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Olio: per il palato & per la mente

01 Febbraio 2013
L'inviata del Cavolo all'Olio Officina Food Festival
“Olio Officina Food Festival”, alla sua seconda edizione, per chi ancora non lo sapesse (c’è stato un vero e proprio bombardamento mediatico a seguito della particolarità, diciamo pure eccentricità della manifestazione), è stata una tre giorni gastronomico-culturale che si è tenuta a Milano nella prestigiosa cornice rinascimentale del Chiostro adibito a Palazzo delle Stelline, il contraltare femminile dell’opera pia dei Martinitt sino al 1971, poi divenuto centro congressi, nel pieno centro del capoluogo meneghino. A poca distanza da Sant’Ambrogio, dalle rovine romane imperiali, e da quella Santa Maria delle Grazie che ospita l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, lo scrittore, giornalista ed oleologo Luigi Caricato, l’organizzatore impeccabile dell’evento, ha trovato una location da favola, che ha attirato per tre giorni di fila – da giovedì sera alla serata conclusiva di sabato 26 – un numero considerevole di appassionati.

Un ritorno di tutto rispetto per quello che come intenzioni è stato molto di più di un festival dell’olio: piuttosto, un progetto culturale di ampio respiro, dove si è parlato di “condimenti per il palato & per la mente” (come recita il sottotitolo della manifestazione), e si è dedicato ampio spazio alla dimensione femminile, alla quale è stata dedicata la grandiosa manifestazione. Ovvero, una tre giorni intensa di dibattiti serrati sull’olio declinato in tutte le sue sfaccettature, dal corretto approccio all’uso dei grassi in cucina, passando per l’etica, sino all’estetica (sono intervenuti stilisti e istituti artistici), dall’ottica del produttore del comparto oleario (vari gli olivicoltori presenti a raccontare la propria esperienza) a quella del consumatore.

Conferenze alternate a momenti di degustazione ma anche di svago, culturalmente inteso, fra lezioni dantesche, o di letteratura infantile, ma anche musicali, fra le suadenti note del flamenco ma anche della musica cameristica e di cantautori italiani, come Alberto Fortis.

A chiudere l’imponente kermesse, l’inossidabile Gualtiero Marchesi, lo stile personificato della cucina italiana, l’uomo della rivoluzione dei fondi di cottura, recentemente votatosi proprio all’olio extravergine grazie alla comunanza d’intenti con Caricato.

In tutto questo sono intervenuta anch’io, in qualità di rappresentante del Cavolo Verde (il direttore era assente per gravi motivi familiari). Il mio intervento si inseriva in seno all’argomento di come si fosse evoluta la comunicazione gastronomica grazie al web. Con me partecipava alla discussione la nota blogger Cinzia Tosini, che con la grande gentilezza d’animo che la contraddistingue ha presentato il suo lavoro, che consiste nel dar voce ai piccoli produttori locali e alle loro anime. Un intervento sinergico con il mio punto di vista, due visioni complementari e che eppure intendono mettere entrambe in luce le persone e la loro anima, anziché far ruotare il discorso della comunicazione gastronomica, giornalistica e non, solo ed esclusivamente sul cibo, sul prodotto inteso in maniera oggettiva. Un’intuizione felice, quest’accoppiata, per la quale ringrazio di cuore il nostro impareggiabile Luigi Caricato, sempre pronto al commento puntuale, alla moderazione discreta ma competente, e questo, a detta di chi è riuscito a partecipare alle tre giornate di lavori, senza un attimo di tregua, sempre con lo stile di gentleman che lo contraddistingue e che gli è valso il felice appellativo di “papa dell’olio” (coniato per lui dallo scrittore Giuseppe Pontiggia).

