Il nome del progetto è geniale: UrBEES. Belle le rimembranze latine che si sposano in una parola così "ronzante".
L'idea è ottima e capace di aprire scenari molto interessanti. Ho letto di UrBEES in un bellissimo articolo che Repubblica propose poche settimane fa. Il tema mi interessava molto da vicino, perché noi, qui a Vienna, stiamo proponendo alle nostre api di attivarsi proprio nella stessa direzione e così ho voluto immediatamente prendere contatto con le persone che hanno dato vita a questa realtà che mi sembrava molto consonante con la nostra idea di mieli e di api: l'idea è quella del Landschaftshonig austriaco che noi portiamo avanti a Vienna e in tutta l'Austria.
Contattai subito Antonio Barletta, uno dei personaggi fulcro del progetto. Persona che ufficialmente presentava il progetto UrBEES sulle belle pagine di Repubblica raccontando di api e città, di mieli urbani, di terroir cittadini, ma con un punto di vista originale rispetto alle mode dei mieli sul tetto tanto per farsi un po' di pubblicità, che non mi hanno mai convinto. Presi subito contatto con Antonio attraverso Facebook e qualche giorno dopo eravamo in Skype per una bella e lunga telefonata dalla quale emersero molte consonanze e la mia richiesta per una intervista targata CavoloVerde.
Queste consonanze tra api-cultori ho cercato di trasporle in questa intervista attraverso domande che Antonio stesso mi chiese fossero schiette se possibile, per far emergere anche eventuali problemi che queste proposte innovative in apicoltura/api-cultura, come UrBEES possono portare con loro. Inviai poche ore dopo le mie domande ad Antonio ed ecco a voi il risultato. Credo sia un'intervista molto interessante e nello stesso tempo anche molto profonda nei pensieri che tratteggiano una nuova generazioni di api-cultori, come mi piace definirli e proprio come Antonio, perché veri portatori di nuova cultura delle api tra le persone prima che dei mieli, dei terroir melliferi possibili prima di arrivare al dolce vasetto ambrato che porta il sole nelle nostre colazioni del mattino e calorosi aromi-amori nei nostri piatti.
D) Antonio, la prima domanda che vorrei porti è relativa alla tua genesi come apicoltore e poi come creatore del progetto UrBEES. Come è nata l'idea, chi ne è stato ideatore, o gli ideatori, e poi cosa sia UrBEES in sostanza.
R) L'incontro con l'apicoltura è stato casuale. Così come la mia esperienza in teatro e la conoscenza di Cristiano, tecnico di palcoscenico e apicoltore nel tempo libero. Mentre in sala recitavano Il Gattopardo e mentre Brachetti sfoggiava i suoi mille volti, io e Cristiano passavamo ore in guardiola a parlare di api, del funzionamento del superorganismo, del miele, degli sciami, di regine e di alfieri, di natura incontaminata. Il teatro è un po' come l'alveare: dall'esterno senti un ronzio, all'interno assisti alle danze.
Il resto del lavoro è stato svolto dagli odori dell'apicoltura. Mai entrato in macchina di un apicoltore? Provateci, è una sensazione rilassante. E il viaggio in macchina è solo l'inizio. Quando si andava in val Chiusella, a vedere le api di Cristiano, i miei pensieri si trasformavano in purezza: le montagne innevate, il campanaccio delle vacche, i cinguettii, il vento sulle fronde degli abeti, i mille fiori, il ronzio delle api, l'odore dell'affumicatore, i favi. Un mondo immaginario.
Poi ho trovato la mia dimensione in città, dove vivo e mi piace vivere. Ho scoperto l'apicoltura urbana delle grandi metropoli del mondo e ho pensato che aveva senso introdurla a Torino.
Non sto a raccontare tutta la storia ma vorrei solo ringraziare tutti i miei amici che hanno sostenuto per primi questa folle idea. E ai miei genitori che hanno dato un piccolo contributo economico nonostante il dovuto scetticismo. E' stato grazie e a causa di tutte quelle persone che ho conosciuto durante il percorso di creazione se ora ci sono le api in città. E' nato tutto dall'impegno nei confronti di Luca, l'editore Montaonda, al quale chiesi se poteva tradurre il libro “Bees in the city” in italiano. Certo, mi rispose, se tu t'impegni a portare avanti il discorso apicoltura urbana in Italia perchè non vedo tanti che ne parlano. Così ora abbiamo in programma di scrivere un piccola guida di sopravvivenza per apicoltura urbana. Tanto, invece che tradurre un libro lo scriviamo direttamente. E' facile per lui.
