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Vino: benefico o venefico?

05 Luglio 2011
Il rovescio della medaglia delle bevande alcoliche
Alcuni giorni fa si parlava dei benefici che derivano dalla sana degustazione di modiche quantità di vino. Uno o due bicchieri di vino, meglio se rosso, per pasto possono aiutare l'organismo a mantenersi in buona efficienza e sembrano conferire una certa protezione a lungo termine nei confronti di svariate affezioni patologiche.
Il dato da rimarcare è che l'alcol etilico, preso a sé, è senza alcun dubbio una molecola tossica per l'organismo. Ciò che apporta beneficio nel vino sono le sostanze ad elevato potere antiossidante, come i polifenoli.
Il nostro corpo, entro certi limiti, riesce ad antagonizzare gli effetti tossici derivanti dall'ingestione di etanolo, metabolizzando la molecola e neutralizzandone i temibili prodotti di degradazione. Ma cosa succede se la quantità di alcol ingerita supera tali sistemi tampone?

In effetti, la tossicità da etanolo copre uno spettro molto ampio di inconvenienti medici a seconda delle modalità con le quali s'innesca e si mantiene; le manifestazioni cliniche caratteristiche della tossicità acuta sono ben diverse da quelle che compaiono nell'alcolismo, malattia cronica dove il danno biologico è secondario all'esposizione prolungata all'alcol.

Nell'intossicazione acuta i sintomi sono direttamente proporzionali alla quantità ingerita.
In genere compare instabilità emotiva, ridotta coordinazione motoria, rossore al volto, nausea e vomito; nei casi più gravi, il quadro progredisce fino al coma e all'inibizione del respiro.
L'effetto principale dell'alcol è la depressione del sistema nervoso centrale: data la sua facilità di diffusione, poco dopo l'ingestione la concentrazione nel cervello è quasi pari a quella del sangue. Un'alcolemia di 50 milligrammi in un decilitro di sangue (mg/dl) provoca sedazione o tranquillità, da 50 a 150 mg/dl si ha perdita della coordinazione, da 150 a 200 mg/dl interviene una condizione di grave disturbo dello stato di veglia, dell'attenzione, dell'orientamento, della percezione, delle funzioni intellettuali e dell'affettività, spesso accompagnata da senso di paura e di agitazione; oltre i 300 mg/dl, vi è la perdita di coscienza. Livelli superiori ai 400 mg/dl possono essere fatali. In soggetti non alcolisti l'intossicazione compare a livelli di alcolemia tra 50 e 150 mg/dl.
L'intossicazione acuta da alcol etilico raramente ha un esito infausto, per l'ingente quantità di alcol che deve essere ingerita per realizzare valori incompatibili con la vita. Ciò che è invece più frequente è l'avvelenamento contestuale ad altre sostanze ad azione neurotossica: sono i micidiali cocktail tra alcol e sostanze stupefacenti che spesso portano al superamento delle soglie letali.

L'alcolismo (cronico) è una malattia che riconosce fattori causali genetici, psicosociali e ambientali. Il consumo di grandi quantità di alcol etilico è in genere accompagnato, oltre che da una rilevante tossicità, anche dai pericoli di una dipendenza fisica e da crisi d'astinenza molto drammatiche. L'alcolista perde il controllo sull'assunzione di alcolici, che persegue nonostante le conseguenze negative; vi è costante preoccupazione per l'approvvigionamento di alcol e si verificano distorsioni del pensiero.
La maggioranza degli alcolisti è di sesso maschile, nella fascia di età tra i trenta e i cinquant'anni. Nell'Unione Europea l'abuso costituisce il terzo fattore di rischio per la salute, dopo tabacco e ipertensione. Particolare preoccupazione desta l'incidenza in ascesa tra gli adolescenti: le indagini dell'Istituto Superiore di Sanità registrano negli ultimi anni un forte incremento, soprattutto nelle ragazze. In Italia, l'età media d'inizio dell'uso di alcolici è di 12,2 anni (in Europa è 14,6) e il consumo è spesso concentrato in singole occasioni (il fenomeno del binge-drinking). La fotografia è inquietante, sia perché in questa fascia di età non è ancora perfetta capacità di metabolizzare l'alcol, sia perché un più precoce contatto con l'alcol si accompagna a un maggior rischio di abuso in età matura.

