Ho assistito due settimane fa a Lissone, durante il weekend di apertura di Libritudine - il festival letterario della Brianza – alla presentazione di un libro, è il caso di dirlo, gustosissimo. Si tratta dell'ultimo lavoro della storica e giornalista Giovanna Ferrante, ideatrice dei Salotti della Domenica e vincitrice dell'Ambrogino d'Oro: 'El risott del Carlo Porta – Viaggio gastronomico nella Milano del Poeta', e la prima cosa da sottolineare, va detto, è che l'autrice, che ho avuto modo con molto piacere di conoscere prima della conferenza, è una di quelle persone che mi stanno a pelle subito simpatiche. Non per niente, come me, è una speaker radiofonica: conduce infatti diverse trasmissioni per la mitica Radio Meneghina. Ci accomunano però altre passioni, come la buona cucina nostrana, innanzitutto e le sue ricette 'filologiche', e poi l'amore viscerale per la nostra città, per le tradizioni e il dialetto, anzi per meglio dire la lingua locale (che nel caso del milanese vanta una tradizione letteraria di grandissimo respiro); non ultime, anzi direi proprio come fondamenta, la storia e la letteratura.
'El risott del Carlo Porta' è, dunque, un romanzo breve molto particolare, dove ad un filone narrativo di matrice storica si intreccia un corpus di ricette della tradizione. Per la verità, la natura ibrida tipica del romanzo viene qui declinata in varie direzioni: alla finzione letteraria si raccordano infatti numerosi ed ampi flashback di interesse storico-documentaristico sulla Milano ottocentesca e, anche, veri e propri racconti nel racconto, piccoli camei legati alla storia gastronomica della città, in una sorta di mosaico piacevolissimo e scorrevole nonostante l'impegno documentaristico di cui si nutre.
Maggio 1809: Milano da pochi anni – quattro per l'esattezza - è la capitale del napoleonico Regno d'Italia e come tale è il fulcro dell'economia e della cultura italiane. Il romanzo prende avvio da una pagina del Corriere delle Dame, il primo magazine femminile comparso in Italia, fondato dalla milanese Carolina Lattanzi nel 1804 (e rimasto vitale per settant'anni): viene annunciata con toni allarmati la sparizione di una dama dell'alta società, Carolina Perego in Vavassori. La vicenda di Carolina, sposa infelice di un ricco ed arido notaio cittadino reo di trascurarla, corre parallela al filone principale, il racconto di una pacciada – una solenne abbuffata (Brera docet) - che vede protagonisti quattro fra le più notevoli voci della Milano dell'epoca: il poeta Carlo Porta (1775-1821), l'Orazio meneghino, allora trentatreenne ma già noto per la sua vena particolarmente feconda; il suo carissimo amico e poeta, di quindici anni più giovane, Tommaso Grossi (1790-1853), allora studente in legge, reso noto dal poema storico 'Lombardi alla prima Crociata' ma attivo anche nel filone della poesia dialettale di ispirazione amorosa e satirica (scrisse sovente a quattro mani con l'amico Porta); Giovanni Berchet (1783 – 1851), traduttore e polemista impegnato nella polemica classico-romantica (si ricorda la sua 'Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo', del dicembre 1816) e Gaetano Cattaneo, coetaneo dei tre più noti amici, fondatore e direttore del Gabinetto Numismatico di Brera e disegnatore di monete per la Zecca milanese.
Il racconto principale si innesta su un'amicizia che fu reale e documentata, e che con ogni probabilità – dati i molti riferimenti letterari nelle opere di Porta e del Grossi - si consumò spesso e volentieri a tavola. Le quattro forchette si danno appuntamento alla loro osteria preferita, la Cassina di Pomm, sul Naviglio della Martesana; alzato un 'brindes' alla loro riunione (la Ferrante riecheggia i celeberrimi 'brindes' in versi del Porta), si consacrano alla tavola e non meno alle chiacchiere, avviando la conversazione proprio con la vicenda di cronaca che sta facendo parlare Milano. Sin dalle prime pagine emerge l'abile incastro di ricerca storica e invenzione: come emerge dai discorsi dei quattro, la Cassina di Pomm (originariamente un lazzaretto) fu frequentata anche da Giacomo Casanova, morto solamente una decina di anni prima, in occasione del pranzo di nozze di una sua ex amante.
Fra una portata e l'altra fioriscono pettegolezzi d'epoca, aneddoti, ricordi di scorci perduti della vecchia Milano, pagine di alta gastronomia sforzesca; e, puntualmente declamate dall'oste ma anche qua e là da qualche commensale, giungono anche le ricette, spesso in dialetto: i nervitt e il vitel tonee 'faa come el fèmm numm', la busecca fatta mettere in rima dal Porta, gli involtini di verza descritti da un viaggiatore del Seicento, la cotelèta (che dev'essere arrostita rigorosamente nel burro), il risott a la milanesa. Ed è proprio il risotto giallo a fungere da filo conduttore per tutto il romanzo: vero stupore della cucina meneghina, nasce da uno scherzo di un garzone al pranzo di nozze della figlia di Valerio di Fiandra, il maestro vetraio della fabbrica del Domm; e, continuando a stupire, unisce idealmente la tavola dei nostri quattro intellettuali ad altri due deschi celebri: quello della nobile e dispotica duchessa Serbelloni, la famosa letterata, asso dei fornelli per compiacere gli ospiti della villeggiatura, e quella più intima di Carolina Perego e del suo amante, che tra le righe si intuisce essere Ugo Foscolo. Sì, perché Carolina è protagonista di una fuga d'amore (fittizia, ovviamente) con il poeta più affascinante e – ahimè - infedele dell'epoca, il cui nome non viene mai apertamente svelato; per intrigarlo arriva a cucinargli trepidante un risotto con l'ossobuco, un piatto speziato ed afrodisiaco, che terrà avvinto alle sue braccia per qualche notte ancora il suo focoso uomo, refrattario, com'è noto, ai legami sentimentali e non solo.
Il libro dipinge insomma, storia dopo storia, una Milano romantica e passionale, e lo fa attraverso l'originale prospettiva della cucina; e, con la stessa leggerezza con cui era iniziato, prende congedo dal lettore, con la notizia di Carolina ritrovata mentre i quattro amici terminano la pacciada fiammeggiando una charlotte. Un libro interessante, ben scritto e denso di passione e di ricerca storica, che denota tutto l'amore per una Milano che può e deve tornare faro di cultura per l'Italia e per l'Europa intera, come si auspica l'autrice. Un intarsio prezioso e tuttavia amabile, quello della Ferrante, dove convivono pagine erotiche e preziosi camei storici, lingua italiana e lengua milanesa, gli aromi tranquilli della cucina della tradizione e le note inebrianti e antiche dei vini lombardi: su tutti, nonostante il Porta avesse onorato con i suoi versi molti vini del contado, e anche quelli del Varesotto, spicca in particolare il vino di San Colombano, il vero nettare di Milano, e con lui la sua storia, che affonda addirittura in epoca longobarda.
Giovanna Ferrante
El risott del Carlo Porta
Viaggio gastronomico nella Milano del Poeta
Ancora Editore
87 pagine, euro 10
x5