Ed è stato per merito delle resistenze degli apicoltori e dei consumatori di miele se ora UrBEES è un progetto complesso ma allo stesso modo semplice da comprendere: vogliamo dotare la città di Torino di centraline ambientali (gli apiari urbani), studiarne le interazioni con la città (biomonitoraggio) e distribuirne i prodotti a km0 (miele, propoli, cera). E abbiamo già avuto incredibili riscontri. Il primo per importanza è stata la lettera dell'amministratore del mio condominio che sollecitava allo sfratto degli alveari sul balcone.
D) Le api in città. Ambiente ostile o ambiente amico per le api?
R) Ormai posso sostenere che la città di Torino è un ambiente amico per le api. All'inizio era solo teoria e speranza. Poi le stesse api hanno dimostrato il loro benessere attraverso lo sviluppo dell'alveare e la produzione di miele. Alcuni alveari non hanno superato l'inverno ma questo è un altro discorso: non abbiamo avuto strane morie dovute all'ambiente urbano ma alle consuete patologie apistiche. La cosa meravigliosa è che dalle analisi palinologiche abbiamo constatato che le api visitano i fiori di città. Che le piante dei balconi, delle aiuole, dei giardini, degli orti, dei parchi, delle strade sono ottime risorse per le api e danno vita a dei mieli davvero originali. La città non è poi così tanto artificiale per le api. Anzi, le api trovano una notevole biodiversità, fioriture scalari e nettare in abbondanza grazie alle piante ornamentali. Oserei dire che si trovano meglio che in alcune zone cosiddette vocate all'apicoltura. A distanza di tre anni mi viene strano pensare a tutti quei fiori di città senza api. Che spreco!
Appurato che dal punto di vista strettamente ambientale non ci sono problemi, ora, la sfida più interessante dell'apicoltura urbana italiana è rendere partecipe l'ambiente sociale, i cittadini che abitano la città. E anche qui grandi risultati. L'amministratore ha ritirato la nota di sfratto e le tre famiglie ospiti sul mio balcone restano con approvazione: per la cronaca, le api non hanno causato vittime per rancori o vendette. I condomini con cui ho avuto modo di parlare restano sorpresi dal fatto che ci sono più di duecentomila api su un balcone del loro condominio. Non se l'aspettano. Come per dimostrare che le api vanno per fiori e non perdono tempo a distrarci.
D) Fino a che punto c'è stato all'inizio del progetto un'esigenza di individuare una sorta di terroir mellifero che permettesse alle famiglie ronzanti di avere un luogo dove poter scrivere mieli interessanti?
R) Mai avuto questa esigenza, ma solo la curiosità di scoprirlo poco per volta e da prospettive diverse. Torino è eccezionale da questo punto di vista, il terroir mellifero della città ha mille possibili combinazioni che danno vita a infiniti mieli urbani, come la tavolozza di un pittore. E' talmente varia e ricca la vegetazione urbana di questa città che non c'è luogo dove le api non possano stare. Del resto è la capitale d'Italia degli orti urbani e del verde per abitante. Ci mancherebbe pure.
Il primo apiario è stato collocato in un orto urbano del quartiere Mirafiori, situato in un complesso di orti che costeggia il fiume Sangone. E' un parco agricolo urbano dove le api hanno trovato qualsiasi genere di fioritura.
Abbiamo oltrepassato in silenzio la porta sud della città e siamo arrivati trionfanti su un balcone in pieno centro, passando per una residenza privata in collina, un museo, una casa di quartiere e una fabbrica. Ognuno di questi luoghi non ha solo un terroir mellifero interessante ma una storia originale fatta di persone e di idee. Se mescolassimo tutti i mieli raccolti da questi apiari avremmo un miele dal gusto irripetibile. Che si può ottenere solo a Torino. E che ogni altra città, grande o piccola che sia, può fare allo stesso modo con risultati diversi.
