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Il risotto e le sue tecniche

27 Aprile 2012
soffritto, tostatura e sfumatura. Si può prescindere da questa terna magica?
Siamo giunti, nella panoramica sulle tecniche di cottura del risotto, a discorrere di una terna magica imprescindibile nella procedura tradizionale: soffritto, tostatura, sfumatura. Come vedremo, però, se la scuola classica non può decisamente farne a meno, altrettanto non si può dire delle nuove tendenze culinarie, che da un paio di decenni hanno “osato” intaccare alla base una delle più tenaci filosofie gastronomiche nostrane.

Una base di cipolla (solitamente bionda o bianca, ma anche rossa per sposarsi a determinate preparazioni ed ingredienti particolari, come ad esempio il radicchio), tritata finemente viene posta ad essudare in una noce (generosa) di burro: sarà il fondo in cui verrà tostato il riso sino a che non sia divenuto trasparente. Per la verità, le tradizioni contadine parlano piuttosto di battuto aromatico d’aglio, erbe, lardo e cipolla, senza aggiunta di altro grasso, ma ormai da tempo si è imposta in tutte le cucine la “moda” più raffinata della tostatura in burro e cipolla, e pochi sono fra coloro che se ne discostano. Una variante largamente ammessa è l’olio extravergine d’oliva, utilizzato sia in purezza sia in abbinamento con il burro, per alzarne il punto di fumo; un tempo ammesso solamente per i risotti a base di pesce o frutti di mare, oggi sta però conoscendo una nuova fortuna anche in materia, grazie anche alla cucina salutista e agli studi della corrente degli oleologi capitanati da Luigi Caricato. Nel caso dei risotti a base di pesce, solitamente si prevede lo scalogno al posto della cipolla, decisamente più aromatico. Claudio Sadler ad esempio lo utilizza nel suo magnifico Risotto al nero di seppia con foglia d’oro.
Oltre ad insaporire il riso, la tostatura nel soffritto lo impermeabilizza, permettendogli comunque di rilasciare lentamente il suo amido e di non disfarsi: questo perché le alte temperature raggiunte durante la tostatura creano una sorta di patina protettiva che tutela il chicco durante la cottura.

Oggi però alcuni chef di grido preferiscono saltare a piè pari quest’operazione. Davide Oldani, ad esempio, ammette di non ricorrervi perché i risi moderni brillati non ne hanno, a suo avviso, la necessità, e in più perché l’alta ristorazione si serve di chicchi già particolarmente sapidi, ottenuti grazie ad una stagionatura di alcuni anni, come l’Acquarello (una varietà particolarmente pregiata del Carnaroli). A lanciare la provocazione fu nei primissimi anni Ottanta Gualtiero Marchesi con il suo celebre Riso oro e zafferano, che impose la moda dell’esecuzione “alla rovescia”: mentre il riso cuoce a parte, con una leggera tostatura a secco, si fa sudare a parte nel burro la cipolla, dopodiché si sfuma con il vino e si lascia evaporare; il liquido filtrato viene impastato con del burro a pomata che è adoperato, assieme al parmigiano, in mantecatura, cosicché si mantiene la tradizione del vino e della cipolla nel risotto mitigandone al tempo l’eccessiva acidità. La tecnica del cosiddetto burro acido è in voga presso molti chef stellati.
La tostatura a secco in assenza di grassi e cipolla (o scalogno) è forse la tendenza più seguita nella ristorazione sperimentale. In questa maniera, a detta degli chef che la praticano, si garantirebbe l’impermeabilizzazione del chicco gestendone meglio l’aroma naturale. C’è anche chi segue questa via e aggiunge la cipolla cotta preventivamente a vapore a metà cottura, come l’enfant prodige della cucina italiana Enrico Bartolini nel suo mirabile Risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola.

L’operazione successiva alla tostatura, ossia la sfumatura nel vino, solitamente bianco (ma anche rosso per alcuni tipi particolari di risotto, come quello al radicchio o i risotti al Barolo o al Barbera) consiste nello spruzzare il riso tostato di uno, due bicchieri di vino e lasciarlo evaporare a fiamma vivace: prassi che serve ad aromatizzare il riso, e che comunque non lascia traccia di alcool dal momento che questo evapora. Anche in questo caso, come abbiamo già visto, le nuove tendenze tendono o a destrutturare l’operazione dal suo contesto (tecnica del burro acido), oppure addirittura a rimuoverla. Per alcuni è perfettamente inutile, per altri coprirebbe il sapore del riso; per altri ancora, la sfumatura andrebbe fatta riscaldando preventivamente il vino, per evitare uno shock termico al riso, altrimenti sarebbe da evitare.
Per contro, si sta diffondendo la moda di sfumare il riso con le birre artigianali, che conferiscono al risotto delle aromaticità speciali. Al Premiolino, il prestigioso premio giornalistico sponsorizzato da Birra Moretti, che quest’anno ha festeggiato la sua cinquantesima ricorrenza, lo chef Davide Oldani ha presentato un raffinatissimo Zafferano, birra, profumo di limone e riso, un risotto realizzato con Birra Moretti Gran Cru, che secondo lo chef presenta sentori di zafferano.
E’ famosissimo anche il risotto allo champagne, nel quale eccelle Claudio Sadler (appassionato al tempo stesso di Champagne e di risotti), con la sua versione nostrana allo spumante. Piatti molto raffinati, non solo si sfumano con le bollicine ma addirittura si portano a cottura nel proporzioni varie e personali di brodo e di vino.
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