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La Gioeubia, Imbolc e il risotto con la luganega

28 Gennaio 2012
La cucina come metafora del viaggiare
Spesso mi chiedo quale sia il senso di andare a ripescare una ricetta della propria tradizione per divulgarla, con tanto di dosi e varianti familiari, e magari pure condendola con qualche nozione storica il più possibile onesta. Per spiegarmi meglio, vedrò di utilizzare un esempio concreto sul quale ho avuto modo di meditare proprio in questi giorni.
In settimana, e precisamente giovedì – l'ultimo giovedì del mese per la precisione - dalle mie parti si è festeggiata la Gioeubia, una ricorrenza tuttora molto sentita in tutta l'Insubria, che prende avvio con molta probabilità da antichissime tradizioni pagane (tant'è vero che Cesario di Arles, vescovo del VI secolo, sottolineava in uno dei suoi Sermones come fosse faticoso estirpare in particolare l'usanza di travestirsi da anula, ossia da vecchia, durante l'inverno, nel suo distretto di pertinenza). La Gioeubia, detta altrove Zoebia o anche Giubiana, è un fantoccio che viene arso su una pira in diverse contrade, dalla Brianza tutta al Varesotto (famosi i roghi di Vedano e di Busto Arsizio); rappresenta la vecchia strega che simboleggia l'inverno, i suoi rigori, ma in generale tutte le brutture dell'anno che si vuole lasciare alle spalle, e più di una volta la si carica popolarmente di significati di natura politica, cosicché dal senso delle fiamme e da come risulterà consumato il fantoccio si potranno trarre auspici per l'anno che viene.
La Gioeubia, che idealmente si pone a ridosso degli antichi festeggiamenti pagani di Imbolc, il capodanno celtico (2 febbraio, cristianizzato nella Candelora), e che conclude tutta quella serie di fuochi invernali il più noto dei quali è Sant'Antonio, è praticamente misconosciuta al di fuori del nostro territorio. Eppure c'è tutta una letteratura che le fiorisce addosso, non solo di leggende (come quella della vecchia calzata a strisce appollaiata nelle nebbie, che rapisce le ragazze da marito) ma anche di tradizioni culinarie, che a seconda del luogo possono variare anche se in maniera non clamorosa.
Due sono le pietanze che ricorrono nel periodo della Gioeubia: il risotto con la luganega e i bruscitti. Sul Cavolo Verde ne ho già ampiamente parlato, di entrambi, per cui non starò a rivangare ma vi rimando, se voleste informarvi, ai miei articoli che, come la Gioeubia, spero non siano ancora passati di moda. Piuttosto, vi invito a condividere la mia riflessione: qual è il meccanismo per cui ci si interessa alle tradizioni culinarie altrui e magari si vuole pure provare a casa propria a ricostruire quella tal ricetta che sappiamo essere radicata in una tradizione ed in un territorio che non ci appartengono?
Pura curiosità di sperimentare? Non credo. Tanti di coloro che amano riprodurre, che so, la cassoeula pur abitando in Sicilia lo fanno con dedizione accanita, cercando di recuperare quanto più possibile gli ingredienti adatti. Il mio risott e luganega della Gioeubia, ad esempio, so che è stato provato con successo da amici liguri che hanno acquistato qui, proprio qui dalle mie parti la luganega giusta, la salsiccia a nastro e speziata alla monzese, come la ricetta originale impone. Io stessa, pur non essendo separata da chissà quale distanza da Novara, attendo di poter trovare il salam della 'duja in qualche gastronomia ben rifornita prima di potervi raccontare l'ABC della paniscia, che pur conosco bene avendola più volte apprezzata in loco, anche se il Maratelli, l'altro ingrediente caratterizzante, è già da tempo nelle mie corde. Allora, tutta questa smania di sperimentare che cos'è? Sicuramente desiderio di accrescere i propri orizzonti culturali, perché la cucina è cultura del territorio, perché non c'è nulla che parli di un popolo quanto la sua tavola. Certo è che ci sono sempre dei limiti ben chiari in un'operazione del genere, pur eseguita con scrupolo e umiltà: così come, pasteggiando in un ristorante toscano in terra lombarda si respirerà aria di Toscana mista a venti del Nord, pur se l'interprete è tosco purosangue, il rischio concreto di un risultato molto più spurio c'è se in casa nostra ci accingiamo a preparare le panelle se non siamo siciliani almeno di nascita. E allora? Dovremmo abbandonare, oggi che è più facile che mai reperire su qualunque mercato prodotti allogeni, la tentazione di cucinare qualcosa che ci attira come una chimera e che magari sul posto non abbiamo mai assaggiato? Giammai. Avrete sicuramente sentito parlare di Emilio Salgari, che scrisse più di un'ottantina di romanzi d'avventura ambientati in foreste spettacolari (tra l'altro nel 2011 ricorrevano i 150 anni dalla nascita e, per curiosa coincidenza, quest'anno i 100 dalla morte). Bene, colui il quale è considerato una delle penne più affascinanti per le descrizioni esotiche, non viaggiò mai in vita sua: scrisse tutti i suoi libri in quel di Verona, consultando le migliori enciclopedie dell'epoca. Un altro esempio celebre, e ancora più vistoso, è quello di Beda il Venerabile, uno dei massimi enciclopedisti altomedievali, vissuto a cavallo fra il VII e l'VIII secolo, che non si spostò mai dal monastero di Jarrow nel Northumberland. Ebbene, nel nostro piccolo, pur con tutti i limiti (o i pregi) di ciascun caso personale, cucinare qualcosa di 'alieno' senza averlo mai conosciuto se non sui ricettari ci fa viaggiare con la fantasia. Ci apre la mente, ci fa percorrere distanze enormi a buon mercato. Qualcuno sosterrà che è la cultura della banalizzazione, che è la globalizzazione che galoppa e che ci ha ormai totalmente abbacinati. Per me, al contrario, è un viaggio stimolante, un'occasione ghiotta (anche letteralmente parlando) per raccontare ai miei figli di terre lontane, che mai forse potremo vedere. La si prenda come si vuole, ma quale altro modo altrettanto tangibile escogitereste voi per viaggiare senza muovervi di casa? Ben vengano allora coloro che mi raccontano di aver fatto i miei bruscitti alla Gioebia, anche se l'erbabonna l'hanno recuperata sulle pendici dell'Etna, perché volevano volare con la fantasia. Li apprezzo moltissimo, molto di più degli italiani danarosi che girano il mondo e chiedono la pizza in ogni angolo, o frequentano solo i ristoranti stellati.
primi sui motori con e-max.it
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