L'elenco delle malattie correlate ad uso alcolico smodato è lungo: in primis sono colpiti il fegato ed il sistema nervoso centrale e periferico, ma le ripercussioni negative sono molteplici. I numeri sono agghiaccianti, quasi un bollettino di guerra: il 10% di tutte le malattie e dei tumori, la maggior parte delle cirrosi epatiche, quasi la metà dei delitti contro la persona sono attribuibili, direttamente o indirettamente, all'eccesso alcolico. Circa quarantamila persone all'anno in Italia perdono la vita per complicanze legate all'alcol. E l'alcolismo non causa solo danni organici: sono infatti numerose le conseguenze di disadattamento psicologico e sociale che ne derivano, determinando un altissimo costo sociale annuo.

Altro argomento cruciale è la relazione tra alcol e guida, anche considerando la connotazione quasi terroristica spesso tracciata dai media. D'altra parte, è comprovato il ruolo di causa diretta o concausa che l'alcol gioca in una larga percentuale di incidenti stradali (in Italia quasi un caso su due).
Come accennato, l'alcol ha un'azione di rallentamento dei processi mentali: al volante ciò si porta ad una riduzione della concentrazione e all'incapacità di reagire a eventi inattesi per allungamento dei tempi di reazione. Si manifestano anche effetti negativi sulla visione, con alterata messa a fuoco, ridotta visione periferica e adattamento alla luce. In più, l'effetto disinibitorio dell'alcol far sottostimare il pericolo.
La legge italiana fissa a 50 mg/dl (lo 0.5‰, cioè mezzo grammo d'alcol in un litro di sangue) il tasso alcolemico massimo tollerato per i conducenti di autoveicoli. Come detto, esiste un equilibrio tra il livello di alcol nel sangue e quello nell'aria espirata: il soggetto sottoposto al test del palloncino si considera in stato di ebbrezza quando è accertato il superamento del limite legale sulla base di almeno due determinazioni consecutive. Se questa concentrazione è superata, il conducente deve attendere almeno tre ore prima di potersi nuovamente accomodare al posto di guida.
Purtroppo, il limite si raggiunge già con circa duecento millilitri di vino, corrispondenti a due – tre bicchieri ingeriti fino a mezz'ora prima della prova.
La probabilità relativa d'avere incidenti cresce al crescere dell'alcolemia. E l'incremento non è lineare, ma iperbolico: se a 0.5 g/l il rischio è virtualmente sovrapponibile a quello degli astemi, a 1 g/l è già triplicato e a 1.5 g/l è salito a dieci volte! Certamente va qui ricordato che esiste una notevole variabilità individuale, a parità d'alcol assunto.
Lo stato d'ebbrezza è poi da proscrivere, oltre che al volante, anche in circostanze professionali potenzialmente pericolose per il lavoratore o per la collettività.

Com'è va visto dunque il vino, e l'alcol più in generale?
Deve prevalere l'atteggiamento proibizionistico di considerare veleno una bevanda che può in effetti avere conseguenze deleterie sulla salute, se mal consumata? Oppure, si deve considerare il vino come uno dei tanti possibili presidi naturali, prezioso e di semplice reperibilità, di ausilio nella prevenzione?
Tutti i principali studi epidemiologici sugli effetti del vino sulla salute hanno riportato un andamento ad U nella curva di correlazione tra mortalità e quantità di vino assunto, con i tassi più sfavorevoli riscontrati negli astemi e nei forti bevitori. Quel che conferisce una certa protezione è il consumo quotidiano di quantità moderate di alcol.

Non demonizziamo dunque il vino, ma ricordiamoci che persino il migliore e più costoso non è immune da pericoli per la nostra salute.

Nisi casti, cauti.
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