Archivio Storico 2011-2017

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La frittata rognosa

06 Marzo 2011
Il cibo dei miseri
Anche nel Varesotto il periodo di Carnevale è uno dei più coinvolgenti dell’anno. Dovete sapere che, grazie al computo del rito ambrosiano, in gran parte del nostro territorio il periodo quaresimale inizia in ritardo rispetto al rito romano, e cioè con la prima domenica successiva al Mercoledì delle Ceneri; ci sono però piccole ma significative enclaves che rientrano nella diocesi di Como e rimangono romane; così, se nel capoluogo e nelle città principali – Busto, Gallarate, Laveno, Luino – il sabato grasso è posticipato di una settimana rispetto a tutto il resto dell’Italia non ambrosiano, alcuni paesi invece sono l’eccezione che conferma la regola e per il loro il culmine del Carnevale sarà il martedì grasso.

Le chiavi di alcune città e cittadine della Provincia vengono simbolicamente affidate per una settimana intera al re del Carnevale: in quei giorni, così, uno per tutti, il Re del Carnevale (il Re Bosino a Varese, Re Scartozz a Gavirate, Re Risotto a Gallarate solo per citare i più noti) subentra nell’immaginario collettivo al primo cittadino, e siederà trionfante accanto alla sua regiura sul carro dell’associazione cittadina tesoriera delle tradizioni durante l’attesissima sfilata del sabato grasso nelle vie del centro.
Se la maschera varesina antica pare fosse il Carletta, una parodia dei barbieri (che un tempo facevano tutt’uno con la classe medica), da diverso tempo invece si associa immediatamente al Carnevale Bosino il Pin Girometta. Ideato da Giuseppe Talamoni – uno fra i più stimati poeti e pittori locali - negli anni Cinquanta del secolo scorso, il Pin Girometta (affiancato dai Mondiali di Ciclismo del 2008 dal figlio Pinin Rudèla) è un omone lungo e magro, con cappello a tesa larga e calzettoni a strisce bianche e rosse (i colori cittadini) e pare sia veramente esistito: Giuseppe, questo probabilmente il vero nome, era un mercante che nel Seicento vendeva souvenir ai pellegrini che salivano al Sacro Monte. Fra la sua mercanzia spiccavano le giromette, votive statuine antropomorfe lavorate con la mollica di pane e decorate con piume, nastri e lustrini; venivano conservate sul camino per propiziare un anno fecondo di raccolti e assunsero un significato ironico ed allusivo ai gendarmi austriaci nei secoli successivi.

Il Varesotto condivide diversi piatti di grasso, dolci e salati, con il milanese e con tutto il territorio insubre, come succede con le chiacchiere, i tortelli e la frittata rognosa, pur con sostanziali differenze che li rendono peculiari del nostro territorio. I ciaciar, molto diffusi nell’area padana, sono sottilissime losanghe di morbida pasta ricca d’uova e aromatizzata con grappa, vino bianco o birra (particolarità, questa, propria di Varese), fritte in abbondante strutto e cosparse di zucchero fine; i turtèi vuoti possono essere arricchiti con pezzetti di mele, uvette o anche rimanere lisci, e sono comunque più rustici e piatti dei bigné fritti importati dalla ricercata pasticceria meneghina; tipicamente bosini, ma anche comaschi e ticinesi sono invece i classici tortelli pieni a base di frolla.

Il piatto però più rappresentativo del Carnevale Bosino è quella che il Vocabolario del Cherubini annota come frittata rognosa, cioè la frittata dei poveri, dei miseri: quelli che in campagna spesso erano affetti dalla fastidiosissima rogna, appunto. Poveri sì, ma in grado comunque di mettere assieme qualche uovo, un poco di formaggio stagionato e della lüganega o un po’ di salame per farne una saporitissima frittata per tutta la famiglia.

Comune a diverse regioni padane e del Centro Italia, è conosciuta in tutto il contado milanese sia a livello popolare sia nelle cucine dei grandi: ne parlano ad esempio Martino da Como e il Messisbugo. Di fama letteraria è la versione con la lüganega, la tipica salsiccia speziata insubre, che pare derivi il nome proprio dalla città ticinese di Lugano: è proprio questa frittata, infatti, che salva dagli stenti le fiorentine sorelle Materassi, che da allora si impegneranno a realizzare i loro ricami anche per la gente del contado, inaugurando una stagione di guadagni particolarmente fortunata.
Per i bosini la versione “ufficiale” rimane la fritada (o fartò, o frioda, a seconda delle zone) cunt el salàmm, per la quale fino a non molti anni fa si dovevano adoperare per forza di cose gli insaccati di media stagionatura: infatti il salame avrebbe trionfato in tavola solamente a Pasqua. Non è un caso, del resto, se l’anno scorso proprio nel periodo pasquale il Salame Prealpino è stato finalmente incoronato con il marchio IGP dopo un iter procedurale durato ben cinque anni.

Ingredienti:

- mezza cipolla bionda
- salame fresco, circa 200 g, in un pezzo unico
- 10 uova medie
- noce moscata
- mentuccia, timo, erba cipollina (a seconda delle zone: comunque erbe di campo fresche, se la stagione lo consente, o essiccate).
- olio e burro

In una larga padella antiaderente si scioglie il burro nell’olio e vi si fa appassire la cipolla affettata sottilmente, unendo un goccio d’acqua perché si intenerisca meglio.
Quando sarà morbida e imbiondita – ci vorrà qualche minuto a fiamma media – si farà rosolare leggermente il salame tagliato a fette spesse circa mezzo cm e ridotto a dadoni.
Si tuffano poi le uova sbattute con il grana, la noce moscata e le spezie, senza salare ulteriormente perché salame e grana sono già molto sapidi.
Si fa cuocere la frittata a fiamma dolce, coperta da un foglio d’alluminio, per cinque minuti, dopodiché si gira delicatamente aiutandosi con un largo piatto e si fa scivolare nuovamente nella padella per terminare la cottura.
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