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Le denominazioni del vino

02 Agosto 2011
Selva di sigle oscure?
Andando per enoteche, l'aspetto che più colpisce chi si avventura nella sterminata flora di etichette è il gran numero di sigle che accompagnano una bottiglia.
Innanzitutto, troviamo i nomi di fantasia che i viticultori attribuiscono ai propri prodotti; poi, campeggiano le indicazioni circa il vitigno utilizzato, il grado alcolico ed eventualmente qualche suggerimento per la più adeguata temperatura di servizio o per la pietanza in grado di esaltare il vino in questione. Ma il clou di un'etichetta è la denominazione del vino.

In tutto il mondo vitivinicolo esiste un sistema di classificazione, sovente gerarchico, che consente di identificare la provenienza delle uve utilizzate e la tipologia del vino. In Italia, la garanzia di qualità vitivinicola è organizzata a piramide: alla base trovano posto i vini più semplici, mentre salendo verso il vertice si incontrano i vini di maggior lignaggio. La minuziosa strutturazione è stabilita da una legge dello stato ed è imperniata sul famigerato 'disciplinare di produzione', una sorta di check-list cui i produttori devono attenersi con attenzione in ogni momento della vinificazione.

La categoria alla base della piramide, quella dei VINI DA TAVOLA, in realtà non deve rispettare alcun regolamento specifico. In pratica, possono essere assemblati vini di ogni tipo, uvaggio, provenienza ed epoca vendemmiale. In una parola, anarchia.
Salendo alla categoria IGT (Indicazione Geografica Tipica), compare il vincolo del disciplinare: si individua un territorio vitivinicolo abbastanza ampio, nel quale devono essere prodotti vini contenenti, per almeno l'85%, uve autorizzate per quella regione.
La parte più 'appuntita' della piramide è riservata ai VQPRD, cioè Vini di Qualità Prodotti in Regione Determinata. Qui sono racchiuse le categorie più tutelate, cioè le DOC (Denominazione d'Origine Controllata) e le DOCG (Denominazione d'Origine Controllata e Garantita), riferite a territori vitivinicoli molto adatti alla coltivazione e alla produzione enologica. In queste categorie il rispetto dei dettami previsti dal disciplinare è ferreo, intervenendo in ogni momento della filiera produttiva.
Nella DOC, rispetto all'IGT, le uve devono provenire per intero dal territorio indicato, che di solito si estende su una zona molto più ristretta. In più, i vini sono sottoposti ad un'analisi chimica ed organolettica, prima di essere messi in commercio. Tutti questi aspetti sono esasperati nella realizzazione di una DOCG, titolo onorifico che viene concesso ad un'area con caratteristiche di estrema vocazione e che sia già stata registrata come DOC per almeno cinque anni. La quantità di vino prodotta è regolamentata in base all'estensione del vigneto dichiarato: il certificato di garanzia lo si trova in forma di fascetta colorata al collo della bottiglia di un vino a DOCG.

Quindi, quando prendiamo in mano una bottiglia di vino, districandoci tra queste sigle, siamo sicuri di bere il meglio. O no?
E' sempre vero che un vino DOC o DOCG ha doti qualitative superiori – ed un prezzo, di conseguenza – ad una IGT?

In linea di principio dovrebbe essere così. E' chiaro che i passaggi da soddisfare per ottenere l'ambito riconoscimento della Denominazioni costituiscono una tutela di garanzia per il consumatore, che possiede così sufficienti strumenti per capire se un vino è raffazzonato oppure ha una solida tradizione alle spalle. Il senso dell'istituzione del disciplinare è proprio quello di dichiarare, a chiare lettere, che il produttore non ha improvvisato né barato, ma si è attenuto a regolamenti piuttosto rigidi per raggiungere standard qualitativi elevati. Una débâcle come lo scandalo del vino al metanolo che sconvolse l'Italia nel 1985, oggi non potrebbe più verificarsi.

Ma, proviamo a ribaltare il discorso? Un vino IGT è sempre perdente nel confronto con un superiore? Non scherziamo...mai sentito parlare di Supertuscans?
Chi segue il disciplinare può fregiarsi, in etichetta, della Denominazione. Chi invece sperimenta ed innova, allontanandosi dai vincoli – a volte scomodi – delle normative, sulla carta vede declassato il proprio prodotto a IGT o a vino da tavola; ma nulla vieta che la fantasia con la quale ha operato sia stata il viatico alla realizzazione di un capolavoro enologico.

Non si vuole confondere le idee, equiparando categorie enologiche differenti per storia e prestigio. Si vuole soltanto ricordare come, nella scelta di un vino, spesso fermarsi alla semplice equazione 'un vino a DOCG è buono, il resto no' può essere fuorviante.
Come diceva Renzo Arbore in un riuscitissimo passaggio pubblicitario? 'Meditate gente, meditate!'
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