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I sapori della Provenza

04 Ottobre 2012
Una cucina senza fronzoli
"L'affinement de la cuisine francaise est, paradoxalement, venu d'Italie. Apres les guerres de Francois Ier, les francaise ont rapportè d'Italie des raffinements culinaires qui ont été transposes et naturalisés francais" [La raffinatezza della cucina francese proviene, paradossalmente, dall’Italia. Dopo le guerre di Francesco I, i francesi riportano dall’Italia raffinatezze culinarie che sono state tradotte e naturalizzate francesi.] (La foto in apertura dell'articolo)

Si dice che un'immagine valga più di mille parole ma certo una frase, a volte, basta a spiegare da sola dinamiche vecchie di secoli e credo che questa, scovata in un vecchio libro di cucina francese del 1946, descriva bene il meccanismo complesso che lega da sempre la cucina italiana a quella francese. Qualcosa di paradossale c'è, ma è nel rapporto conflittuale che spesso tiene separati gli uomini, nel limite creato dalla competizione che non permette di migliorarsi. Quando 1+1 non dà come risultato 2 ma solo due individualità antagoniste a perderci è il Mondo. Della cucina in questo caso.
Tempo fa ho soggiornato nel sud della Francia, in occasione di un mariage, e ne sono tornata arricchita di nuove conoscenze, nuovi sapori, odori ed idee. In questo viaggio son mancati solo i campi fioriti di lavanda, ma non il vin rosé, la frutta saporita, le finestre azzurre, i negozi shabby, i croissant burrosi e il croquembouche nuziale!

Les Provence. La Provenza. In estate questa regione ti conquista con la spontaneità del suo popolo, con la vividezza dei suoi colori, con la gaiezza delle sue giornate piacevolmente assolate, ti regala piatti semplici e naturali, le erbe aromatiche la fanno da padrone sia in cucina che fuori, ortaggi e frutti di stagione regnano, floridi e gustosi, sulle tavole. Qualcuno dovrebbe spiegarmi il segreto per cui, per esempio, i meloni provenzali sono più saporiti e più succosi, sanno più di “frutta” di quelli nostrani che mi è capitato di assaggiare e ve lo dico per esperienza; la sera stessa del mio arrivo sono stata infatti accolta con un profumato entrée provenzale a base di melone Cavaillon Cantalupo. Tra i Cavaillon la varietà Cantalupo è la più famosa, sono meloni saporitissimi e profumati che, serviti con prosciutto crudo o conditi semplicemente con menta e pepe, regalano un vero piacere al palato.

Nel cuore della Provenza il clima è caldo ma piacevole, i mercatini nei paesi pieni di colori ed odori, artisti di strada e mostre all’aperto come mai prima d’ora, un turbinio di cultura mista a tradizioni a portata di mano ad ogni angolo di strada; deliziosi bistrot si alternano a negozietti shabby del tipo “io ora entro e mi compro tutto, giuro”, il turista non riesce a camminare senza trovare soggetti accattivanti da portare a casa inscatolati sotto forma di Giga di file fotografici. Ammetto però che una delle cose che più mi incuriosiva di questo viaggio era la possibilità di assaggiare, in loco, i famosi formaggi francesi (dicasi “distorsione professionale”). Tutti sanno che qui ai formaggi viene riservato un posto d’onore, vengono difatti utilizzati per comporre salse di accompagnamento a patate, antipasti o carni, come un Entrecote grillée sauce au Roquefort Bistecca alla griglia con salsa di Roquefort, ma forse non tutti sanno che questi fanno capolino ogni giorno come fine pasto sulle tavole provenzali e di tutta la Francia in genere, dosati con attenzione per regalare solo gioie al palato e non dolori davanti alle analisi del colesterolo. Alcune volte però, come in occasione dei matrimoni, vengono serviti agli ospiti in quantità più abbondante, divenendo così una vera e propria portata ed è quello che è capitato a me, di trovarmi di fronte a tavoli imbanditi con un grande assortimento di formaggi, da quelli di vacca a quelli di capra (come i formaggi del Luberon) a quelli di pecora come il "Baptistin"; formaggi di un bianco lucente o giallo pallido, morbidi e saporiti o dolci e aromatici, piccole delizie formato “tomino”, speziati o meno, accompagnati a piacere da marmellate o mostarde come la dolcisisma moutarde d'abricot.

