122 espositori, ovviamente non posso intervistarli tutti.
Così, come un marinaio con la bussola, decido di farmi guidare dal cuore, e cerco di incrociare con gli occhi gli sguardi di queste persone che al vino dedicano la loro esistenza.
Il metodo sembra funzionare bene, perché i miei occhi incontrano per primi quelli antichi e sereni della Sig.ra Lucia Raimondi, dell’azienda agricola Villa Monteleone di Verona, che mentre fotografo la bottiglia di Amarone, posta su un bellissimo supporto a forma di grappoli d’uva, mi racconta una storia che ha il sapore di una favola.
Mi racconta di suo marito Anthony, un tempo neurochirurgo pediatrico di fama internazionale, che sognava di produrre vino in Italia.
Mi racconta di quando lei e il marito decisero di lasciare il Sudamerica per venire in Italia, di quando acquistarono la proprietà con il vigneto negli anni ’80, mentre io nascevo, iniziando così a gettare le basi del loro sogno comune. Mi racconta della prima annata dell’89, dell’inizio del commercio del ’93, e mi racconta di questo sogno che va avanti ancora adesso, anche se adesso suo marito non c’è più. La lascio con un sorriso e una stretta di mano, pensando che questa storia non la dimenticherò mai e che quei vigneti, dove lei m’invita, un giorno li vedrò.
Pochi passi e arrivo in Emilia, la mia terra adorata, ancora scossa da quel maledetto terremoto.
Gli espositori che sono intervenuti oggi fortunatamente non sembrano aver risentito delle scosse, ma il dramma è ancora negli occhi di tutti e, tra una domanda e l’altra, affiora ricordando chi invece ancora combatte con la terra che si ribella, infastidita dal dominio dell’uomo.
Incontro la gentile rappresentante dell’azienda Monte delle Vigne, che mi fa assaggiare un bicchiere di Malvasia, il cui sapore deliziosamente aromatico mi catapulta negli odori dei miei ricordi di bambina, quando in estate si andava in Emilia per le vacanze e io sentivo dal finestrino l’odore dei vigneti.
Ancora un passo e sono allo stand dell’azienda Storchi, con il suo meraviglioso Neroduva, ma è il banco dell’Azienda Collina dei Poeti che attira il mio sguardo e guida i miei passi.
Sarà la magnum dedicata al festival internazionale del teatro in piazza, sarà il nome così struggente, sarà lo sguardo chiaro e limpido di questo enologo che qua attorno è uno dei pochi ad avere più o meno la mia età, ma mi trattengo con loro un po’ di più, e scopro che la loro azienda non solo produce vino, ma è legata a doppio filo ad un’associazione ONLUS, la cooperativa “Con Le Nostre Mani”, dove ragazzi in difficoltà coltivano prodotti biologici e assieme ad essi un futuro più sereno, per dimostrare ad una vita e ad una natura non sempre generose la voglia di farcela con le proprie forze e di non arrendersi.
Sempre la Collina dei Poeti ha creato un vino commemorativo, dedicato alla data 11/11/11, il cui introito è andato in beneficienza. Me lo offrono da assaggiare, ed io risento i sapori della mia terra.
Decido che ho dedicato tempo a sufficienza alla mia regione d’origine, soprattutto perché ho solo due ore e invece vorrei poter stare tutto il giorno, e così riprendo il mio giro, spostandomi ora in Liguria, mia terra d’adozione. I miei piedi mi guidano fino al banco dell’Azienda Terre di Bargòn, specializzata in Sciacchetrà delle 5 Terre le cui bottiglie particolari, tipiche di questo vino dalla lunga tradizione, mi ricordano vagamente quelle degli oli preziosi delle principesse d’oriente.
Sempre parlando di bottiglie particolari, i miei occhi vengono attirati dal banco dell’Azienda Travaglini di Gattinara, dove fanno bella mostra delle bottiglie dalla forma insolitamente asimmetrica. Abituata all’eleganza standardizzata delle tradizionali bottiglie da vino, di solito perfettamente simmetriche e in vetro trasparente, queste bottiglie storte, in vetro opaco, mi lasciano perplessa. E’ in questi casi che fortunatamente il chimico che è in me soccorre la scrittrice, infatti dopo poche parole dell’espositore capisco da sola lo scopo di questa forma anomala. Sono bottiglie speciali, fatte apposta per la decantazione, e sono un modello brevettato dell’Azienda Travaglini.
Mi sposto ora in Piemonte, terra di Vino per eccellenza, e qui incontro lo sguardo della signora Anna Maria, dell’omonima Azienda Anna Maria Abbona di Cuneo, che offrendomi un bicchiere di Rosà dallo stupefacente colore a metà tra il quarzo rosa e il pesca mi regala anche le cartoline dove spiccano i paesaggi delle sue colline, ora velate dalla nebbia, ora inondate dal sole.
