Archivio Storico 2011-2017

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Il Pandolce Genovese

31 Dicembre 2011
Per una festa davvero tradizionale
Natale a Genova fa rima con pandolce, e benché anche la 'Superba' si sia nei secoli assuefatta ai diversi pandori, panettoni milanesi e torroni vari, è molto difficile che nella nostra città le feste trascorrano senza che almeno un pandolce entri in casa.
Quest'antica preparazione dolciaria, simbolo stesso del Natale, è legata a moltissime leggende, tutte assai suggestive. C'è quella che vede il pandolce inventato da un umile sguattero alla corte del doge per degli ospiti improvvisi, o quella secondo la quale il pandolce genovese sarebbe il discendente diretto del 'pan co-o zibibbo', il pane con le uvette, portato dalla Persia da alcuni marinai, naturalmente genovesi. Benché le leggende si sprechino, le cronache tuttavia ci raccontano in maniera abbastanza precisa che il pandolce genovese fu creato su richiesta del grande Andrea Doria, figura anch'essa quasi leggendaria della nostra storia, che bandì un concorso tra i cuochi del genovesato per creare un dolce che rappresentasse la città e che potesse essere conservato a lungo durante i viaggi per mare, in modo che i marinai, sempre lontani da casa, potessero festeggiare il Natale e sentirsi vicini alle loro famiglie.
Chi vinse la gara ovviamente non si sa, ma è più o meno da allora che il pandolce è diventato il simbolo genovese del Natale.
Nei secoli questo dolce non è naturalmente rimasto immune da varianti, che hanno creato una corrente gastronomica parallela. Esistono infatti il pandolce 'alto' e il pandolce 'basso'.
Il pandolce basso, che è più recente, si differenzia oltre che per la forma anche per la pasta, più friabile, che rispetto al pandolce alto ricorda un po' la pastafrolla, soprattutto per la presenza delle uova nell'impasto.
Il pandolce alto è invece la ricetta originale e presenta una pasta più compatta e simile al pane, con un sapore meno dolce. Tra le altre varianti create dalla pasticceria troviamo anche il pandolce senza canditi, il pandolce con gocce di cioccolato, il pandolcino (delle dimensioni di una brioche), il pandolce noci e cioccolato, il pandolce con i fichi e moltissimi altri.
Benché sia ormai prodotto su scala industriale, il pandolce genovese resta ancora oggi un prodotto 'nobile', prodotto cioè in quantitativi non eccessivi, perché per essere veramente di qualità richiede una lavorazione molto simile a quella artigianale, e non può essere quindi trattato alla stregua di un normale prodotto industriale. Tra le ditte genovesi che hanno fatto del pandolce genovese uno dei loro prodotti di punta troviamo le storiche Panarello e Grondona.
Ecco, per chi volesse provare, la ricetta tradizionale.

Pandolce (Pan Doçe):
- 500 gr di farina
- 125 gr di burro
- 125 gr di zucchero
- 2 bustine di lievito in polvere
- 30 gr di pinoli
- 30 gr di pistacchi
- 30 gr di uvetta
- 50 gr di scorza d'arancia candita (o cedro)
- 10 gr di semi di finocchio
- 1 cucchiaio d'acqua di fiori d'arancio
- 1 bicchiere di marsala
- Sale q.b.

Setacciate metà della farina e fate la fontana, unite il lievito con un pizzico di sale, poi impastate aggiungendo acqua tiepida a filo. Quando avrete ottenuto una pasta liscia e soda che non si appiccica alle mani, copritela con in telo e fatela lievitare per un giorno e una notte.
Trascorso questo tempo mettete l'uvetta a rinvenire in acqua tiepida e fate sciogliere il burro a bagnomaria.
Fate la fontana con la restante farina, unitevi il marsala, il burro, l'acqua di fiori d'arancio, lo zucchero e un pizzico di sale. Impastate con energia, poi unite l'impasto al panetto di pasta già lievitata.
Impastate con le mani fino a che non otterrete un composto omogeneo, liscio e soffice. Incorporatevi i semi di finocchio, l'uvetta strizzata, i pinoli, i pistacchi e la scorza candita tagliata a cubetti.
Lavorate l'impasto per almeno 20 minuti, in modo da distribuire in maniera omogenea gli ingredienti, quindi date alla pasta la forma di una palla e ponetela su una placca da forno imburrata.
Tagliate una striscia di carta da forno e utilizzatela per formare un cerchio attorno al panetto di pasta (serve per evitare che il dolce si allarghi troppo durante la lievitazione), coprite il tutto con un telo e lasciate lievitare per altre 12 ore.
Terminata la lievitazione incidete la sommità del panetto con due tagli a croce piuttosto profondi, poi infornatelo a forno caldo e fate cuocere per 1 ora a 190°C circa.
Sfornatelo e lasciatelo raffreddare.

