Secondo appuntamento delle degustazioni DEGUST…chez Luca Castelletti
Questa sera si va in Borgogna, cuore pulsante verde dell’enologia transalpina.
Chi torna da un viaggio in questa terra magnifica non può non restare incantato dalle onde verdeggianti dei vigneti che, a perdita d’occhio, ti circondano in ogni direzione.
Vigneti che regaleranno perle enologiche – a volte costosissime! – a migliaia di fortunati degustatori in tutto il mondo.
Una delle maestà incontrastate della Bourgogne, accanto allo scorbutico e sciovinista Pinot Noir, è lo Chardonnay, un vitigno che invece fa della duttilità una delle sue peculiarità. Lo incontriamo infatti un po’ ovunque in giro per il mondo, dal Sud Africa alla California, dall’Australia al Cile.
Ma mentre nei cinque continenti quest’uva viene usata – ed abusata – in mille modi, di cui solo alcuni portano a risultati vinicoli degni di nota, qui in Borgogna invece l’uva raggiunge livelli di eccellenza e di finezza che non hanno pari.
E questa magnifica eleganza la ritroviamo nei calici questa sera.
Assieme ad una gamma variegata di emozioni indimenticabili.
Abbiamo assaggiato due denominazioni regionali, lo Chardonnay Bourgogne Blanc 1992 Cru Les Riaux e il Bourgogne Blanc 1989 Cru Les Champs Perriers.
Già a questo livello si capisce cosa rende maestri i francesi nella pratica dell’affinamento in legno.
Chi non ha bevuto in più di una circostanza uno Chardonnay-Spremuta di Legno figlio del “genio” di qualche sprovveduto enologo che ha voluto scolpire il vino a colpi di botte?
Ebbene: qui scordatevi tutto questo!
La barrique subentra docile e si prende lo spazio che merita, senza soffocare minimamente gli aromi del vino. Anzi.
Ecco allora percepire senza difficoltà quelle nuances di tostatura, di caramella mou, di caffè a braccetto con le note più tipicamente legate al varietale dell’uva e, ça va sans dire, a quelle ossidative caratteristiche di un’evoluzione marcata.
Nulla sovrasta nulla.
Come dicevamo in occasione delle degustazioni alsaziane della precedente serata, uno degli aspetti più interessanti nella conoscenza del vino è quello di non fossilizzarsi nell’esclusivo assaggio di Vini Belli e Potenti, ma di lasciare andare la fantasia e la curiosità alle sperimentazioni.
Oggi tocca ad un Bourgogne Aligoté 1991 Cru Clos de la Combe.
Aligoté fa venire in mente il Kir, la miscela di vino bianco e sciroppo di ribes inventata nel passato da uno dei sindaci di Digione. Oppure, ad altri ricorda una delle uve utilizzate nella produzione spumantistica del Crémant, il metodo classico di queste lande.
Il vino propostoci da Luca ci offre una rosa di sensazioni molto diverse dai cugini della serata.
Certo, il minor impatto olfattivo e la minor struttura, le note più vegetali e citrine associate ad una speziatura pungente, così come la minore avvolgenza e persistenza in bocca possono farlo passare in secondo piano.
Ma “minore” in un vino non deve essere confuso con “peggiore”. Ogni uva e ogni terroir danno un prodotto diverso. E guai a considerare degni solo i vini provenienti dalle AOC più blasonate.
Anche se…
…chiaro che se poi la degustazione prosegue con un Puligny-Montrachet Premier Cru 1988 Cru Les Folatières ed un Batard-Montrachet Grand Cru 1987...beh, difficile essere coerenti con quello appena affermato!
L’eleganza del Puligny, a mio avviso il vino “migliore” (nel senso delle emozioni suscitate), è inarrivabile! Al naso ed in bocca il vino non esibisce uno spigolo, tutto è piacevolezza.
La persistenza gustativa dura un’eternità, non ci lascia nemmeno riassaggiando gli altri vini o sbocconcellando uno dei piatti in accompagnamento (a proposito: lasagnetta vegetale, prosciutto di Parma, grana stagionato e formaggio molle impreziosito da composta di fichi).
Particolari le note di pietra focaia e di salmastro che percepiamo in varie riprese. E in sala c’è chi addirittura richiama un paragone con un certo signor d’Yquem…
Tutt’altro esce dal Batard. Qui i sensi vengono messi a dura prova alla mescita.
Veniamo infatti investiti da un effluvio non propriamente da…Grand Cru. Tutt’altro...
L’iniziale sgradevolezza è figlia degli aromi di “riduzione” che vini di questo invecchiamento possono recare con sé. Ma ciò non deve scoraggiare la degustazione. Pazienza, ci vuole pazienza!
Infatti, dopo adeguata aerazione, il Brutto Anatroccolo diventa Cigno!
Il corredo di profumi cambia magicamente e si assesta su note di grande evoluzione: spiccano gli aromi iodati, smaltati, quasi medicinali (non spaventatevi della terminologia! Dimenticate i salicilati e godetevi il nettare!!). Al gusto, colpisce la marcata prevalenza di sapidità e la nota acida ancora ben presente nonostante i ventitre anni.
Vino nel complesso difficile ma esaltante!
Altra serata maiuscola!!
Francesco Pattarino
Degustatore Ufficiale AIS
x5
Degustazione Bianchi di Bourgogne
Un viaggio nel cuore pulsante verde dell’enologia transalpina
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Liquidi piaceri