D) I mieli. Quante tipologie ti hanno regalato le api? Quali le più interessanti? Tra queste tipologie mellifere ne hai una che ritieni la meglio riuscita o la più significativa?
R) Le api ci hanno regalato undici tipologie. Da ogni apiario abbiamo ottenuto due mieli, uno primaverile e uno estivo. Solo dall'apiario in collina ne abbiamo raccolto uno.
Ogni miele viene differenziato dal luogo di raccolta. Abbiamo quindi il miele PAV, il miele ANDREA, il miele PARCO, il miele BUNKER, il miele ELVIRA, il miele ANTONIO (raccolto dalle api del mio balcone). Le possibili combinazioni della tavolozza dei nettari urbani si sono mescolate con le persone e le cose che le persone realizzano. Si possono creare infiniti mieli in una città. Ognuno è originale a suo modo e racconta una storia diversa. Ogni miele può essere apprezzato per la sua qualità organolettica e per la realtà locale che rappresenta. Insomma, è divertente vedere la gente confusa di fronte alla scelta dei mieli urbani.
Non ho mieli preferiti se non per alcune loro caratteristiche. Apprezzo molto il miele BUNKER perchè ha subito un processo di cristallizzazione perfetto: da essere completamente liquido e limpido ora è diventato un miele giallino e cremoso. Il miele PAV, invece, è il più apprezzato dai consumatori per le sue note aromatiche. Il miele più significativo è il miele ANTONIO perchè è la missione del progetto UrBEES: avere le api sul balcone. Con questo miele ho dimostrato che ognuno può ospitare le arnie sul balcone. E non mi spaventa la massima di un apiario su ogni balcone di Torino. Ho paura quando sento che in media ogni torinese possiede una o più auto.
D) Gli organismi sciame, famiglie ronzanti, come hanno risposto dal punto di vista del loro benessere di alveare ai luoghi che sono stati scelti nella città?
R) Le api sono insetti assai strani. Ogni alveare si comporta a suo modo e ogni apiario nel complesso ha caratteristiche proprie. E quindi si va per tentativi. Propongo alle api un certo ambiente e raccolgo informazioni dalle loro risposte. Devo ammettere che la mia poca esperienza in apicoltura, talvolta, mi porta a scegliere percorsi fallimentari che si trasformano in alveari persi, morti o scappati. Nel Bunker, per esempio, abbiamo allestito un apiario composto da dieci alveari. Beh, solo uno di questi è rimasto in vita. Ho acquistato gli alveari tramite un'associazione apistica di Torino. Dieci alveari in buono stato di salute. Abbiamo scelto una disposizione a “L” e da giugno a settembre le api hanno risposto bene, producendo addirittura cento chili di miele. Gli orti della zona e i boschi dell'ex scalo Vanchiglia offrono grandi risorse. Da settembre in poi, invece, gli alveari hanno scelto di andarsene indisturbati, lasciando vuote le arnie. Le cause sono molteplici. Per ora teniamo duro per l'unica famiglia in vita. Ricominciamo da uno se tutto va bene. Il bello di fare l'apicoltore è proprio questo, gli imprevisti. Le variabili in gioco sono tante e gli errori diventano conoscenze preziose per proseguire nel percorso di apicoltore.
Le api che più mi hanno preoccupato sono quelle del balcone. Qui sono riposte le mie preoccupazioni e le mie speranze. E qui ho ricevuto sorprendenti risultati. Gli alveari godono di ottima salute ed hanno raccolto più di venti chili di miele a testa. E poi, diciamo la verità, è una figata avere le api sul balcone. Sono molto fortunato.
D) Quali canali hai individuato, una volta prodotti i mieli, per farli conoscere, venderli e farli apprezzare?
R) Più che il miele, io cerco canali per far conoscere l'idea di UrBEES. Non si tratta solo di miele ma di immaginare un nuovo modello di sviluppo della città. L'idea di vedere le api a 360° mi ha portato a presentare il progetto in luoghi tra loro eterogenei.