Quest’ultima è realizzata con una qualità locale di abricot che si differenzia dalle albicocche nostrane per il colore della buccia (che va dal giallo pallido al rosso).

La differenza visiva và di pari passo, come spesse volte accade in natura, alla differenza di sapore che le rende cugine deliziosamente simili a quelle italiane ma di sapore più zuccherino.
La varietà di latticini che si possono assaporare qui, lo ammetto, è veramente apprezzabile ma la Provenza è rinomata soprattutto per i formaggi di capra, come quelli di latte crudo (il latte crudo, per chi non lo sapesse, è un latte non pastorizzato che, dopo la mungitura, viene solamente filtrato), che i francesi gustano accompagnati da un filo di olio evo. L’usanza di insaporire un grasso con un altro grasso potrebbe apparire bizzarra e da profana gli ho dato mille significati e motivazioni diverse. Tutte parole al vento, che sono volate via di fronte alla realtà: la spiegazione è infatti più semplice di quel che si pensi : ”perché ci sta bene! È come il formaggio con le pere!” (cit.)

Visto il nostro intento di scovare consuetudini culinarie tipiche del luogo (leggi: è un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo) una sera siamo stati accompagnati ad una festa paesana dove il piatto forte erano le Sardines sur le grill. Questi pesci azzurri rivestono un ruolo fondamentale nella cucina Provenzale e sono numerose le manifestazioni gastronomiche che nascono e si sviluppano sulla scia della grigliata di sardine. La regola vuole che il pesce in questione venga cotto intero, senza essere né privato della testa, né tantomeno aperto e pulito. Da qui la difficoltà nel mangiarlo, dove solo la fame abbatte le resistenze: riuscire a privare una piccola sardina di squame, pelle ed interiora e mangiarne solo la saporita carne è infatti impresa da chirurghi; alla fine la maggior parte della gente rinuncia e si assiste allo smembramento alla meno peggio del pesce, afferrato con due mani. Forse i più schizzinosi non lo rifaranno mai più ma sicuramente è una delle esperienze che servono, se si vogliono vivere da vicino le tradizioni di una regione.

Come già detto, la cucina provenzale è rinomata per l’uso di spezie ed erbe aromatiche, rinomata a tal punto che proprio in queste terre si è dato vita ad un mix di cinque erbe essiccate (precisamente: timo, basilico, origano, santoreggia e rosmarino) che, con il nome di “Erbe di Provenza”, vengono utilizzate in moltissimi piatti, dalle carne ai contorni di verdure; Tra tutte le erbe poi, una chicca riguarda il basilico: uno dei piatti principe che lo vedono protagonista indiscusso è la Soupe au pistou una zuppa di verdure cui viene aggiunto, a fine cottura, un mix di basilico, olio e aglio “pestati” nel mortaio. Il nome “zuppa al pesto” non deve ingannarci, qui la parola “pesto” definisce il verbo “pestare” e non va confusa con il pesto nostrano che prevede l’aggiunta di formaggi stagionati grattugiati e pinoli.

Il successo di questa cucina è forse racchiuso nella sua tipicità, nel suo essere senza fronzoli, nel suo andare dritta al sodo, una cucina di origini contadine semplice e facile da realizzare, con tanti richiami alla tradizione mediterranea italiana che ben conosciamo, con i suoi stufati di carne per esempio, primo tra tutti il daube di manzo, con le sue verdure cotte alla provenzale (che rispecchiano in toto le gratinature nostrane) o farcite con carni e servite semplicemente con del riso bollito.

