Archivio Storico 2011-2017

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Cento piatti per spendere poco

10 Agosto 2011
Alla ricerca di vecchi ricettari
Capita di sfogliare vecchi ricettari. Quando lo si fa, si viene letteralmente proiettati in un'altra dimensione, perché la cucina sa parlare delle epoche che la produssero come poche altre cose: la moda, ad esempio, l'arte o la letteratura, e non si capisce perché, quand'è così, le si debba negare uno status estetico al di là dell'aspetto meramente appetibile ed... appetitoso che le compete.

In questi giorni, mentre facevo un po' di repulisti nella mia discreta biblioteca culinaria, mi è caduto lo sguardo su un libro che mi aveva regalato mia madre quando mi ero sposata, dodici anni fa, e che a sua volta aveva ricevuto in dono da mia nonna: un libro di quelli che ci si passa di madre in figlia, insomma, e che sono fra i doni più graditi che possa ricevere una sposina che si appresta ad affinare le arti culinarie per deliziare il novello impalmato. E' un libro del 1976, e fa parte di quella fortunata collana della Fabbri, diretta da Luigi Carnacina - i 'Jolly della buona cucina' -, che ebbe un larghissimo seguito e che reclutava firme assolutamente prestigiose per dei ricettari monografici a prezzo contenuto. Forse il primo esperimento del genere in Italia, sicuramente il progenitore di tantissime pubblicazioni a venire, più o meno felici.

Ve li ricorderete di certo, perché molti circolano ancora fra i remainder di questa o quella libreria; nei centri commerciali capita di trovarli ancora in offerta sparata (sicuramente in proporzione più del prezzo originario, che non ha mai visto l'euro per inciso, e che si aggirava sulle1500 lire Iva compresa). Contestualmente intasano anche Ebay (troppi, secondo me, affermano di averli ancora incellofanati: sarà poi vero?): sono quei libri di un centinaio di pagine con la copertina quadrettata come una tavola di trattoria e immancabile rilegatura a spirale, che fecero la fortuna della Fabbri per un quindicennio buono, oggi rimpiazzati dalle più modeste pubblicazioni in serie della Prova del Cuoco (guarda caso anch'esse intitolate 'I Jolly') e della nuova icona delle casalinghe in carriera, Benedetta Parodi.

Bene, dicevo che un libro in particolare di questa collana mi era capitato fra le mani, anzi caduto in testa per la precisione mentre spolveravo gli scaffali: quando si dice l'ispirazione dall'alto. Si tratta dei 'Cento piatti per spendere poco', di Marta Luzi, unico testo di cucina scritto da quest'autrice che poi si consacrò alle traduzioni letterarie, a riconferma del fatto che cucina e letteratura sono molto più vicine di quel che sembra. Un libro che, nonostante le sue trentacinque primavere – la prima edizione è del 1976 - è ancora vendutissimo, come testimonia la sua massiccia presenza negli shop online; un libro datato divenuto un evergreen, un vero e proprio oggetto di culto per gli appassionati del genere.

Ci si può chiedere cosa giustifichi nel Duemilaeundici il successo clamoroso di un libro così terribilmente datato e oltretutto scritto da una meteora della cucina. Dalle ricette decisamente retrò, come gli involtini di prosciutto in salsa besciamella che fanno tanto sciura Maria, alle illustrazioni in perfetto stile Polaroid, a volte un poco sovraesposte, sicuramente ipertoniche di colori, il criterio non è certo il minimalismo culinario dei giorni nostri, quel misto di equilibrio delle proporzioni visive e gustative tendente alla dieta eterna; piuttosto, quella dell'abbondanza, dello straripamento, del riempimento totale degli spazi a disposizione della massaia, siano essi estetici o digestivi.

