Spesso la vita è davvero bizzarra. Ti fa nascere nel Nord Est dell'Italia, frequentare il Liceo, iscrivere a Filosofia, completare gli studi umanistici, laureare.
E poi ti fa prendere atto che questa non è la tua strada, e ti catapulta nell'altro emisfero.
In Nuova Zelanda, l'isola che non c'è.
Ti fa conoscere questo popolo, così piccolo e privo di mezzi che si dedica quasi completamente all'agricoltura, alla maniera dei pionieri, come tanti Don Chisciotte.
Unico obiettivo la qualità, perché è anche l'unico strumento per rimanere a galla, anzi per emergere.
Antonio Pasquale, triestino di nascita, ha fatto tutto questo. E si è integrato così bene nel tessuto neozelandese, al punto che ne ha compreso e sposato completamente lo spirito. Pur mantenendo sempre il suo adorabile accento veneto, dei tempi dell'università.
E l'amore per la filosofia, che emana dai suoi occhi e da ogni suo gesto.
La 'sua' zona è intorno al 45/46 esimo parallelo Sud, praticamente in una sorta di Germania dell'emisfero opposto al nostro, nell'Isola del Sud.
Zona con forti escursioni termiche, dove le frequenti gelate rischierebbero di compromettere più volte all'anno il raccolto. E, quindi, si protegge e si coccola l'uva sia con l'ausilio di mulini meccanizzati, che 'abbassano' l'aria più calda che si trova in altezza, sia 'ghiacciando' letteralmente gli acini, in maniera tale da costruire loro intorno un nido, uno strato protettivo, ed impedirne la rottura.
Come consacrazione del terroir, Pasquale decide non solo di non acquistare uva da terzi, ma anche di affidarsi ad una sorta di procedimento di certificazione di autenticità, ad opera della Oritain Global, industria in grado di misurare scientificamente l''impronta' del terreno, registrarne il DNA, verificare la composizione di minerali presente, ed individuare in maniera esatta i vigneti appartenenti al nostro pioniere. E lo stesso servizio viene fornito per ogni prodotto di 'quella' terra: carne, latte, verdura, frutta, vino.
L'esaltazione del suolo e delle sue naturali caratteristiche permea ogni frazione dell'attività agricola: l'eliminazione della gramigna viene affidata all'opera certosina delle pecore, che provvedono anche alla defogliazione delle vigne.
Perfino il trattore si cerca di evitare, perché comprimerebbe eccessivamente il suolo, rischiando di pregiudicare quella preziosa componente che è la mineralità. Mineralità che, quindi, viene preservata in tutti i modi, rappresentando il minimo comune denominatore dei vini di Antonio.
Vini per la massima percentuale bianchi, vini che ti accolgono con entusiasmo, vini destinati all'invecchiamento, vini che – se avvicinati con pazienza e fiducia - sanno svelare un altro mondo. Il Nuovo Mondo, il mondo del filosofo Antonio Pasquale.
PINOT GRIS 2010 – WAITAKI VALLEY -
Viene definito il rosso travestito da bianco, in quanto si può accompagnare ottimamente a qualsiasi tipo di carne. E' un vino che – a detta del produttore – è in continuo cambiamento, si tramuta ad ogni bottiglia, ad ogni sorso, in ogni momento.
Brillante, come tutti i bianchi che seguiranno.
Al naso subito calce, talco, gesso. Poi, in un secondo momento, frutta a polpa gialla, anche esotica, anche secca. E poi i fiori.
Altra caratteristica comune agli altri, ha residuo zuccherino, ma non si sente in bocca, perché bilanciato dalla mineralità, che lo maschera al punto da essere tranquillamente definito secco. Caldo, morbido, con una bella freschezza. 14%.
RIESLING 2010 – WAITAKI VALLEY -
È un tripudio di idrocarburi. Cherosene, smalto, lacca, goudron, polvere da sparo. Ma appena si apre, emerge il citrino. Ed una vera e propria 'lama di lime' esce e si infila tra le papille gustative, rendendolo acidulo, astringente, quasi aspro, autentico pulitore, detergente di qualsiasi grassezza presente nel cibo. Bello proprio perché non equilibrato.
Al punto che il 'temibile' Parker gli ha attribuito 91/100.
GEWURZTRAMINER 2010 – WAITAKI VALLEY –
Definito vino pazzo, perverso, azzardata sfida di chi sta cercando di spingerlo ai limiti della decenza. Anche qui è la filosofia, nel senso di letterale di amore per la sapienza, che ispira il lavoro del winemaker. È la mancata accettazione dello scontato, del prevedibile, del noto.
È come chi si impone di stare con un uomo o una donna solo perchè è stabile, regolare, una brava persona, con equilibrio, in equilibrio. Ma prima o poi sballa, perché l'amore è un'altra cosa.
E forse non è nemmeno equilibrio.
ALMA MATER 2010 – HAKATARAMEA VALLEY –
Esercizio ideologico, gioco, azzardo. È quello che più fa parlare di sé, volutamente.
In un campetto che produce 4000 tonnellate l'anno vengono piantati cloni con chicco più piccolo. Un misto di riesling (55%), gewurztraminer, pinot gris. Vengono messi insieme, fatti fermentare insieme, in omaggio al 'field blend', ovvero quando il vignaiolo raccoglie a mano una varietà di uve dallo stesso vigneto, per produrre un unico vino.
Che di anno in anno assume morfologie diverse.
Che stavolta svelano, al naso, frutta gialla, melone, pesca, papaia. Buona freschezza e buona sapidità. 14,5%.
PINOT NOIR 2010 – WAITAKI VALLEY –
Provocatoriamente, il 'guru' Antonio, fa arrivare con il vino una tazzina di caffè espresso per ciascuno. Ed invita a berlo prima del vino.
Blasfemia per i puritani della degustazione. L'aroma inonda la sala, e poi avvolge il palato. Ed il tocco di bruciato proprio del caffè amplifica inspiegabilmente il vino, svelandone gli accenti di maraschino, di mon cheri, di frutti di bosco, mora, ciliegia. E subito dopo è come entrare in una cioccolateria, uno schiaffo di note di cacao, tostatura, spezie dolci.
In questo caso, le uve vengono raccolte a mano, ad aprile, in piena maturazione (ricordiamoci che sono downunder rispetto a noi) messe per 12 ore a 2°C. Tutto viene pressato molto freddo, e per inerzia. La macerazione viene fatta in parte su interi grappoli, in parte su grappoli ripuliti del verde. Verde che si percepisce, in maniera piacevole.
Per la fermentazione, il 70% avviene a lievito naturale, per il restante 30% inoculato. Si separa poi il fermentato in una serie di botti diverse, con diversi livelli di tostatura.
14,5%.
Rubo al filofoso-vignaiolo (o vignaiolo-filosofo) il concetto con cui si è congedato, perchè lo trovo particolarmente calzante, arguto, raffinato. E non me ne vogliano gli uomini...
Nel mondo del vino impera la grammatica maschile, il machismo di chi non vuole ammettere le proprie difficoltà, i propri limiti. Ebbene, questo mondo avrebbe bisogno di un ondata di sensibilità femminile, arma nascosta di tutte quelle donne che faticano ad affermarsi nella società, e che lottano per conquistare ogni singolo obiettivo, senza problemi ad ammettere le proprie fragilità.
Il vino ha bisogno di limiti, non può e non deve essere perfetto, dovendo rispecchiare i limiti dell'umanità.
Possiamo allora azzardare che il vino è donna?
x5
Antonio Pasquale, Il filosofo dell'altro mondo
la mancata accettazione dello scontato
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Liquidi piaceri