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Storia di un praticantato redazionale nel tempio della scrittura gastronomica

02 Novembre 2012
seconda parte dell'intervista a Dida Griner
Riprendiamo l’intervista a Daniela Mari Griner, di cui avete letto il racconto del proprio praticantato presso le sorelle Gosetti negli anni Settanta.

Dida- questo il nome affettuoso con cui la chiamano gli amici di cucina – è, come abbiamo letto nella prima puntata dell’intervista, una grande interprete della cucina milanese. Alla nostra domanda se questa stia vivendo una seconda giovinezza, se ci sia insomma una riscoperta della cucina tradizionale propria di Milano e dintorni, risponde di no: “Le ricette che si cucinano” assicura “sono sempre le stesse, eppure ce ne sono moltissime di ancor valide ma del tutto dimenticate. I cuochi poi non aiutano, stravolgono le ricette della tradizione per “reinterpretarle”; il loro scopo però è di ottenere piatti nuovi per stupire piuttosto che veramente riproporre pietanze tradizionali. Oggi fanno tendenza i bicchierini, le ricette scomposte che a me non piacciono ma che appagano tanto coloro che si fanno chiamare “chef”. Che fine hanno fatto i cuochi, quelli veri, non quelli che pensano solo a fregiarsi di stelle, cucchiaio, forchette e chi più ne ha più ne metta? Chi di questi cuochi sa cosa è un vero risotto alla milanese? Chi sa che nel vero risotto ci vuole il grasso d’arrosto e che inoltre si adoperava la cervellata? Non fanno neppure più la base con la cipolla e il midollo: ma che risotto è?”

Già, che risotto è. Per intenderci, alcuni chef dell’ultima generazione hanno eliminato il fondamentale passaggio del soffritto dalle tecniche di base del risotto e fanno tostare il riso a secco, sostenendo che un riso importante e adeguatamente invecchiato è sapido di suo e inoltre non necessita di un’operazione di “sigillatura” dell’amido attraverso il grasso della tostatura. Alcuni di loro – Oldani in testa - si spingono addirittura a tirare il risotto con acqua salata anziché brodo di manzo (ma anche cappone, dipende un po’ dalle occasioni e dalla tipologia di risotto) come tradizione impone. Per non parlare della mantecatura: un capitolo ormai ridotto ai minimi termini, altro che il famoso grass de ross che serviva appunto a dare ulteriormente corpo al risotto domenicale.

“Chi fra quelli che sostengono di conoscere la tradizione milanese sa cos’è l’urgiada, una minestra fatta con orzo, fagioli, patate e latte?” incalza Dida. “Chi fa più i messicani o la savoiarda? Solo poche famiglie tradizionaliste cucinano ancora i piatti antichi.” E uno di questi piatti è quello che segue, e che Dida ha pensato di dedicare al Cavolo Verde: il tipico pranzo del giorno dei Morti a Milano insieme al Pan di mort e agli Oss de mord. “In questo periodo dell’anno una volta faceva veramente freddo, a volte si era già vista la neve (in realtà quest’anno pare si sia tornati alle orgini almeno da un punto di vista meteorologico, ndr), e allora si ammazzava il maiale. Le sue carni venivano messe via per l’inverno (lardo, pancetta, salami, salamini, cotechini, zamponi, carne sotto sale) ma anche consumate fresche (costine arrosto o in umido, arrosto di maiale, casseula, umidi vari). Le parti meno nobili, come la testa del maiale, erano usate per insaporire legumi e zuppe. I legumi secchi erano molto usati: ceci, fagioli, lenticchie, piselli, fave costituivano un gradito contorno quando d’inverno non c’erano verdure fresche o erano l’ingrediente principale di zuppe e minestre. Ed ecco allora che il musetto di maiale trova la “morte sua” in questa zuppa che appariva il 2 novembre sulle tavole di tutti i milanesi, a qualsiasi ceto sociale appartenessero.”


Ceci con la tempia di maiale
Ingredienti: per 4 persone
tempia di maiale (mezza testa di maiale) gr 500
spalla di maiale con osso gr. 500
ceci secchi gr. 500
due foglie di alloro - un rametto di rosmarino – un ciuffetto di salvia – tre cipolle bionde medie – tre carote – 3 gambi di sedano verde – sale – pepe.

Mettere a bagno i ceci per almeno due giorni cambiando l’acqua due volte al giorno (volendo si può aggiungere all’acqua un cucchiaino di bicarbonato), poi sciacquarli levando quelli scuri e scolarli. Metterli in una pentola, coprirli abbondantemente con acqua fredda, aggiungere una foglia d’alloro e far cuocere, a fuoco moderato, per circa due ore e mezzo/tre ore senza aggiungere sale. Devono risultare morbidi ma non sfatti.
Fiammeggiare la testina di maiale per togliere eventuali setole, poi raschiarla con la lama di un coltello. Lavarla e asciugarla. In una capace pentola ben calda mettere le due carni in un pezzo solo, farle rosolare nel loro grasso, poi aggiungere la restante foglia di alloro, il rosmarino, la salvia e le verdure pulite, lavate e tagliare a rondelle sottili; salare, pepare se piace e cuocere sino a quando la carne sarà tenera. Travasare i ceci con il loro brodo nella pentola della carne e proseguire la cottura per una mezz’ora in modo che sia la carne sia i ceci si insaporiscano ulteriormente.
Levare la carne e affettarla tenendola al caldo: si servirà come secondo con il tradizionale contorno di cetriolini e peperoncini verdi sott’aceto, anche giardiniera se piace.
I ceci con il brodo verranno serviti come primo piatto accompagnando, a piacere, con grana grattugiato e crostoni di pane abbrustolito in forno. In casa nostra, sin dai tempi dei bisnonni, è d’uso servire la minestra in cui si sono lasciati dei pezzetti di carne. La tempia è poi consumata come secondo accompagnandola sia con i sottaceti sia con ceci caldi in insalata, conditi solo con ottimo olio extra vergine di oliva e sale.

La domanda di congedo è: esistono ancora dei macellai che tengono la tempia? “Trovare oggi la testa del maiale non è facile” riconosce la nostra amica. “Non ci sono più i macellai di una volta che fornivano anche le parti meno nobili degli animali macellati. E’ più facile trovare muso, coda, orecchie, fegato e cervella di maiale nelle campagne circostanti Milano. Io ho la fortuna di vivere a 25 chilometri dalla città e dalle mie parti, magari dietro richiesta, si possono ancora trovare queste carni, povere ma saporite e adatte a tanti piatti della tradizione. “
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