Poco distante, i sorrisi di due ragazze mi invitano allo stand dei Poderi Roset, il cui proprietario presiede anche la Cooperativa Agricola Corilanga, specializzata in nocciole IGP del Piemonte (le famose “gentili”, utilizzate nel Gianduia) e nei loro derivati, tra cui la pasta di nocciole (sono a dieta!). Tra una nocciola e una risata, le due simpatiche standiste mi offrono un assaggio del famoso Verduno Pelaverga, dagli insoliti sentori di pepe, detto anche “il vino delle donne” perché, come mi raccontano le due ragazze, era apprezzato da Re Carlo Alberto, che ne sfruttava i poteri “afrodisiaci” per sedurre le donne presso la Residenza Juvara. Realtà o leggenda? Chissà…
Dopo il nord, è giusto andare un po’ al sud e nelle isole. Incontro così la rappresentante dell’Azienda Donnafugata, in Sicilia, che mi offre un assaggio di un vino che ha un nome che più da sogno non si può, Le Mille e Una Notte, e mi narra la storia della Regina Maria Carolina, sorella di Maria Antonietta di Francia e moglie di Ferdinando VI di Borbone, che all’arrivo delle truppe napoleoniche fuggì da Napoli e si rifugiò in Sicilia, nello stesso luogo in cui ora si trovano i vigneti aziendali. Lo scrittore Giuseppe Tomasi, autore de Il Gattopardo, nel suo romanzo battezzò quelle terre Donnafugata, espressione dialettale letteralmente traducibile come “donna fuggita” o “donna in fuga”, da cui derivò poi il nome dell’azienda e il logo sulle bottiglie, l’effige del volto malinconico di una donna con i capelli al vento.
Ancora cullata dall’aroma fruttato de Le Mille e Una Notte di Donnafugata giungo all’unico espositore sardo, l’Azienda Giovanni Cherchi, il cui rappresentante mi racconta di come la sua terra sia stata strappata alla colonizzazione industriale, impedendo così la scomparsa di alcune uve autoctone, che altrimenti si sarebbero estinte.
Infine, torno sul Continente, come direbbero i sardi, per incontrare l’Azienda Basilisco di Potenza, che prende il nome dal leggendario animale e che ha le sue cantine nelle stesse grotte scavate nel XV secolo dai profughi albanesi in fuga dai Turchi. Qui, ai piedi del vulcano Vulture, prosegue ancora l’antica tradizione da cui nascono i suoi vini dagli intensi aromi di frutti di bosco, prugna e ciliegia.
Risalgo nuovamente la penisola ed eccomi in Trentino, altra terra di Vini da tempi immemorabili, dove incontro l’Azienda Bergamini di Trento che mi offre un assaggio di Pinot Nero e che, per un curioso gioco del destino, si trova a pochi chilometri dalla caserma dove mio padre fece il militare come alpino.
Girando tra gli espositori scopro che Terroir Vino ospita stand incentrati non solo sul vino, ma anche su prodotti biologici di varia natura.
Per la mia regione, ed attirata da un irresistibile odore di basilico, trovo l’Azienda Rossi di Genova, produttrice di pesto dal 1947, che mi offre un assaggio dei loro prodotti e mi invita ad andare a visitare il loro laboratorio. Ci andrò, è una promessa che faccio a me stessa.
Pochi passi ancora ed eccomi in Campania, presso il banco dell’Azienda Marsicani, che dopo tanto vino (e, devo dirlo, un inizio di ubriacatura….) mi offre una degustazione dei suoi tre oli.
Il sapore dell’olio mi pulisce il palato e mi snebbia la mente (e meno male che non devo guidare), aprendomi nel contempo un panorama di sapori e odori che vanno dall’amaro al piccante, così differenti dall’aroma fresco e fruttato dell’olio con cui sono cresciuta, qui, sulla riviera ligure.
Sempre restando per un attimo lontana dai vini approdo allo stand del Pastificio dei Campi di Napoli, dove incontro Margherita che mi parla dei loro mulini, della loro tradizione, della loro pasta bianca e ruvida, così diversa dalle paste industriali, e me ne offre un campione.
Si è fatta quasi ora di andare, ma prima di salutare il vino e il suo universo è d’obbligo una tappa in Toscana, regione con la quale non ho legami ma che amo da sempre, per incontrare le Aziende Lavacchio, specializzata in vini ed oli, ma non solo, di origine biologica; e l’Azienda Tunia, giovanissima realtà che prende il nome dal più importante olio del pantheon etrusco e che produce non solo vino, ma anche grappa di Vin Santo, e naturalmente olio.
Scendendo le scale mobili osservo i pannelli fotografici posti all’ingresso.
Foto che parlano di un mondo che a molti sembra distante, ma che basta solo voltarsi, proprio come me che sto per lasciarmelo alle spalle, per trovarlo accanto a noi, con i suoi gesti eterni.
Un mondo che è fatto non solo di uva, di viti, di terra, ma anche di mani impegnate a ripetere all’infinito gesti antichi di secoli, sempre uguali e sempre diversi, come diversi sono i vini che fanno nascere.
Un mondo che appare quasi come la fotografia di un tempo che va perdendosi, ma che queste foto, come le storie che ho ascoltato oggi, riportano prepotentemente alla nostra memoria, nel ricordo di un passato comune a molti di noi, che la frenesia della vita moderna non riesce mai a cancellare del tutto.
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