Era un piccolo pomo, tipico dei rigidi inverni della Bassa modenese e mantovana, che veniva consumato dai contadini perché non temeva il freddo e si conservava per lungo tempo.
Da questa breve descrizione solo poche persone avranno capito di cosa stiamo parlando, ma se sveliamo il nome comune con cui viene indicato questo frutto, ovvero mela campanina, scopriamo che in molti ne hanno sentito parlare, soprattutto dai racconti e dai ricordi dei nonni. Questo piccolo pomo dalla buccia sottile e verde e dalla polpa bianca, fragrante e profumata, veniva raccolto dalla fine settembre e steso al sole per 5/7 giorni affinché assumesse un colore rossastro.
Successivamente, veniva messo a svernare sui tetti dei ‘bass comad’ poiché il gelo lo rendeva ancora più gustoso e saporito. La mela campanina era un prodotto tipico che però veniva persino ‘esportato’, come riporta lo storico di Mirandola Don Felice Ceretti, sul periodico ‘L’Indicatore Mirandolese’ del 1877 dove parla di “pomi detti campanini dei quali nell’autunno si fanno larghe provviste e si trasportano fino a Venezia e ad altre città”. Ma nel secondo dopoguerra la fortuna di questo frutto, noto anche come mela ‘della nonna’ o ‘dell’inverno’, cominciò a diminuire perché il mercato iniziava a richiedere mele più dolci, più grandi, più pesanti e commercialmente più convenienti.
Per diversi decenni questo piccolo pomo cadde nel dimenticatoio. Ma all’inizio degli anni ’90 la campanina conobbe una nuova ‘giovinezza’ grazie a quegli agricoltori che accolsero le iniziative della Regione Emilia Romagna con lo scopo di limitare l'abbandono di alcune produzioni frutticole autoctone, tra cui la mela campanina. A supportare la riscoperta della mela ‘della nonna’ sono arrivate anche le ricerche svolte sulla qualità e proprietà di questo frutto. Nel 2003, uno studio realizzato dall'Università di Bologna sulle caratteristiche di cinque mele antiche, ha evidenziato come la campanina abbia un contenuto di sostanze antiossidanti fino a 4 volte superiore rispetto alla mela Golden Delicious, un elevato contenuto in pectina, polifenoli e acido ascorbico.
I risultati lusinghieri, le peculiarità del frutto, il legame con il territorio e la tradizione hanno permesso di estendere la produzione e iniziarne la commercializzazione anche nei supermercati. Un successo sempre crescente che, nel territorio della Bassa modenese, ha portato la campanina ad essere annoverata, nel 2007, tra le eccellenze “Terre di Pico”, il marchio collettivo che garantisce e promuove le eccellenze territoriali dell’Area Nord della provincia modenese, certificandone la provenienza e la qualità. Inoltre, da diversi anni la Provincia di Modena ha lanciato un progetto che ha l’obiettivo di recuperare l'antica varietà frutticola della “mela campanina” favorendone la salvaguardia, la diffusione e la reintroduzione sul mercato.
L'iniziativa fa parte del più ampio programma che la Provincia sta attuando per il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità, a tutela del patrimonio genetico di varietà e razze autoctone della zona. Secondo quanto previsto dal bando, le piante di mela campanina verranno affidate agli agricoltori “custodi” interessati alla messa a dimora della varietà, nonché al recupero e alla valorizzazione delle risorse genetiche autoctone.
Tutte iniziative che hanno riportato al successo la mela campanina che tra l’altro si presta ad essere gustata in tanti modi: cotta al forno, come ci insegnano i nostri nonni, perché la sua polpa rimane integra e compatta, ma anche fresca, per fare marmellate o la mostarda mantovana.
Ricetta
CAMPANINE COTTE AL VINO
Ingredienti:
- 1 kg di mele campanine tagliate a fette
- 4 cucchiai di zucchero
- mezzo bicchiere di vino bianco
Tagliare a fette le mele e metterle in una pentola. Aggiungere lo zucchero e versare il vino, poi fare cuocere a fuoco medio per circa 30 minuti e servire.
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