Devo ammettere di aver affrontato le prime presentazioni pubbliche con molta timidezza. Non era nell'idea iniziale parlarne ad altri. Nè sono un esperto oratore, anzi. Col tempo, però, sto acquisendo anche questa capacità o piuttosto continuo ad appassionarmi alla questione. Se c'è qualcuno che ti ascolta e tu vuoi parlarne è facile presentarsi in pubblico. E' come sostenere un esame su un progetto che hai creato tu stesso. All'inizio temi le domande difficili poi non vedi l'ora che qualcuno metta in crisi il tuo progetto perchè ne hai bisogno. Io esigo quasi che il mio progetto venga criticato. Non c'è idea sostenibile se non regge agli attacchi. Le idee sono come un castello, bisogna creare basi solide e migliorare costantemente le difese esterne. Quella delle idee è una guerra romantica.
Così ho esposto l'idea durante una commissione ambientale di circoscrizione e una comunale di Torino. Sono stato ospite di un convegno di apicoltura urbana a Torino. Ho presentato il progetto alla Triennale e al Politecnico di Milano. Al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, in alcune scuole, all'UNI3 di Pianezza. L'elenco è davvero lungo e termina con le presentazioni del miele urbano 2013: Yankuam, Miraflores, PAV, Bunker, Bikebreakfast, Chave Arredamenti, Artissima, Apimell...
Sono le stesse realtà che hanno reso possibile la realizzazione del progetto le responsabili della veicolazione di contenuti e conoscenza. Sia chiaro però, la partecipazione e acquisto di miele è possibile a costo di rendere tutto trasparente. Abbiamo lanciato una scommessa sull'etichetta del miele: L'unica Garanzia di Qualità è la Trasparenza. E abbiamo abbinato un qrcode che si collega alla scheda del miele dove si possono conoscere le informazioni sulle ricerche finora svolte. Ovviamente è un processo complicato quello della tracciabilità ma è l'unico compromesso tra l'idea e la realizzazione dell'idea. Ed è di questo che si parla durante le mie presentazioni, della Trasparenza come modello di crescita. Per cui, ogni luogo ben si adatta ad UrBEES e ai mieli urbani.
D) La risposta delle persone a Torino di che tenore è stata? Interesse, perplessità, timori di avere a che fare con mieli magari poco salubri, diffidenza o apertura alla conoscenza di una nuova possibilità di avvicinamento a mieli che quasi quasi si possono veder nascere?
R) Qui entriamo nella fitta rete di contatti del progetto UrBEES. Perché tutti gli attori sociali che si sono esposti nel valutare il progetto sono diventati parte attiva, anche a loro insaputa. E questo deve far pensare alla continua trasformazione a cui è sottoposto URBEES. E' un progetto sociale e ben vengano le risposte, anche l'appello del mio amministratore. Purché vengano rispettate le regole del gioco, da noi apicoltori e da noi cittadini.
L'interesse maggiore è venuto dai cittadini, cioè dai soggetti estranei all'apicoltura. La “categoria apicoltura”, invece ha espresso timori e perplessità in ampie forme, dal dibattito libero e democratico agli insulti e alle minacce personali. In rete se ne possono trovare ampie tracce. Ho cercato il più possibile di rendere pubblico il dibattito sull'apicoltura urbana e ne ho ricevuto incredibili spunti per procedere con le mie idee.
Dislocare api per Torino a dispetto delle previsioni è stato semplice. Ho trovato tanta collaborazione alla Casa nel Parco di via Artom e soprattutto nel PAV. Bisogna pensare che è un'idea folle mettere le api in città e mai mi avrebbero sostenuto gli apicoltori perché già è complicato avere le api in campagna, figuriamoci nella città, tra la gente. Una marea di problemi per certi versi condivisibili. Ma il PAV, il Bunker, Elvira, Andrea.. che ne sanno loro di tutte le preoccupazioni di noi apicoltori? L'incoscienza apre le porte del futuro. I cittadini e i privati hanno dimostrato il loro lato infantile. Per i bambini, infatti, non esistono concetti ma solo curiosità. Così, il PAV ha accettato di avere le api nel suo giardino d'arte senza aver corso nessun rischio. Queste sono realtà aperte alla conoscenza e alla sperimentazione. Questo fatto fa di Torino una città in crescita. Pensate, sei apiari in Torino. Non sembra strano e impossibile? E chi l'ha voluto? I privati cittadini. Perché? Perché la città è aperta alle innovazioni ed è questo il motivo per cui mi piace vivere in città e in particolar modo a Torino, perché ho trovato tanto sostegno e le mie api stanno bene.