Il messaggio è da leggersi, ovviamente, tra le righe. Da una parte il must del corretto comportamento a tavola odierno è quello di contenersi, quantitativamente parlando; è praticamente impossibile al giorno d'oggi trovare non dico un libro o una rivista, ma addirittura una trasmissione televisiva, un blog o un forum dove non ci si richiami prepotentemente alla moderazione a tavola pena un purgatorio dietetico da scontare; del resto, in epoca di crisi economica l'argomento dell'austerity potrebbe venire incontro anche al portafogli, anche se pochi sono disposti ad ammetterlo (è, al contrario, il periodo d'oro degli operatori dell'ortoressia). Dall'altro lato, invece, il rovescio della medaglia: si eccede nell'inseguimento di una mitica qualità creata artificiosamente dalle mode culinarie. Le ultime tendenze ci impongono infatti di abbinare gli ingredienti più stravaganti come le pesche, l'olio d'oliva e il gorgonzola; e questo andrebbe anche bene per un creativo discorso svuotafrigo, salvo poi intimarci di scovare le pesche di Monate, il gorgonzola assolutamente di Gorgonzola e l'olio del Garda perché altrimenti non sta bene. Bisogna cibarsi di biologico, accertarci che gli acquisti siano OGM free, che siano a chilometro zero; guai a chi non ha in dispensa i sali della Camargue, lo sciroppo di agave che dolcifica meglio del fruttosio con ridottissimo apporto glicemico, il fenomenale chorizo spagnolo; in frigorifero il burro di malga che irrancidisce il giorno dopo, nella moderna madia la farina Manitoba. Tutto questo, senza dubbio, ha i suoi bravi costi, e concedersi l'originalità in cucina significa spendere un sacco di soldi in bisogni, spesso, costruiti artificialmente, molto più artificialmente dei bisogni artificiali di base. E chi è che riesce a rinunciare, oggigiorno, a sentirsi à la page? Così come tutti possiedono il telefonino, vogliono anche mangiare eclettico e alla moda, pena il rimanere esclusi dalle eleganti disquisizioni col capufficio o dalle serate con gli amici delle medie beccati su Facebook, che naturalmente fanno una vita totalmente diversa dalla nostra ma con i quali non possiamo non sentirci sempre e comunque in armonia, in una sorta di appiattimento sociale collettivo da cui non si riesce più a scappare...

Eppure, in preda ad uno straniamento totale, tesi quotidianamente fra la necessità di apparire raffinati gastrologi, in grana e pure in forma smagliante, sotto sotto sentiamo francamente il bisogno di evadere. Se a parole siamo tutti fini intenditori di chianina, coi fatti cerchiamo una giustificazione ideologica alla nostra sviscerata passione per la saporita ed economica coscia di suino con le patate. La risposta c'è, ed è la più semplice che si possa immaginare: il ritorno immaginario alle origini, il mito del buon selvaggio, della cucina senza freni della nonna, del putost che roba vanza, crepa panza, degli ingredienti semplici e del riciclo di tutto quello che si può riciclare, per farci sentire finalmente in pace con noi stessi in un luogo dove nessuno può scovarci. Dove altro potremmo cercare ristoro allora se non nelle grasse polpette al sugo coi piselli che ci faceva la mamma da bambini?

Ma siccome nel frattempo anche la mamma si è convertita, grazie alla potenza mediatica dell'affaire cucina, alle nuove tendenze e queste polpette non ce le cucina più, l'unico modo di sfuggire ai cliché è quello di andare alla ricerca spasmodica di uno spaccato d'epoca nei libri di cucina vintage. 'Cento piatti per spendere poco' è proprio un libro di questi. Non che non se ne scrivano di simili anche oggi, ma c'è sempre un ma: solitamente l'arte dell'economia in dispensa si associa regolarmente a tristi giustificazioni alimentaristiche che stroncano ogni nascente guizzo dell'immaginazione. Quando invece la grande Armanda Capeder, fine letterata del resto, scrisse la prefazione al suddetto libro – la 'Piccola enciclopedia della cucina 'povera''- decise argutamente di esordire con delle nozioni di 'moderna dietetica', ma nel confrontare i valori nutritivi di alcuni alimenti, mise sullo stesso piano il contenuto proteico di 100 grammi di carne di manzo magra senz'osso o del 'costosissimo' (parole sue) prosciutto crudo a quello di 50 g di salame Milano. Ora, è chiaro che un libro del genere è decisamente un piacere da sfogliare, è puro relax mentale. Ci diciamo continuamente che le ricette non le proveremo mai, che il semplice fatto di possederlo e ogni tanto dargli un'occhiata, ci ritempra, in una sorta di fuga immaginaria in un mondo di delizie a costo zero. In realtà il paradiso alimentare dell'acquacotta e della pasta al forno con le polpettine con il trionfo di uova sode come decorazione, degli spaghetti alla cipolla, del salame di cioccolato e dell'insalata di carne in scatola è più vicino di quanto sembri. Basta veramente poco per tornare liberi. Basterebbe mettersi in testa che mangiamo non per dimostrare qualcosa a qualcuno, ma per il puro piacere di farlo. Perché è vero che non siamo animali, ma nemmeno tutti Bocuse: o, almeno, nessuno ci costringe ad esserlo, fino a prova contraria.

Cento piatti per spendere poco
Marta Luzi
I jolly della buona cucina
Fratelli Fabbri Editori
98 pagine
Prezzo originale, nel 1976, L. 1550 Iva compresa
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