Archivio Storico 2011-2017

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Bagnet verd: la mia madeleine

13 Dicembre 2011
Il profumo e la poesia di un ricordo
Uno dei ricordi più belli che ho della mia infanzia riguarda gli ultimi giorni delle immense, sterminate vacanze – eh già: ai bimbi il tempo sembra eterno... - che trascorrevo coi nonni a Cerano d'Intelvi, piccolo paesino a 600 metri di altitudine: tanti pini e prati verdi sullo sfondo del lago di Como.
Il privilegio di noi villeggianti milanesi era prendere in affitto una casa con un grosso terrazzo e un po' di terra e coltivare – ah, coltivare! - l'orto. Il contatto con la terra stessa, il profumo di tutta quella verzura scaldata dal sole, l'acqua che irrorava il campo all'imbrunire o durante i temporali estivi mi davano una sensazione intensa, atavica, primordiale. In quelle zucchine e in quei curnitt appena colti io, bambina, sentivo la vita pulsare.
Tramontavano comunque i giorni estivi e ai primi di settembre, mentre pensavo all'ormai imminente ritorno a scuola, arrivava il momento di smantellare l'orto. Lo facevamo tutti insieme come fosse un rito collettivo. E tutta quella verdura – c'erano zucchine, cetrioli, fagioli, fagiolini, insalate, carote, cipolle, e tante erbe aromatiche il cui profumo mi sembra ancora di sentire – una volta raccolta veniva pulita, tagliata, sbollentata con cura. Tesaurizzata come un gioiello prezioso che ci avrebbe permesso di scaldarci al sole durante il lungo inverno meneghino.
L'erba che preferivo era il prezzemolo.
Cresceva abbondantissimo, alto e forte, le foglie grandi come le mie piccole mani. Profumava di clorofilla e d'estate. La mia nonna Maddalena lo metteva dappertutto. Ma la sua specialità era la salsa verde, quella che i piemontesi doc chiamano 'bagnet vert' e che serve a condire le uova sode e accompagnare i lessi.
La Lomellina, da cui parte della sua famiglia traeva origine, del resto non è lontana anzi è lì, a un tiro di schioppo. Così in quei giorni quella montagna d'erba odorosa invadeva il tavolo della cucina attendendo di essere pazientemente mondata. Prendevamo in mano i rametti di prezzemolo, belli turgidi di linfa, uno per volta e le foglie, con le dita o con l'aiuto di una piccola forbice, le spiccavamo via con cura stando attenti a evitare il gambo e il picciolo. La pioggia di foglie si adagiava in un grosso scolapasta bianco. Poi un flusso abbondante di acqua corrente, fredda dalla vicina sorgente, si portava via i residui di terra. La massa verde, riversata su un canovaccio bianco, era una gioia per gli occhi, e il profumo intenso quasi stordiva. Quel fagottino mia nonna, uscendo sulla soglia, lo raggruppava a mo' di sacco e lo scuoteva, avanti e indietro, per eliminare l'acqua in eccesso, ma senza rovinare le foglie.
Il pomeriggio trascorreva con noi chini sui taglieri di legno, con la mezzaluna, a tagliuzzare finemente il prezzemolo misto a spicchi d'aglio. Intanto sul fuoco bollivano le uova, il cui tuorlo prezioso avrebbe arricchito la nostra salsa nel tocco finale. In una grossa insalatiera, la verdura tritata si mischiava ai capperi, anch'essi finemente sminuzzati. Poi si aggiungevano alcune acciughe accuratamente pulite e spezzettate. Il momento che più amavo era quando la nonna prendeva dalla madia una gran quantità di mollica di pane bianco e, dopo averla messa in una ciotola, la irrorava con tanto aceto di vino bianco. L'odore che si sprigionava era acre ma nient'affatto sgradevole. Rappresentava per me un mistero, anzi il Mistero per eccellenza: come possono sapori forti e tanto diversi unirsi a trovare un magico, irripetibile equilibrio? Così, nella piccola cucina di Cerano d'Intelvi, ho forse intuito per la prima volta, come Parsifal col Santo Graal, il segreto, millenario, della nostra Cucina tradizionale.
Da lì in poi la preparazione procedeva spedita. Quando il pane era zuppo, la nonna lo strizzava e lo aggiungeva al resto, aggiustando di sale e di pepe. Un pizzico di zucchero e poi loro, i tuorli d'uovo, da amalgamare bene al tutto mentre un filo d'olio d'oliva avvolgeva dolcemente la preparazione, rendendola soffice e omogenea. Il rito – anzi il capolavoro - era compiuto. Inserita a cucchiaiate nella teoria di vasetti di vetro, coperta con un filo d'olio e poi ermeticamente chiusa, la salsa verde ci avrebbe accompagnato per tutto l'inverno. E ogni volta che il vasetto si fosse aperto facendo 'clac', anche se fuori c'era la nebbia, sarebbe spuntato un raggio di sole.
Ieri ho voluto provare a rifare la magia con i miei bimbi, Jacopo e Riccardo, 3 e 5 anni e molto curiosi. Li ho messi a tagliar le foglie, hanno esaminato gli ingredienti, hanno osservato e partecipato a ogni operazione con interesse misto a stupore. E nei loro occhi sgranati mi sono rivista bambina alle prese con le stesse emozioni.
Quel 'bagnet vert' che abbiamo fatto insieme, e che alla sera ha accompagnato insieme ad altre salse un'ottima Fondue bourguignonne, aveva un sapore speciale. Perché come accadde a Proust con le 'Petites Madeleines', anche a me, all'improvviso, si è materializzato davanti, dolce e malinconico, il ricordo.
primi sui motori con e-max.it
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