Tempo di villeggiatura, finalmente!
La meta scelta per quest'anno è Alghero, terra d'incantevole bellezza paesaggistica, d'interessanti fusioni etniche e di lunga tradizione gastronomica. Oltre che di buoni vini.
Siamo nel nord-ovest della Sardegna, in provincia di Sassari: la cittadina è il capoluogo della Nurra, regione che deve lo sviluppo agricolo, e quindi anche vitivinicolo, alle opere di riconversione di terre inospitali, iniziate negli anni cinquanta. La denominazione d'origine controllata per i vini locali è stata istituita solo nel 1995.
E' un territorio in prevalenza pianeggiante, con scarsi rilievi collinari, coltivato per la maggior parte a oliveti. Per quel che concerne la viticoltura, le varietà più rappresentate sono il Vermentino e il Cannonau, ma negli anni si sono ben ambientati altri vitigni internazionali, come i Cabernet, il Sauvignon, l'onnipresente Chardonnay e il Sangiovese. E non mancano, come si vedrà, interessanti espressioni autoctone.
Ad Alghero ha sede un'azienda storica, la Sella & Mosca, che ha un'estensione di quasi seicento ettari in unico vigneto, caratteristica che pochi possono vantare in Europa. Nasce dall'innamoramento fulmineo per quest'angolo di Sardegna da parte di un ingegnere e un avvocato biellesi, che a fine Ottocento decisero di far qui ripartire la viticoltura dalle ceneri della devastazione fillosserica. Tra l'altro, durante i lavori di bonifica, furono scoperti i resti della necropoli nuragica in località Anghelu Ruju; un famoso vino fortificato locale, tutt'ora prodotto dalla casa vitivinicola, è stato dedicato all'evento.
Il Vermentino, come d'altronde in tutta l'isola, ad Alghero è molto diffuso ed è previsto, nella DOC, anche in tipologia frizzante. La vicinanza del mare e la forte influenza del maestrale danno a questi vini una netta nota salmastra, unita ad una struttura decisa. L'ho trovato diverso rispetto ad altre varietà più sottili e fruttate prodotte altrove.
Per il Cannonau, ho degustato un prodotto le cui uve provengono dal retroterra di una delle spiagge più pittoresche, Le Bombarde, un angolo di paradiso che si raggiunge lasciando Alghero in direzione Capo Caccia. Si tratta, come da tradizione, di un vino dalla considerevole gradazione alcolica e dall'acidità invece contenuta, che intensifica i suoi aromi in botti di rovere. Il profumo è intenso e di grande finezza, con sentori caratteristici di arbusti mediterranei, gli stessi che si percepiscono in modo vigoroso scendendo le dune sabbiose del litorale. In bocca è pieno e armonico, con una nota tannica vellutata. E' un vino che ben si abbina ai piatti di carne.
Ho assaggiato poi un Sauvignon Blanc, previsto in purezza dal disciplinare della DOC. Seppur ben fatto, non mi ha entusiasmato, forse per la scarsa tipicità. Il sentore varietale era poco pronunciato, mentre prevaleva troppo la nota sapida.
Altro vino non indimenticabile, provato più per rigore degustativo che non per reale appeal, è stato un blend rosé da Cabernet Sauvignon e Franc. Nulla di espressivo da ricordare. Se vi capita, scegliete altro.
Vediamo assieme i vitigni autoctoni.
Si parte con un Cagnulari, vino giovane e fresco, ottenuto da un vitigno storico, quasi estintosi negli anni. E' presente in percentuale rilevante nel sassarese, mentre è pressoché assente – almeno come monovarietale – nelle altre regioni sarde.
E' quel che definirei un 'vinaccio', in senso per nulla dispregiativo. Intendo piuttosto definirne il carattere schietto, ruspante ma accattivante; un vino inconfondibile e leale, che può non piacere, certo. Un po' come il campione del ciclismo Bartali, detto Ginaccio, cui molti preferirono il più elegante Coppi, ma di cui nessuno si permise di disconoscere la lealtà sportiva e umana.
Ha una decisa intensità aromatica, spicca la nota floreale (di geranio) al naso. In bocca presenta carattere franco e pulito. L'ho abbinato, con molto gusto, a scottadito d'agnello alla griglia.
L'altro vitigno autoctono è il Torbato, esclusivo dell'algherese, ove si è adattato all'ambiente pedoclimatico su un centinaio scarso di ettari. E' d'indubbia origine ispanica, importato durante la dominazione catalana e proveniente, con ogni probabilità, dalla culla ellenica delle 'uve malvatiche'. Fino a pochi anni fa era coltivato ad alberello, ormai abbandonato quasi ovunque a favore di forme di coltivazione più gestibili.
È proposto sia fermo che come spumante metodo classico. Il primo è un'interessante tipologia, con caratteri molto peculiari secondo il cru di provenienza. Quello da me degustato proveniva da una delle aree a maggior vocazione, con terreni ricchi di calcare. Al naso si è rivelato irto di complessità, mentre in bocca ha abbozzato una morbidezza insolita per questi vini, figlia di una piccola quota di passaggio in barrique. È il vino perfetto nell'abbinamento con i crostacei.
Lo spumante invece è un vino più gentile, fragrante e piacevole, che può tranquillamente accompagnare il pasto intero, sia a base di pesce che di altri ingredienti. L'ho ampiamente (sic) gradito con tagliolini neri alle cozze, vongole e bottarga di muggine.
Vi lascio con un 'simpatico' siparietto fuori programma.
Un giorno abbiamo percorso la meravigliosa statale litoranea che porta a Bosa, strada resa nota da decine di spot automobilistici girati qui.
L'intento era degustare la famosa – benché rara da reperire – Malvasia locale. Ebbene, nessuna traccia nei pochi negozi del centro. Alla fine, prima di abbandonare le ricerche e tornare indietro, tento la fortuna in un baretto di periferia, dove compare una bottiglia a produzione familiare. Garanzia di qualità? No, fregatura colossale!! Un vinaccio (questo sì, pessimo!!) in bottiglia d'acqua minerale chiusa con tappo di metallo a vite neppure troppo ermetico...
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