. Schiacciate con la forchetta una parte dei fagioli e regolate di sale. L’oca è già saporita, quindi non mettete sale all’inizio. Mentre i fagioli cuociono scaldate appena due cucchiai d’olio immergete il rametto di rosmarino e lasciate che trasferisca tutto il suo profumo e il suo sapore all’olio. Filtrate e unite al restante olio. Aggiungete circa un litro di brodo vegetale , tuffate il maltagliati e fateli cuocere al dente. Attenzione che la pasta all’uovo cresce molto, quindi cercate di avere abbastanza brodo da aggiungere nel caso la minestra risultasse troppo densa. Versate nelle ciotole, decorate con un rametto di rosmarino e condite con una bella macinata di pepe e un filo d’olio aromatizzato al rosmarino.
Come vedete l’olio è aggiunto solo alla fine e, a parte la piccola quantità riscaldata , è a crudo. D’altra parte l’oca già provvede a condire e insaporire per bene l’intingolo!

Non avete voglia di preparare l’oca? Vi capisco, io lo faccio da tanti anni e se non fosse una lunga tradizione di famiglia, beh, non so se continuerei! Il risultato, comunque, ricompensa alla grande della fatica e della pazienza.

L’oca “confit” come la chiamano in Francia, si trova nelle gastronomie più fornite, ma potete sostituirla con l’osso o il gambetto di prosciutto. Non avrà lo stesso sapore, ma la bontà è assicurata.
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