Durante il triennio formativo proposto dall'Associazione Italiana Sommelier si assaggiano numerosi vini. A mio avviso è soprattutto il secondo anno, dedicato alla panoramica di tutte le zone vitivinicole d'Italia e delle principali mondiali, a schiudere i segreti della degustazione.
Forse l'incontro che più mi è rimasto impresso nella memoria, per le emozioni suscitate, è stato quello col Greco di Bianco, vino allora a me del tutto sconosciuto.
Si tratta di un passito naturale prodotto nella zona costiera ionica in provincia di Reggio Calabria. Per quanto le documentazioni storiche possano attestare, siamo al cospetto del vino più antico d'Italia, assieme ad un altro passito di medesima derivazione e prodotto non lontano, il Moscato di Siracusa.
Nasce dalla vinificazione del vitigno Greco, d'indubbia origine ellenica: approdò qui nel VII secolo a.C. al seguito dei coloni della Magna Grecia e si ambientò così bene da divenire autoctono.
E' un nettare che nel recente passato ha rischiato l'estinzione, per l'esiguità della produzione; è stato salvato dall'opera benemerita di una cooperativa locale. In ogni caso, una Denominazione d'Origine Controllata (omonima) lo tutela dal 1980.
L'uva è coltivata a cordone speronato, anche se sopravvive qualche sparuto alberello. Il terreno della zona gioca un ruolo chiave nell'evoluzione: la base argillosa trattiene l'umidità e la rilascia durante le estati infuocate. Dopo la vendemmia ottobrina, le uve giacciono ad appassire su graticci di canne per una decina di giorni, a realizzare un calo di un terzo del peso dell'acino. La componente zuccherina risulta così molto concentrata. Dopo la fermentazione in botticelle di castagno, l'affinamento avviene prima in vasche d'acciaio e poi in bottiglia. La messa in commercio è prevista dopo almeno un anno dalla vendemmia.
Infine, giunge il momento di mescerlo.
Un colore ambrato dai riflessi d'oro antico pervade l'ambiente, riflettendo con vigore la luce tutt'attorno.
Il naso è intenso e ampio, regalando al contempo un'impressione di grande eleganza. I profumi di frutta in confettura e le note eteree sono affascinanti. Tipico è il sentore di fiori d'arancio.
In bocca è dolce ma non troppo: amabile, piuttosto. E' alcolico e di grande morbidezza. Sapidità e acidità pronunciate ricordano che lo Ionio ha accompagnato, con le sue brezze, la maturazione dell'uva. Pare di masticare fichi secchi, a berlo. Il sapore del miele poi non manca. Il retrogusto è speziato, con piacevole tendenza amarognola. E dura un'eternità.
Si abbina alla pasticceria secca e alla pasta di mandorle, ma non stona con il cioccolato o con formaggi stagionati a pasta dura.
Insomma, un vino figlio del sole, che accarezza i sensi e dona pieno godimento.
Persino la bottiglia che lo contiene mette allegria: è la pulcianella, quel contenitore basso e largo ormai più famoso all'estero che in Italia. E' tipica degli Armagnac in Francia, i tedeschi la chiamano Bocksbeutel e ci conservano il Riesling, mentre molti la associano alle produzioni portoghesi come Mateus rosè e Vinho Verde.
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