Archivio Storico 2011-2017

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La cipolla di Breme

27 Luglio 2012
Dalla Lomellina tra storia e gusto
Breme è un tranquillo paesino di poche centinaia di abitanti che si adagia, allungandosi, nella grande Lomellina, quella fetta di Pavese che trascolora nel Piemonte. Non lontano c'è il fiume Ticino, che sin dai tempi della protostoria alimentava con le sue acque assai più navigabili di oggi traffici, uomini, commerci e culture tra il Po e i passi alpini, e poi da lì al cuore dell'Europa.

Nonostante il paesaggio sia cambiato col tempo, e tanti – forse troppi – sono gli orribili capannoni e centri commerciali costruiti al risparmio e senza stile (un pugno nell'occhio in una campagna ubertosa) - , non è troppo difficile immaginarlo trapuntato di una fitta boscaglia, quella che fino al Medioevo ed oltre rivestiva come un abbraccio l'intera zona. Tanto che gli stessi i romani – che pure la Lomellina almeno superficialmente la conquistarono – non furono in grado di realizzare le famose “centuriazioni” che suddividevano il territorio in lotti per poi assegnarli ai loro coloni veterani. E quindi a parte la zona di Vigevano, per il resto le genti celtiche che abitavano la zona - i Levi sul Ticino, i Marici sul Po e i Libici più in là, sul Sesia - poterono starsene relativamente tranquille per secoli.

A disturbarne il sonno millenario arrivarono i Goti e, soprattutto, i Longobardi (568), e l'intera Lomellina, vista la vicinanza di Pavia che era stata scelta come capitale, fu catapultata dalla periferia al centro dell'azione. L'antica Laumellum, Lomello, designata capoluogo, ospitò nel 590 le nozze tra la principessa bavarese Teodolinda e il re longobardo Autari in una cerimonia descritta anche dalle cronache di Paolo Diacono. Non c'era, allora, a far da cornice né la spettacolare Chiesa di Santa Maria Maggiore, la “chiesa del diavolo” che la leggenda vuole distrutta e ricostruita dal demonio in un'unica notte ma senza riuscire a terminarla prima dell'alba (e infatti la facciata risulta inquietantemente incompiuta... e la sua rigida e imponente verticalità dà la netta sensazione che stia per cascarti addosso da un momento all'altro...) né il battistero di san Giovanni ad Fontes, gioiello che sarebbe stato costruito di lì a poco (VII-VIII secolo) proprio per convertire gli abitanti al cattolicesimo, di cui Teodolinda era fervida sostenitrice.

Ma torniamo a Breme, che da Lomello dista solo 15 chilometri, trovandosi dalla parte opposta verso ovest, su un'altura di confluenza tra il Po e il Sesia. Cos'ha di speciale questo piccolo centro agricolo, apparentemente sonnolento soprattutto in estate, quando il caldo feroce batte implacabile la piana come un maglio? Molte cose. Intanto, un bellissimo monastero – l'abbazia di S. Pietro – costruito nel 929 dagli stessi confratelli dell'Abbazia piemontese della Novalesa, nel Torinese, distrutta da un attacco saraceno nel 906. La cripta, assolutamente da visitare, è quel che rimane della fase di costruzione più antica, ed è resa ancora più suggestiva dal contrasto cromatico tra il bianco del marmo di alcune colonne e il caldo mattone in laterizio e ciottoli di fiume che costituisce l'intrico delle volte a crociera, un tempo estese per altre tre campate.

Un battistero del VII-IX secolo a pianta ottagonale, la chiesa parrocchiale romanica duecentesca e il bellissimo e antico (X secolo) oratorio campestre di S. Maria di Pollicino – fotocopia della cappella di Sant'Eldrado della Novalesa, chissà perché? - sono gli altri gioielli che rendono preziosa Breme, per cui ne consigliamo senza dubbio la visita insieme agli altri centri notevoli della zona, Lomello in primis.

Ma se tante e tali sono le bellezze storiche e architettoniche, non si può tacere della vera protagonista di Breme e della sua economia: la cipolla rossa. La sua Sagra è organizzata la seconda domenica di giugno in concomitanza con la festa patronale di S. Barnaba, e in quell'occasione la si può gustare in molti modi diversi: stufata, nelle tipiche torte, sulla pizza, in insalata, come piatto di accompagnamento, sotto forma di marmellata, a formaggi e salumi e a succulente salamelle con polenta, piatti che sembrano non curarsi – è l'arroganza della tradizione! - delle temperature torride tipiche della Valpadana d'estate.

E' una delizia per il palato, ma anche per gli occhi. Tonda, rossa di un colore che tende al carminio, ha dimensioni imponenti, felliniane direi, ed è talmente dolce – anche se non manca il tipico spunto piccante – da aver preso, come una cantante d'opera d'antan, un soprannome: “La Dolcissima”. Viene coltivata con una tecnica laboriosa e antica: i semi sono posti a bagno, con luna calante, in sacchi di iuta e appena germinano vengono seminati in vivaio. Una volta forti a sufficienza, si trasferiscono nel fertile terreno verso la golena che le accoglie e nutre da secoli e secoli.

L'inizio della raccolta è giugno ma va avanti per tutta l'estate. Se siete in zona, comprate il sacchettone da dieci chili che vi basterà tutto l'inverno e dilettatevi nella preparazione di gustose marmellate, insalate e torte salate, che potrete all'occorrenza anche surgelare. Io ho provato a usarla per inventarmi una pastasciutta dalla vivace contaminazione cromatica, che basta non servire bollente e si può mangiare anche d'estate: mezza cipolla tagliata finissima e appena scottata nell'olio d'oliva, sale, un vasetto di pelati ben passati, olive verdi e qualche cappero da versare sulle mezzemaniche di Gragnano e spolverare appena con un po' di parmigiano e un pizzico di peperoncino a piacere. Ricetta facilissima e ottimo risultato, di sicuro effetto.

Se volete provarla in loco, fate un salto alla Vecchia Locanda (tel. 3495215690) oppure Da Mafalda (tel. 038477053). Non resterete delusi. Volete infine fare una (apparente) follia? Assaggiate il gelato. E volate in paradiso.
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