Siamo in pieno periodo di “Asparagus officinalis”, localmente detto “sparaso” e nella zona che mi circonda, tra la provincia veronese e quella vicentina, ce ne sono alcune varietà da annoverare senza dubbio ai vertici di una potenziale classifica di questa singolare tipologia di ortaggi.
Il termine, dal greco “aspharagos”, e dal persiano “asparag” significa germoglio e sta a designare sia l'intera pianta che i suoi germogli. La parte commestibile della pianta, il “turione” possiede proprietà diuretiche, è ricca di fibra, vitamine, potassio e fosforo e, nel contempo, povera di calorie, molto apprezzata in cucina e può vantare una storia di millenni.
Furono, infatti, gli egizi a coltivarlo per primi, mentre alcuni manuali romani del 200 a.C. ne descrivono con dovizia di particolari la coltivazione. Se ne rinvengono citazioni in Teofrasto, Catone, Plinio e Apicio. Agli imperatori romani, poi, erano così graditi che pare che siano state costruite apposite navi (chiamate, appunto, “asparagus”) per andarli a raccogliere.
Dal XV secolo è iniziata la loro coltivazione in Francia, successivamente in Inghilterra e, più tardi, in Nord America, dove ha trovato nuovi terreni idonei alla coltivazione. I nativi americani li essiccavano, conservandoli per usi officinali.
La cucina locale li propone in numerose varianti, alla crema, con uova sode (celeberrimo “ovi duri e sparasi”) ma anche come condimento per risotti.
L'abbinamento ideale, quantomeno territorialmente, è rappresentato dal vino Vespaiolo, in versione secca, essendo entrambi considerati simboli della provincia di Vicenza, al punto da prestare il nome ad una rassegna gastronomica che si svolge annualmente in questo periodo in numerosi ristoranti della zona.
L’accostamento trova le sue ragioni nella contemporanea presenza di buon corpo e di spiccata freschezza del Vespaiolo: il primo ben si sposa con gusti decisi, la seconda contrasta l’untuosità dei condimenti.
Ma torniamo un attimo indietro alle origini e ripercorriamo le caratteristiche di questo vino.
La Vespaiola (altrimenti detta Vesparola, Bresparola, Uva vespera, Vespaiolo) è un'uva autoctona, molto antica, coltivata unicamente nella zona del vicentino, precisamente di Breganze, e sulle cui origini non si hanno notizie precise. Sembra sia attribuibile ai monaci Benedettini, che nel XIV si spostavano dall’Italia Centrale verso quella Settentrionale.
Quel che pare abbastanza certo è che la sua diffusione sarebbe da ricondurre al proliferare, nel periodo successivo, delle residenze estive dei nobili veneziani, che pretendevano per le loro mense i vini migliori.
Dopo un lungo periodo di offuscamento, l'uva ottiene definitivo riscatto e consacrazione con il conferimento della DOC Breganze, una tra le prime in Italia (siamo nel 1968), che ne garantisce visibilità e tutela.
Il suo nome sarebbe dovuto alla forte attrazione esercitata sulle vespe, ammaliate dal suo profumo e ghiotte dell’elevata percentuale di zuccheri presenti nei suoi succosi acini. L'uva matura tardi e solitamente si vendemmia a settembre inoltrato, verso la fine.
Il vino che ne deriva presenta colore giallo paglierino con riflessi verdolini, ha un profumo di buona intensità con sentori di frutta matura a polpa gialla come albicocca e nespola, note floreali di fiori di acacia e di mandorlo e delicati tocchi minerali. Al gusto predomina la freschezza, garantita dalla naturale acidità varietale. Presenta generalmente una buona persistenza aromatica ed un’interessante predisposizione all’invecchiamento, al punto che dopo un paio d’anni vira, al naso, verso sentori di mela cotogna, accentuando le gradevoli note minerali.
Da quest'uva, da annoverare fieramente nel patrimonio enologico della nostra penisola, deriva una versione ancora più affascinante e particolare, quella dolce con il Torcolato, vino bevuto fin dall'antichità sia da famiglie ricche che umili.
Il nome, in questo caso, deriva dal fatto che le uve, dopo la vendemmia, accurata selezione dei grappoli migliori, vengono attorcigliate, “torcolate” appunto, con una coppia di spaghi e poi appese alle travi di legno delle soffitte ben aereate e asciutte, affinchè vadano incontro a lenta e parziale disidratazione, che favorisce perdita d'acqua e concentrazione di zuccheri e acidità.
La spremitura avviene generalmente a metà gennaio in piazza a Breganze, in una cerimonia pubblica e festosa. Il mosto così ottenuto arriverà a maturazione solo dopo 18 mesi, prima di poter essere imbottigliato.
Il profumo è quello tipico dei vini passiti, con note di frutta matura, mielate e floreali, oltre ad un tocco lievemente citrino, tipico dell'uva. Come altrettanto tipico è il permanere, in bocca, della caratteristica acidità, nonostante i preponderanti sapori di frutta passita e secca.
Se l'abbinamento ideale della versione secca è rappresentato – come detto – da “sparasi” o dal baccalà alla vicentina, nella versione dolce trova la sua massima esaltazione con biscotti secchi o formaggi erborinati.
Con questi versi il poeta Aureliano Acanti, nel 1754, nel "Roccolo Ditirambo" (guida ai vini vicentini), parlava del vino dolce di Breganze, così definendolo "....vino prezioso...vinsanto prelibato...dolcissimo Pasquale" ed ancora "....si dice questo vino Pasquale, perché si fa se non verso Pasqua d'agnello, serbandosi fino allora l'uva appiccata all'aria....Vinsanto si fa pure in Verona ed in Brescia: ma il Vicentino non cede né all'uno né all'altro" .
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Asparagi, Vespaiolo e Torcolato
Un abbinamento perfetto di prodotti del territorio
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Papille gustative