Archivio Storico 2011-2017

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Il grano del Senatore Cappelli

23 Maggio 2012
E il cous cous salvò gli spaghetti
Siamo la patria del Fattore P (Pane, Pasta, Pizza); su di lui costruiamo ogni giorno la nostra dieta e la nostra filosofia alimentare, ma forse siamo ancora poco informati sulla storia di quel grano che ci ha nutrito fino a cinquant’anni fa.
È il caso della varietà Senatore Cappelli, un frumento riscoperto negli ultimi dieci anni per produrre prodotti gastronomici di alta qualità.
Chiamato così dall’agronomo marchigiano Nazareno Strampelli, in onore del senatore abruzzese Raffaele Cappelli, che gli aveva concesso l’occasione di sperimentare in alcuni terreni in Puglia, è l’incrocio di grani autoctoni del sud Italia e delle isole con altre sementi provenienti da altri paesi del mediterraneo, in particolare una variante locale tunisina, chiamata Jeanh Rhetifah.
Era il 1923 e il grano Cappelli diventava una delle varietà più coltivate in Italia, la materia prima per quella pasta di tutti i giorni, dall’aroma speziato quasi simile al sapore del pane fragrante, con quelle sue spighe dal caldo colore biondo cenere, alte più di un metro e ottanta, dai lunghi baffi neri e dai chicchi vitrei molto grandi.
Fu la bassa resa (circa 28 quintali per ettaro), rispetto ai moderni cereali, a causarne la sostituzione verso la fine degli anni '60. Ma la cosa non può oscurare l'importanza di questa varietà nel panorama mondiale. Quasi tutti i coltivatori, infatti, che oggi producono frumento duro hanno utilizzato il Senatore Cappelli come parentale per le nuove varietà (Strappelli non cercò mai di arricchirsi con le sue produzioni, scegliendo di non richiedere royalties per lo sfruttamento commerciale dei semi da lui distribuiti).
Scriveva nel 1932: “L'uomo che allarga ogni giorno il suo dominio su tutto ciò che lo circonda non è padrone del tempo, il grande galantuomo che tutto mette a posto. E il tempo a me è mancato di fare tante cose che pure avrei voluto veder compiute. Le mie pubblicazioni, quelle a cui tengo veramente, sono i miei grani. Non conta se essi non portano il mio nome; ma ad essi è e resta affidata la modesta opera mia”

Per la foto si ringrazia: http://www.agricoltura.regione.campania.it/tipici/tradizionali/cappella.htm
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