Sinceramente: alzi la mano chi ha avuto l’opportunità di assaggiarne un calice.
Pochi? Lo sospettavo…
In effetti non è infrequente che, anche agli enoappassionati più accaniti, questo vino possa essere sfuggito.
I motivi? Da sempre è prodotto in quantità minime, raramente è proposto al di fuori della Sardegna e spesso è poco valorizzato.
Non è un vino “facile”, certo. Scordiamoci la morbidezza di un Merlot, dimentichiamo i profumi leggiadri ed accattivanti di uno Chardonnay.
Qui siamo al cospetto di un sapore atipico, in alcuni casi ostico, a cui le nostre papille ordinarie non sono avvezze.
Ma nel momento in cui riusciamo ad intuirne caratteri e qualità, ecco che veniamo ampiamente ripagati.
L’uva utilizzata, in assoluta purezza, è la Vernaccia, coltivata e lavorata in una manciata di comuni nella zona pianeggiante subito a nord di Oristano, corrispondente alla bassa valle del fiume Tirso. Non vi è alcun rapporto di parentela tra questo vitigno e l’omonimo coltivato a San Gimignano; e nemmeno con quella Nera di Serrapetrona o con la Vernatsch (la Schiava) altoatesina.
L’origine del vitigno è arcaica: chi dice di derivazione fenicia, chi spagnola, chi locale. Non è chiaro; di fatto, le prime testimonianze scritte risalgono addirittura al tardo medioevo.
Questa perla, prima in Sardegna ad ottenere la Denominazione d’Origine Controllata nel lontano 1971, va declinata al plurale: sono infatti molte le Vernacce che possiamo degustare.
Si spazia da prodotti affinati pochi anni, dal tenore alcolico contenuto e dal colore oro chiaro a nettari ambrati invecchiati per decenni e contenenti oltre un quinto del loro volume in alcol!
Tra questi due estremi, riscontriamo numerose tipologie: Secco, Superiore, Riserva, Liquoroso Secco e Dolce.
Sulla carta stiamo parlando di un vino bianco.
In realtà, la tecniche produttive sono lontanissime da quelle tradizionali: pur con le dovute proporzioni (qui manca la fortificazione), ci avviciniamo alla metodologia di realizzazione dello Jerez spagnolo, lo Sherry per gli inglesi.
L’iniziale consueta vinificazione in bianco è seguita da una maturazione di circa due anni in botti di rovere o di castagno. Il successivo affinamento è di tipo ossidativo: i produttori colmano le botti solamente per nove decimi, lasciando quindi la superficie del vino a contatto con l’ossigeno. Questo microambiente unico assicura lo sviluppo di una cortina fungina (velo da flor), che conferisce al vino qualità organolettiche complesse e uniche.
Nelle cantine è garantita una decisa permeabilità al calore ed ai venti, in modo da mantenere temperature piuttosto elevate associate a bassi valori di umidità.
Il fattore chiave della maturazione è quindi il lento invecchiamento in condizioni che, per altri vini bianchi, risulterebbero precarie o addirittura dannose: solo così si esprimeranno quegli straordinari sentori di mandorle e nocciole e il tipico aroma ossidato, che i cugini francesi definiscono rancio.
Vino impegnativo in degustazione, la Vernaccia di Oristano è pur tuttavia versatile al momento dell’abbinamento: è insuperabile come vino da dessert, soprattutto se accostato agli amaretti locali oppure alle tipiche seadas, fatte di sfoglia al formaggio ricoperta di miele d’acacia.
Sorbito ben freddo, è invece un ottimo aperitivo.
Infine, nelle gradazioni meno alcoliche, può abbinarsi davvero bene a specialità a base di pesce, antipasti saporiti o alla tipica bottarga di muggine di Cabras.
Dunque, una prece di ringraziamento a Santa Giusta, per averci donato il miracolo della Vernaccia: una leggenda isolana vuole che le vigne di questa varietà sorgessero rigogliose nei luoghi ove le lacrime della santa, immalinconita dai patimenti malarici della popolazione, penetravano nel terreno arido, irrorandolo e nutrendolo in profondità.
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