Ad affiancare i secondi piatti di carne e di pesce troviamo spesso contorni come le patate, qui chiamate Pommes de terre o i misti di verdure (pomodori, zucchine) come il “tian” dove le suddette cuocciono in una pentola di terracotta (il tian appunto, che da nome anche alla pietanza) o la “ratatouille” dove le verdure vengono cotte separatamente e unite solo alla fine, per far si che ognuna conservi il suo sapore ed un punto di cottura ottimale.

Come anticipato, nel mio viaggio non sono mancati i vini e gli alcolici in genere (moderatamente dosati). Per tutto il tempo ho pasteggiato con i vin rosè, profumatissimi (a me poi, che il vino piace quasi più per l’odore che per il sapore) e apparentemente leggeri (come dire, 13 gradi e non sentirli) come il Cassis o il Rosé Fruité, a non sono mancati anche i bianchi come il Bandol AOC ed i rossi come il Pierres du Sud.
Ho potuto inoltre riassaporare il Pastis, una bevanda alcolica dal colore giallo scuro e dal forte aroma di anice che viene servita, rigorosamente con l’aggiunta di acqua fredda, in occasione dell’aperitivo, e che, proprio a causa dell’aggiunta di acqua, cambia colore divenendo di un opaco giallo chiaro.
Siamo così arrivati alla fine del viaggio, ed ultimi, ma non ultimi, troviamo i dolci, partendo dai Calissons nati in queste terre ed “esportati” in tutto il paese. Si tratta di dolcetti romboidali morbidi a base di mandorle e dal sapore fruttato ricoperti da un sottile strato di glassa reale. Potremmo associarne il sapore a quello del marzapane, sì, un simil marzapane con un delizioso aroma di frutta.

Girando per paesini in cerca di sapori e novità, da Pertius a Grambois a Manosque ci siamo fermati in un ristorantino che ha attirato la nostra attenzione per l’arredamento, semplice e raffinato insieme. La scelta si è rivelata azzeccata (tu chiamala se vuoi: la fortuna del turista): la cortesia mista a simpatia del giovane cameriere ci ha guidati nella comprensione e scelta di tutto il menu. Ma è quando siamo arrivati al dolce che il simpatico cameriere, ha dato il meglio di sé. Si perché di solito se mi si spinge troppo palesemente verso la scelta di un piatto, 9 volte su 10 resto della mia idea, ma in questo caso ho letto l’entusiasmo nella sua voce nel presentarci il Profiterole et chocolat chaud un dessert noto in tutta la Francia ed anche la specialità della casa. Il fatto che il suo fosse veramente un consiglio disinteressato traspariva sia dai suoi gesti che dal sospiro malcelato che hanno seguito la scelta di uno del commensali: Créme Brulée. In un attimo la sua testa si è inclinata involontariamente e il sospiro che è seguito ha voluto dirci, nel linguaggio del corpo comprensibile a tutti: “Ma io ti avevo detto di ordinare il Profiterole…”

La prova del nove è arrivata dopo qualche minuto. Una créme brulée, letteralmente una “crema bruciata”, fatta in casa con la sua croccante crosta di zucchero, una ricetta così semplice da essere praticamente identica a quella che si può mangiare in ogni ristorante italiano; uguale era anche la tipica cocottina in cui veniva servita, a seguire poi, tre porzioni di Profiterole: un grande bignè di una pasta di qualità decisamente superiore a quella mangiata solitamente in Italia, aperto e ripieno di gelato al pistacchio artigianale, affogato in un aromatico cioccolato fondente fuso e scortato da due soffici riccioloni di panna montata dal delicato sapore di latte.

Da quest’avventura francese ho riportato non solo ricordi e regali, ma anche una promessa fatta a me stessa: riuscire a preparare il croquembouche, il dolce che ha chiuso la cena nuziale, un’insieme di bignè ripieni di crema montati in maniera tale da formare un’alta piramide dolce, tenuta solo da una ragnatela di fili di zucchero caramellato caldo un dolce rinomato proprio per la difficoltà di preparazione. L’idea è di provare, sperimentare, riuscire e magari tornare qui per pubblicarne la ricetta!
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