Voi sapete che il Cavolo Verde si autodefinisce “il giornale fatto dai lettori”. Ed è una novità, questa, nel panorama piuttosto monocorde delle testate giornalistiche gastronomiche. Il Cavolo si picca di accogliere, in parole povere, fra i suoi articolisti, voci di blogger non necessariamente fra i più acclamati, e non per forza fra i foodblogger, ossia fra coloro che si dedicano esclusivamente al problema del cibo. Fra questi, compaio anch’io, che è pur vero che lavoro da dieci anni suonati nel mondo web culinario, che sono stata autrice di un blog quotidiano ante litteram nel 2002-2003 su Buonissimo, che ho condotto un programma in radio. Ma che, sopra ogni altro esperimento, sono autrice di un blog che appartiene alla fluida categoria del mommyblogging e che è, prima di tutto, un’operazione editoriale autogestita da ben sei anni.
Nella mia scrittura pur multiforme spicca, è il caso di ammetterlo, quello della cucina quotidiana di madre di famiglia numerosa, che deve organizzare pranzo e cena per otto persone a ritmi serrati. Cucina fatta di ingredienti semplici, spesso economici, spesso frutto di operazioni di riciclo o di rincorsa al prodotto in offerta: non per questo una cucina priva di genuinità. Come tante altre blogger, o anche espressamente food blogger che portano in rete la propria cucina familiare senza pretendere di assurgere al gotha del food (che è per carità giusto e sacrosanto che esista, c’è libero spazio per tutti).

Ecco, il mio intervento ad Olio Officina ha voluto sottolineare come questo mare magnum del web, a partire dall’esperienza dei forum (di cui ho avuto modo di parlare tempo fa intervistando la signora Vitalba Paesano, la promotrice del primissimo condominio di cucina del web, www.cucinait.com, giunto ormai alle quindici primavere) per giungere a quella dei mille e più foodblogger italiani presenti in rete, abbia rivoluzionato in maniera estremamente democratica la comunicazione attorno al cibo e rivesta nell’informazione gastronomica un’importanza fondamentale, spesso trascurata o peggio ancora tacciata di sciatteria e qualunquismo dal giornalismo stellato dei novelli parrucconi della forchetta. Questo tipo di informazione, perché di autentica informazione si tratta, rappresenta, nel bene e nel male,chi nella fedeltà alla tradizione chi nella creatività, la ricezione del cibo da parte dell’utenza, l’interpretazione della cucina sulle tavole di tutti i giorni. Rappresenta quella dimensione di soggettività che dovrebbe essere tenuta fermamente presente quando si parla di cucina, e che dipende da tanti fattori (economici, culturali, sociali, storici).

E’ urgente riportare al centro dell’informazione gastronomica la persona e non il prodotto, con buona pace di chi deposita ricette come fossero brevetti, di chi cerca disperatamente l’archetipo della Commedia anche quando si parla di pasta e fagioli. Più mi addentro nel mestiere giornalistico, più mi rendo conto che i problemi della ricezione del cibo non vengono se non minimamente considerati dalle alte sfere, quasi si preferisse considerare l’argomento da un punto di vista strettamente estetico. In parole povere, si tende a porre sul piedistallo il cibo, come se fosse tale solo per se stesso, come se fosse un’opera d’arte, trascurando il lato umano di chi alla fine lo assume. Riportare al centro del discorso alimentare la persona, da parte degli addetti al settore, sarebbe veramente auspicabile per una completezza dell’informazione.

Ed è per questo che noi del Cavolo Verde siamo particolarmente fieri del nostro lavoro di équipe e di quel giornale fatto dai lettori, anche se non solo, che profetizzava Guido Morselli ormai quarant’anni orsono: i lettori che, nel nostro caso, sperimentano ai fornelli e leggono libri di cucina, senza pretesa di pontificare ma semplicemente offrendo la loro visione domestica eppure necessaria su tante cose. Il cibo come funzione di chi mangia e non viceversa, “intenzionato” e “ricevuto”, umano e sacro ad un tempo, di una sacralità non da venerare esclusivamente sugli altarini della qualità e della filiera o di uno sponsor particolarmente munifico. Il cibo, veramente ed obiettivamente inteso.
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