Stappare una bottiglia di champagne, o meglio ancora di spumante - onorando così i colori della nostra bandiera – evoca una miriade di suggestioni: la celebrazione di una festa in famiglia o con amici, di una vittoria sportiva, il raggiungimento di un obiettivo, un successo lavorativo, ma anche la cantina, il luogo dove quel vino, come tanti vini, è nato, e soprattutto il lungo, paziente ed affascinante lavoro che accompagna lo sviluppo dell'effervescenza.
La domanda che ci si pone, infatti, davanti a questa categoria di vini è: ma in che modo e perchè si formano le bollicine?
Nel nostro paese due fondamentalmente sono i metodi cui si fa ricorso per spumantizzare un vino, facendo si che noi consumatori finali possiamo apprezzare, nel bicchiere, una moltitudine di danzanti e luminose capocchie di spillo: il metodo classico (un tempo detto anche 'champenois') ed il metodo Charmat (dal nome di chi lo brevettò) o Martinotti (in memoria dell'italiano che per primo lo aveva sperimentato verso la fine dell'Ottocento).
La differenza principale tra i due è la sede ove avviene la rifermentazione, che nel primo caso è la bottiglia mentre, nel secondo, l'autoclave.
Quello che a noi oggi interessa è il primo, che deriva dallo storico metodo utilizzato per lo Champagne, per il quale viene tuttora usata - solo in Francia - la dicitura 'champenoise'.
Questa definizione, infatti, un tempo poteva comparire sulle etichette di spumanti prodotti all'estero (estero rispetto al paese d'origine, si intende, ovvero la Francia) e, quindi, anche in Italia ma, intorno agli anni 90, un provvedimento dell'Unione Europea ne ha proibita la menzione su vini prodotti al di fuori della Champagne.
Per tale ragione, l'unica dicitura che noi possiamo utilizzare per indicare il processo di spumantizzazione di cui parleremo è, appunto, 'metodo classico'.
Si parte – come sempre – da una prima fermentazione di una miscela (cuvee) di uve (bianche, che daranno il blanc de blancs e/o nere, che daranno a loro volta il blanc de noirs). La vendemmia è leggermente anticipata, per garantire al prodotto l'acidità necessaria a fargli sostenere le fasi successive.
Grazie all'aggiunta del cosiddetto liqueur de tirage, miscela di lieviti selezionati, zucchero di canna, sali minerali, caseina ed argilla, in proporzioni variabili, viene innescata nuovamente la fermentazione
Il vino viene, quindi, imbottigliato nelle famose champagnotte, tappate con uno speciale tappo a corona che contiene un piccolo cilindro di plastica (bidule), che servirà per raccogliere le fecce.
Le bottiglie manterranno la posizione orizzontale per circa 4 mesi, per permettere al vino di diventare spumante attraversando la fase della 'presa di spuma', che assicura la formazione delle tanto agognate bolicine. Gli zuccheri subiscono la fermentazione per merito dei lieviti, e si trasformano in alcol etilico ed anidride carbonica, che si discioglie nel vino, arricchendolo di aromi e sapori.
A questo punto, il nostro vino è pronto per la maturazione sui lieviti, fase di durata variabile, auspicabilmente non inferiore ai 12 mesi per avere spumanti di qualità, durante la quale i residui di lieviti (o fecce) si depositano sul fondo della bottiglia: per evitare che si formino incrostazioni, è necessaria l'operazione di sbancamento (coupe de poignée), con la quale si scuotono periodicamente le bottiglie.
Queste vengono amorevolmente posizionate su 'pupitres', speciali rastrelliere crivellate da fori ovali, e periodicamente girate e variate di inclinazione fino a che non si troveranno in posizione verticale, con il tappo rivolto verso il basso. Attraverso a questa operazione denominata 'remuage', eseguita anche più volte al giorno, le fecce dei lieviti esausti si depositeranno nella bidule, da dove verranno eliminate in maniera definitiva attraverso la sboccatura o 'degorgement'.
Originariamente, ed ancora oggi in qualche piccola cantina, mani esperte la eseguivano 'a la volée', togliendo il tappo a corona e girando contemporaneamente e molto velocemente la bottiglia, in maniera tale da evitare la perdita di liquidi, o, al contrario, che rimanessero residui di fecce.
Oggi, il metodo più usato è quello detto 'a la glace', meno scenografico ma sicuramente più efficace e preciso: la porzione di collo della bottiglia contenente le fecce viene immersa in un liquido refrigerante. Una volta gelata, si rimuove il tappo a corona agevolando l'opera di espulsione da parte della pressione interna della bottiglia.
Nel corso dell'intero procedimento, e per effetto dei vari trattamenti subiti, il contenuto della bottiglia sarà sensibilmente diminuito. A questo punto, occorrerà ricolmare attraverso l'aggiunta di una miscela di vino, mosto e zucchero di canna (liquer de dosage) in proporzioni variabili a seconda del produttore – ricetta segreta! - e del tipo di spumante che si vuole ottenere, con riferimento al residuo zuccherino ('non dosati' o 'più o meno dosati').
L'opera è completata con la chiusura della bottiglia mediante il consueto tappo a fungo e con la sua vestizione con capsula, etichetta e controetichetta, in maniera da renderla elegante per l'accesso alle tavole e per accompagnare le nostre celebrazioni.
L'eterna querelle che caratterizza i rapporti con i cugini d'oltralpe sotto tutti i punti di vista, che si parli di calcio, musica, letteratura, politica, cibo e via dicendo, non può non aver interessato il vino, in particolare le bollicine, prodotte in maniera egregia, va ammesso, da entrambi i paesi.
A parte la già citata controversia riguardo al nome del metodo produttivo, pare che il metodo classico italiano batta lo Champagne, quantomeno come date. Sarebbe apparso, infatti, alla Biblioteca Nazionale di Roma, un trattato a firma di Francesco Scacchi, medico marchigiano, che descrive con dovizia di particolari il vino 'titillan' o 'piccans', indugiando sul metodo di produzione, che ricorda in tutto e per tutto lo champenoise, pur risalendo (e questa è la vera notizia) al 1622, ovvero ben 50 anni prima che Dom Perignon si dilungasse sulla materia nei suoi scritti.
Non va dimenticato, tra l'altro, che alcuni testi sacri hanno rivelato che già i Romani conoscevano il processo di rifermentazione in bottiglia, ovviamente non con le tecniche attuali, ma con le rifermentazioni di vini dolci nei recipienti di allora (anfore di terracotta, ecc.), oppure con l'aggiunta di uva appassita o di mosto dolce a vini base già fermentati. Per individuare questi vini, i romani ricorrevano ai termini saliens, titillans, spumans, spumescens, ad indicare in maniera chiara l'uscita delle bollicine dal vino, lo spumante.
Per quanto riguarda, invece, i dati di produzione, se è vero che le bollicine italiane, tra metodo classico e metodo charmat, non hanno ancora raggiunto le cifre di produzione dei vini effervescenti francesi, è altrettanto vero che hanno registrato, negli ultimi 10 anni (dal 2000 al 2010), un trend di crescita di gran lunga più significativo.
E proprio questo è il dato che va festeggiato con sano orgoglio nazionale e con grande soddisfazione, al di là delle annose battaglie a colpi di percentuali e di calici, che non giovano a nessuno se non allo spirito di competizione, e che sarebbe , forse, meglio ricondurre unicamente ad altri ambiti meno seriosi e più goliardici, quali, ad esempio, quelli strettamente calcistici, anche perchè ci vedono, spesso, vincitori...
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