Musicista, autore, chef, Fabrizio Mantovani ci parla della sua cucina, della sua passione per la musica e di come si approcci a entrambe guardando al futuro, in un turbinio di esperienze passate e presenti che hanno fatto di lui lo chef che è oggi.
D: Fabrizio come mai hai deciso che un giorno, da grande, saresti diventato chef?
R: Da piccolo mia nonna mi teneva con lei in cucina, ascoltavamo musica e mi faceva ballare il liscio mettendomi sui suoi piedi. Nel frattempo si facevano i cappelletti che spesso chiudevamo insieme (sono rigorosamente ancora nella mia carta). Anche l’ambiente dove vivevo, diviso tra i mercati e i negozi di frutta e verdura che la mia famiglia aveva, ha sicuramente influito. A questo sono seguiti la scuola alberghiera a Milano Marittima e undici anni di vita nella musica (il basso elettrico e’ stato il mio strumento). Infine sono ritornato alla gastronomia passando per la Francia, il Piemonte, Riccione, Santarcangelo, per terminare a Faenza.
D: Hai avuto un maestro o una persona di riferimento che ha ispirato la tua ricerca?
R: Sicuramente l’incontro con Davide Scabin, che seguivo e ammiravo quando ero a Torino, ha determinato una svolta della mia vita gastronomica . Era per me un rivoluzionario, al primo incontro però mi ha stupito la sua ferrea conoscenza della tradizione. Percorreva gia’ il futuro…
D: Nel tuo sito si legge “Il cibo per me è sempre stato tante cose. Immagini, volti, suoni, colori, arte, design” come riporti questi concetti nelle tue ricette, nei tuoi piatti?
R: Spesso un piatto può avere un colore. Il filo conduttore del colore mi fa unire gli ingredienti oppure possono essere un ingrediente con la sua storia. Il bel e cot di russi (un cotechino), ad esempio, mi ricorda le fiere con i nonni che allora vendevano lupini e le brustoline alle sagre, lo si mangiava in un panino, oggi lo uso nella mai cucina in abbinamento alla capasanta. Il cappelletto stesso e’ un ricordo, cerco di portarlo avanti con le mie forme con i miei colori con la mia voglia di divertimento legato al mestiere più bello del mondo.
D: Il Condivinsorzio, un laboratorio creativo, nasce dall’incontro tra te, creative food maker e Simone Vignola, giovane creativo musicista e compositore. Raccontaci di questa vostra “invenzione” e di come si svolge una performance.
R: Il Condivinsorzio e’ stato un tentativo, per ora messo da parte, che voleva unire cibo e musica . Mi sono però reso conto che spesso non sempre chi capisce di musica capisce di cibo e viceversa. Con l’arrivo del ristorante poi il tempo si e’ dimezzato e ora sono concentrato sulla mia cucina . Dentro al mio spazio però spesso avvengono delle serate dove la musica ha una certa centralità (non potrei mai restare senza musica). Inoltre siamo molto attenti anche a ciò che riguarda il sottofondo musicale all’interno del ristorante, trovo importante che il cliente trovi la giusta atmosfera e diciamo che in questo sono un po’ avvantaggiato!
D: Tu e Simone oltre al Condivinsorzio avete fondato la Frutta e Verdura band, un gruppo molto originale che canta il cibo e di cibo, con canzoni dai nomi inequivocabili come La canzone della pentola, Cucurbita la zucchina del supermercato o La lenticchia. Come nascono le vostre canzoni e i loro testi e cosa volete comunicare attraverso di loro?
R: Le canzoni sono scritte da me, da anni scrivo, lo faccio ancora, pur avendo meno tempo . Simone Vignola e’ una grande musicista e mi diede una mano a musicarle. Fu un viaggio incosciente, divertentissimo, futuristico a pensarci oggi. Tutto era raccontato con ironia, erano storie di vita e di cibo, spesso però questa forma veniva vista come un veicolo per comunicare la mia cucina. Come pretesto... In onestà il cibo non può essere un pretesto, con il tempo ho capito che sta anche in noi non osare troppo, non sempre c’e disponibilità a capire le due cose insieme. Lo abbiamo fatto senza calcoli, autoproducendo sia lo spettacolo che i cd, abbiamo fatto diversi eventi molto divertenti ora pero ‘ la mia musica è nei piatti che cuciniamo al ristorante, la musica è nella mia vita, può bastare. Domani si vedrà!
D: Torniamo a parlare di cucina, sei Chef presso l’Hotel Vittoria di Faenza. Considerando le tue “contaminazioni creative musicali culinarie” cosa si devono aspettare i clienti da una tua cena?
R: Sono lo chef di FM@bistrot all’interno dell’hotel Vittoria di Faenza . Luogo storico della città, spazio liberty fascinoso. Con l’ausilio degli architetti Bianca Maria Canepa e Marta Baldi e con il grande contributo degli artisti KHA abbiamo ristrutturato una spazio fermo da tempo. Tanti sono stati i passi indietro che penso mi abbiano fatto fare passi avanti, la ristrutturazione degli spazi del vittoria dov’è nato Fm@bistrot e il mio Fm@snack cafe’ sono il frutto di un mio percorso. Ho sempre pensato a questo luogo, che oggi mi somiglia per servizi e caratteristiche. All’interno - insieme ai miei collaboratori e a mia moglie Lisa Lelli che e’ socia - si respira un’aria attenta: sono attento agli artigiani, cerchiamo di trasmetterli ogni giorno attraverso la nostra cucina. Cerchiamo di guardare Faenza, la Romagna, le persone che la abitano, le loro storie questa e’ la mia musica. Penso che oggi si senta un po’ di questo da Fm. Siamo però consapevoli di commettere ancora molti errori, siamo però altrettanto attenti e ci impegniamo per poter cambiare.
D: Visto il tuo modo controcorrente di vivere il cibo e di fare cucina mi chiedo: cosa ne pensi delle guide, delle forchette, dei cappellini assegnati dai grandi network dell’informazione?
R: Ribadisco, i passi indietro sono stati fondamentali. Penso che Faenza mi abbia dato la giusta scena e non chiedo di più, a parte migliorare. Sono impegnato a far si che un cliente, quando entra da noi, viva un’esperienza rassicurante. Voglio che l’accoglienza sia alla base, voglio che le attenzioni siano alte, voglio che si respiri tranquillità, gioia e voglia di divertirsi con il cibo. Per questo cerco di trasmettere al mio staff questi imperativi. Voglio che le materie prime abbiano una storia, che la storia stessa arrivi. Le guide spesso sono capitanate da persone con grande esperienza. Fermo restando che dobbiamo cucinare per divertirci e alimentare la nostra passione, si possono avere tanti consigli. Fa piacere crescere e sarei un ipocrita a dire che la cosa mi sia indifferente Se la guida la si vive come strumento costruttivo per un intelligente confronto e’ utile. I veri giornalisti non sono tifosi, sono persone che ti danno utili consigli, ti criticano in privato, ti fanno pensare, ti fanno crescere e lo fanno con intuito per il bene della cucina e del paese che viviamo. Facendo il proprio con divertimento e amore, con spensieratezza e verita’ si possono raggiungere tanti obbiettivi.