Secondo la tradizione più antica, il pandolce andrebbe portato in tavola dalla padrona di casa coronato da un ramoscello di ulivo (simbolo di pace) e uno di alloro (simbolo di prosperità).
Il più giovane dei commensali deve rimuovere le decorazioni e conservarle per tutto l'anno, il capofamiglia deve tagliare il pandolce e il commensale più anziano deve distribuire le fette.
Al momento del primo taglio, il capofamiglia dovrebbe pronunciare questo augurio:
'Vita lunga con questo pane! Prego per tutti tanta salute, come oggi e così domani, perché si possa affettarlo ancora qui seduti, per mangiarlo in santa pace con i bambini, grandi e piccini, con i parenti e con i vicini, per tutti gli anni che verranno, come spero Dio vorrà.' (ovviamente, la versione originale è in genovese. Ndr).
Al termine della serata, una fetta di pandolce (o dell'ultimo pandolce aperto, se ne è stato consumato più di uno) andrebbe conservata avvolta in un tovagliolo per essere mangiata, un pezzettino ciascuno, il giorno di San Biagio (3 Febbraio).
E' certamente d'obbligo infine una nota storica su Andrea Doria. Benché sia opinione comune che il grande ammiraglio fosse di stirpe reale (il Palazzo del Principe è tra le tappe obbligate per chi visita Genova), in realtà Andrea Doria era un giovane appartenente alla nobiltà di campagna che decise di intraprendere la carriera militare e che divenne, all'alba dei quarant'anni, uno dei più strenui difensori di Genova e una della più grandi figure diplomatiche che la nostra storia possa vantare. Passando indenne attraverso i complotti delle corti di mezza Europa (prima in Francia e poi in Spagna), attraverso rivolte e lotte con i pirati di tutto il mediterraneo, attraverso clamorose vittorie e brucianti sconfitte, Andrea Doria segnò per quasi mezzo secolo la storia della nostra città. Abile statista, fine diplomatico e uomo vendicativo (passò alla storia il corpo di Gian Luigi Fieschi che, recuperato dalle onde dopo essere caduto in mare durante una congiura verso Doria, venne lasciato a decomporsi sul molo della città per due mesi), Andrea Doria ebbe nella sua vita due grandi amori, Genova e il mare. Rifiutò nel 1528 la signoria della città, rimanendo però costantemente nell'ombra a tirare i fili del potere per assicurare a Genova prosperità e indipendenza. Fu tra i fautori della costituzione che trasformò Genova in Repubblica, lottò accanitamente per non far cadere la città sotto il dominio francese e patrocinò la costruzione della cinta muraria che ancora oggi è nota come 'giro dei forti', a difesa della città. Uomo d'azione, navigò fino a settant'anni anni e guidò alcune delle più importanti spedizioni belliche della nostra storia. Nominato Principe di Melfi da Carlo V nel 1531, gli fu conferito il Toson D'Oro, una delle massime onorificenze dell'epoca. Secondo il mito, da una sua idea nacque la prima regata delle repubbliche marinare. Sempre ad Andrea Doria risale la nostra atavica rivalità con i veneziani. Nel 1538 infatti Andrea Doria si ritirò durante la battaglia contro il Barbarossa sul canale di Corinto, lasciando Venezia nei guai. Da allora, genovesi e veneziani si detestano cordialmente (e non ci è ancora passata! Se non ci credete andate a vedere la regata storica delle repubbliche marinare, e verificate tra quali tifoserie volano insulti...sembra di essere al derby!).
Incredibilmente, la vita di Andrea Doria si intrecciò anche con la nostra storia gastronomica.
Al di là dell'invenzione del pandolce, fu lui a pretendere per primo la tutela delle ricette genovesi e a caldeggiare la raccolta delle nostre ricette tradizionali in volumi. Promotore di moltissime gare di cucina, cui non mancava mai di partecipare quale giudice, Andrea Doria si batté a lungo perché il nostro patrimonio gastronomico non andasse perduto e non venisse inquinato da influenze esterne, soprattutto francesi. Il biscotto del Lagaccio, dolce storico della nostra pasticceria, prende il nome da un laghetto artificiale fatto costruire proprio da Andrea Doria per le esigenze della sua flotta.
Il palazzo che si fece costruire, che oggi si trova davanti a Stazione Marittima ma che un tempo dava direttamente sulla spiaggia, fu fatto erigere perché lui potesse, fino all'ultimo respiro, avere davanti agli occhi quel mare che tanto amava. A lui fu intitolato il Biscottificio Doria, una delle nostre realtà industriali più antiche, e sempre a lui può essere ricondotto il nome di una delle nostre squadre cittadine, la Sampdoria. Ritratto in moltissimi quadri e affreschi di ispirazione mitologica, Andrea Doria morì nel 1560, senza altri eredi se non un nipote. Leggenda vuole che il suo testamento fu redatto in genovese e che prima di morire si trascinò sul balcone per guardare il mare un'ultima volta. Neppure da morto volle lasciare Genova, pare infatti che a Palazzo del Principe vaghi il suo fantasma, ben noto al personale di servizio che sopporta con filosofia i suoi scherzi.
Sia come sia, per quanti secoli potranno passare i genovesi non dimenticheranno mai la figura e le gesta di quest'uomo che amò Genova sopra ogni altra cosa.
E forse adesso anche voi, ogni volta che taglierete una fetta di pandolce, penserete a lui...


per le foto si ringraziano:
http://3.bp.blogspot.com/-Ap58UAokLlo/TPlUDdJVQwI/AAAAAAAAAFc/8qorOlQBot0/s1600/pandolce-basso.jpg

http://www.dopart.it/ - andrea doria
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