Quando ancora le uova di cioccolato non esistevano, sulla tavola pasquale dei nostri nonni le uova presenziavano in tante diverse maniere. Bisogna infatti sapere che nei tempi antichi in Quaresima erano vietate tanto quanto la carne, anche se ricomparivano nella pastella dei turtei di San Giuseppe e dell’Annunciazione, giorni in cui si spezzava il digiuno; così le uova – simbolo di rinascita – ritornavano da vere protagoniste durante il pranzo di Pasqua e il merendino familiare di Pasquetta.
Prima di tutto, non mancava mai l’insalada e ciapp. Le nonne raccoglievano nei campi la zicoria mata, comunemente detta pisalet o pissacàn, cioè la rosellina di foglie del dente di leone o tarassaco, e la recidevano facendo attenzione a lasciare la radice interrata perché potesse rigermogliare. Ben ripulita dalla sua terra, tenerissima sul principio della primavera, non aveva ancora l’amaro pungente delle foglie estive mature, che per essere mangiate devono essere necessariamente passate in padella. Assieme alla zicoria mata, arrivavano in tavola i saladin, la valeriana dei prati (comune nei fossati) e i ciapp, cioè le uova sode tagliate a metà, con qualche dadino di toma nostrana o di formaggella. Quest’insalada veniva condita semplicemente con lardo o pancetta sfrigolati in padella, che davano il loro grasso: una volta, infatti, l’olio arrivava nei paesi di rado, ed era molto costoso, cosicché ben pochi se lo potevano permettere. Per arricchire il condimento, e far colare un poco il tuorlo, si tenevano le uova un poco indietro di cottura.
Col tempo si prese l’abitudine di usare la valeriana e il lattughino degli orti, e così effettivamente si fa oggi, forse perché la zicoria effettivamente ha un sapore amarognolo, o forse perché ormai sono rimasti in pochi a raccogliere, e soprattutto a riconoscere, le erbe campestri.
Ecco la ricetta in lingua bosina di una mia cara amica, la maestra Diana:
“Cun la zicoria mata di prà piscinina e bela tenera, te fet un'insalada. Pö te ciapet i ööv fresch dul pulé e te fet cös 5 minüt inscì che ul giald al sa desfa e al lassa un zich de pucia. Te tajet i ööv a metà e te i metet in su l'insalada cunt ul bianch de sura, vün visin a l'altar, ca paran dü ciapp. Oli, saa, asè sa ta pias, e la tò insalada da Pasqua l'è faia!”
(Con la cicoria matta dei prati, piccolina e bella tenera, fai un’insalata. Poi devi prendere le uova fresche dal pollaio, e farle cuocere cinque minuti cosicché il giallo si disfa e lascia un pochino di sugo. Taglia le uova a metà e mettile nell’insalata con la parte bianca rivolta verso l’alto, in modo che sembrino… due chiappe . Olio, sale secondo il gusto, e la tua insalata di Pasqua è bell’è fatta!)
C’erano poi i cestini di pane, piccoli incroci di pasta cotta attorno ad un uovo che rassodava in forno, deliziosi nidi commestibili comuni a tante culture padane. Si potevano fare con uno o più uova. Altre uova sode arrivavano poi in tavola colorate, facendo bollire l’uovo in acqua e agenti vari (bucce di cipolle, spinaci, barbabietole…) oppure decorate in altre fantasiose maniere dai bambini.
La carne rimaneva, anche a Pasqua, un lusso: chi poteva si procurava non l’agnello ma il capretto, tipico delle nostre zone, e lo cucinava arrostendolo e profumandolo con le erbe locali. Emblematico è il racconto “I capretti non guardano lontano” contenuto nelle “Avventure di Pierino” di Piero Chiara: ambientato a Luino proprio nel periodo pasquale, parla del fitto andirivieni di capretti che arrivavano imbarcati dalle valli cannobine per giungere sino ai mercati di Milano, e di come Pierino ne avesse sottratto e nascosto uno salvo poi rivenderlo, stremato dalle sue cure, al famoso mercato del mercoledì.
Non mancava invece mai il salame nostrano, che terminava entro Pasqua la sua stagionatura, iniziata l’autunno precedente. Anzi, nel merendino di Pasquetta, l’uscita di famiglia nei prati, col pane casereccio era proprio un obbligo al quale nessuno poteva proprio rinunciare! Con le frittate impreziosite di erbe di campo - i luartis (germogli di luppolo), il rampögen (il raperonzolo), i verzitt (la silene inflata), la vürtiga (ortica) - chiudeva degnamente, oltre alle numerose declinazioni a base di uova, anche il pranzo pasquale.
Con questo articolo colgo l’occasione per augurare a tutti i lettori del Cavolo Verde e a tutta la Redazione una buona Pasqua.
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