Archivio Storico 2011-2017

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La Lombardia senza castagne

27 Ottobre 2011
L'insetto cinipide e la mancata fruttificazione del 2001 in area lombarda
Sembra di leggere uno dei passi più drammatici del 'Segreto del bosco vecchio' di Buzzati, quando, a causa della maledizione dei geni indispettiti, l'orda assassina dei bruchi divora senza sosta foglie e rami degli abeti, lasciandone solo gli scheletri. Purtroppo, però, quella che sta colpendo i castagneti lombardi, rinomati fin dall'anno Mille per i loro splendidi marroni, frutto dell'antica e sapiente arte dell'innesto, non è finzione letteraria, ma straziante realtà: quest'anno in molte aree lombarde i castagni non hanno fruttificato a causa di un parassita venuto da lontano, e nonostante le cure dispensate a piene mani per abbattere gli esemplari portatori della malattia e la selezione delle piante alla fonte: la frittata, come si suol dire, era già stata fatta.

Nel Varesotto intero il raccolto è praticamente azzerato, una cosa mai successa a memoria d'uomo. Sul Campo Dei Fiori, area storicamente dominata dai castagneti, autoctoni o innestati nelle selve castanili, si contano ben cinque varietà di castagne locali: la Russirö, la Venegòn, la Piliscé, la Paié e la Verdesa; quei pochissimi ricci caduti da sparute piante appaiono piccoli, i frutti striminziti e non giunti a maturazione. Un tempo, quando le risorse boschive rappresentavano una voce fondamentale dell'economia domestica, quando la stagione della raccolta iniziava a fine settembre e terminava convenzionalmente all'Immacolata, un'annata del genere sarebbe stata un autentico flagello. E' vero che a seconda degli anni e delle condizioni climatiche il raccolto può essere più o meno abbondante; è altresì noto che dopo la seconda guerra mondiale i raccolti iniziarono a rarefarsi a causa di vere e proprie epidemie fungine di cancro corticale e mal dell' inchiostro; ci si ricorda ancora inoltre che una trentina d'anni fa, ci fu una singolare morìa di castagni giovani, che però aveva lasciato indenni le piante secolari. Ma una simile penosa carestia – come giustamente la definiscono ancora i vecchi, essendo il castagno noto come l'albero del pane – proprio non si era mai vista e lascia sgomenti tutti.

Il cinipide galligeno del castagno, questo il nome del parassita fitofago, è un insetto presente sul territorio lombardo da sole tre stagioni: le prime segnalazioni risalgono infatti al 2008. Chiamato anche vespa del castagno - nome scientifico Dryocosmus kuriphilus Yatsumatsu – questo piccolo insetto nero originario della Cina compare per la prima volta in Italia, e precisamente nella provincia di Cuneo, nel 2002. Pare infatti che, nel tentativo di rimboschire alcune aree di castagno europeo (Castanea sativa) minate dal cosiddetto cancro del castagno, fossero stati importati degli esemplari di Castanea crenata e di ibridi euro-giapponesi, noti per la loro resistenza alla suddetta malattia: da qui la diffusione a macchia d'olio in tutto il territorio italiano.

Si tratta di un insetto davvero temibile, un esercito di sole femmine che si riproducono per partenogenesi, ossia senza accoppiamento. Da maggio a luglio, dalle 150 uova in media che ogni femmina depone in inverno nelle gemme degli alberi, nascono gli esemplari adulti. Mentre nella stagione rigida è molto difficile capire se una pianta è stata infestata, durante la primavera le larve si nutrono dei succhi presenti nei germogli, ma anche nelle nervature e nelle infiorescenze provocando in essi delle vistose rigonfiature, le cosiddette galle: da queste nascono le vespe devastatrici. Lo sviluppo delle gemme, quindi delle piante stesse è fortemente ritardato e spesso compromesso, e la fruttificazione cessa di avvenire.

Solo quest'estate, quando le galle avevano visibilmente appestato le aree castanicole, gli esperti ci avevano rassicurato dicendo che non sarebbero stati necessari interventi chimici a salvaguardia dei castagni autoctoni, perché il castagno è presente nelle nostre aree da milioni di anni ed ha attraversato alterne fortune. L'unico progetto di contrasto adottato è quello della lotta biologica attraverso un insetto cosiddetto utile, il Torymus sinensis Kamijo, proveniente anch'esso dalla Cina: l'obiettivo è di arrivare ad un equilibrio naturale fra i due antagonisti. Una lotta chimica entrerebbe in conflitto con quella biologica minandone l'efficacia.

Gli alberi non torneranno comunque a fruttificare prima di tre anni, sentenziano gli esperti, e se noi bosini vorremo farci un piatto di caldarroste dovremo rassegnarci a comprare le castagne al supermercato: anche le sagre si sono fatte provenire i marroni dal cuneese. In altre parti d'Italia, pur essendo presente il cinipide – Toscana, Piemonte – si è riusciti ad arginarlo in tempo; di certo la siccità particolarmente prolungata di quest'estate non ha favorito nemmeno in questi casi l'abbondanza dei raccolti. La speranza è che, come gli icneumoni portati dal vento Matteo e dalla fantasia di Buzzati, anche la nostra vespa antagonista faccia il suo dovere, così da non doverci ridurre, come faceva l'Apollonia della marmellata di rodariana memoria, a fare la marmellata coi ricci vecchi e vuoti: sempre che i geni del bosco non ci siano ostinatamente avversi.
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