Ora, per concludere, abbiamo tante richieste di cittadini per l'installazione di alveari sui balconi. Avrò creato un pasticcio? L'unico pasticcio in questa epoca io penso sia l'immobilità. L'unico antidoto alla crisi è sognare e qui trovo tanti sostenitori. È bello essere apicoltore urbano. Diverte la gente e impegna me.
D) Espansione del progetto, altre città, il futuro, come lo immagini?
R) UrBEES in tre anni ha fatto passi da gigante. Con un gruppo di amici abbiamo investito qualche migliaia di euro per continuare con le attività di allevamento. Da questa collaborazione è nata la produzione di miele urbano 2013.
Un grande ruolo ha svolto la collaborazione con Davide Crotta, apicoltore nel tempo libero con cui stiamo pianificando l'intera attività apistica urbana. Per dirne una, grazie a lui, quest'anno abbiamo disposto di un laboratorio di smielatura in piazza Guala. Così il miele è raccolto a Torino e smielato a Torino e in fine consumato a Torino. Tutto in loco, perfetto no? E la perfezione nasce dalle collaborazioni.
Con Valentina, per esempio, stiamo partecipando a dei bandi. Con lei ci occupiamo di dare un senso alla nostra ricerca ambientale. Ha condotto uno studio di tesi sui rischi per l'apicoltura in Madagascar. Ora vorrebbe ripetere lo stesso modello di studio nell'area urbana di Torino, con le api di UrBEES. E con lei anche Francesca, laureanda in geografia che vorrebbe trasformare i risultati delle analisi condotte in mappe ambientali e culturali della città.
Con Andrea di Cavoretto, dove abbiamo installato un apiario e il cui miele ha preso il suo nome, abbiamo visitato le api con scadenza settimanale per tutta la stagione 2013. Un aiuto volontario che ha reso lui apicoltore e ha permesso me di visitare costantemente le api. Una collaborazione perfetta e necessaria.
Il progetto sta diventando un caso di studio e di appartenenza. Abbiamo venduto circa mille barattoli e questo ci fa pensare che il progetto può essere sostenibili anche economicamente. Perciò stiamo cercando collaborazioni con l'Università, con le associazioni apistiche e le pubbliche amministrazioni per spingere a trasformare Torino nella prima città d'Italia ad ospitare le api come sensori ambientali. Solo così possiamo concederci di andare in altre città. Solo se le istituzioni locali sostengono le analisi ambientali e ci dotano di spazi pubblici dove collocare le arnie possiamo pensare di creare un modello ripetibile per altre città. Stiamo facendo passi da gigante nonostante le difficoltà e i limiti culturali diffusi nel nostro paese. E non voglio accontentarmi di fare miele urbano e basta. Fosse stato questo il mio obiettivo, l'avrei fatto tranquillamente dalle mie parti in Puglia, ad Ostuni, sulla macchia mediterranea.
Io ormai ho deciso, da grande voglio fare l'apicoltore urbano.
D) Prima l'ape o prima i mieli?
R) Assolutamente prima l'ape. Per tutti i motivi sopra indicati. E anche perchè fanno il miele. Io, per esempio, non sono un consumatore di miele. Non lo sono mai stato. Solo ora che le mie api lo producono lo sto mangiando. E devo dire che è buono. Preferisco le api però. La penso come Samuel Beckett: “Ho bisogno delle api per ricordare a me stesso che possono accadere anche cose meravigliose.”
Dovrei scrivere un capitolo a parte sulle persone fisiche e individuali che hanno dato il loro grande contributo alla realizzazione di UrBEES. Io associo queste persone alla forza delle idee, al carburante per cui una macchina, seppur piccola, può permettersi di camminare e muoversi. Senza di loro, prima ancora delle api, nulla di tutto ciò.
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Il miele è un tango che si balla…in città
mieli urbani e terroir cittadini a Torino
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Il cibo in testa