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Idromele

17 Settembre 2012
Nettare degli dèi o pozione magica di Asterix?
Chiudete i vostri occhi e con la mente tornate a tempi antichissimi, immaginate di stare in un luogo mitico chiamato Valhalla, dove valorosi guerrieri vichinghi passati gloriosamente a miglior vita sono intenti a guerreggiare e banchettare con cibo delizioso annaffiato da grandissime bevute di idromele versato copiosamente nei loro decoratissimi e immensi corni potori: ecco, è con questa scena che intendo farvi iniziare questo breve viaggio nella storia di questa intrigante e antichissima bevanda chiamata “idromele”.

L'idromele o idromiele, dal greco hỳdor (acqua) e méli (miele), è la più antica bevanda alcolica prodotta dall'uomo in Europa, e tra le più utilizzate nel mondo antico, prima che la diffusione della vite, nel bacino del Mediterraneo, introducesse l'uso del vino.
In epoca preistorica si diffuse ampiamente in tutte le pianure l'Europa settentrionale e orientale, anche nelle zone climatiche fredde.

Il miele sommato all'acqua sono gli elementi base dell'idromele.
L'ape, sacro animale e messaggero celeste che trasforma il sole in miele, e la sacralità dell'acqua quale linfa vitale che scorre nelle vene della madre terra, rendono l'idromele sacro presso i Celti, come essenza del divino nell'unione fra cielo e terra. Nella mitologia indoeuropea, l'idromele è la bevanda tipica dell'aldilà, nel mondo celtico come in quello germanico, ed è simbolo di immortalità.
Nell'Europa celtica (IX-I sec. a.C.) esso era bevuto dai Druidi e dalle tribù nelle quattro grandi cerimonie sacre che scandivano il ritmo delle stagioni (Imbolc, Beltane, Lugnasad, Samonios).
L'idromele era una bevanda così comune tra gli scandinavi e nella cultura celtica da essere annoverato in numerosi racconti e poemi mitologici, come ad esempio nella mitologia norrena, dove anche se non perfettamente credibile in quanto di tradizione orale, l'idromele è un elemento centrale. Nei molti testi sacri vi si narra dei nani che uccidono il saggio Kvasir e con il suo sangue vi fabbricano l'idromele, Odino che con un incantesimo se ne impadronisce e il dio Fjolnir che addirittura vi annega dentro: idromele nettare degli dei, dunque.

E da dove prende il nome la famosa “luna di miele” dei novelli sposini? Anch'essa dai Vichinghi e dal fatto che per loro era uso comune durante il mese lunare successivo al matrimonio, bere appunto idromele per far si che il futuro nascituro diventasse forte e sano ma soprattutto maschio!

Molti sono i ritrovamenti archeologici riferiti a questa bevanda, in molte tombe principesche dell'Europa del VI-IV secolo a.C. sono stati trovati recipienti con resti d'idromele quale riserva del defunto per il Sidhe, l'aldilà celtico, come ad esempio nella tomba del principe di Hochdorf, in Germania nel Baden-Wurttemberg (VI sec. a.C.), dove tra gli oggetti straordinari del corredo funerario sono venuti alla luce 17 corni potori, e un calderone in bronzo, della capienza di 500 litri, riempito al momento della deposizione nella tomba, per tre quarti d'idromele il quale ha lasciato un notevole deposito sul fondo che si è conservato fino ai giorni nostri. La scelta di riporre tale bevanda nelle ricchissime sepolture principesche hallstattiane non è un caso, dimostra quale fosse il valore simbolico di immortalità dell'idromele, la sua raffinatezza e preziosità.

L'idromele viene descritto dagli antichi come una bevanda spumeggiante, potremmo dire che era il loro superalcolico; non a caso non è mai stato “bevanda da pasto”, ma piuttosto la bevanda rituale con cui aspergere i sacrifici prima del fuoco purificatore o, grazie al suo alto grado alcolico, il tramite per ottenere l'ebbrezza alcolica per potersi avvicinare al divino fino ad incontrarlo durante i riti religiosi; ma era anche componente della panacea, la bevanda che curava tutti i mali sia del corpo che dello spirito.

Ma quando l'uomo iniziò a produrre l'idromele? e con che procedimento?
Per ricercare le origini di questa bevanda dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, dobbiamo tornare così tanto indietro che dobbiamo farlo con il supporto di semplici deduzioni e non appoggiandoci a documenti o ricerche archeologiche.

Che l'idromele sia una bevanda molto più antica del vino lo si può ipotizzare pensando al fatto che per fare il vino l'uomo primitivo ha dovuto innanzitutto da nomade fermarsi e divenire stanziale, imparare a coltivare la vite e solo dopo casualmente scoprire che dal succo di quel grappolo poteva ricavare una bevanda inebriante; per l'idromele invece non ha dovuto imparare ad allevare le api, ma era già raccoglitore di miele da sciami selvatici da tempo immemore e non ha dovuto costruirsi il recipiente di terracotta per la fermentazione, perché aveva già a disposizione il primitivo ma funzionale otre di cuoio, il contenitore per eccellenza delle popolazioni nomadi.

Molto semplice anche il processo produttivo, infatti tutti gli apicoltori sanno che per togliere i residui di miele dai favi strizzati il sistema più semplice è immergerli in acqua: il miele si scioglie istantaneamente. Una volta fatta questa operazione, la miscela di acqua e miele inizia a fermentare da subito, naturalmente, ad opera dei lieviti presenti nel miele stesso ed è già bevibile, a differenza del vino che invece sviluppa i suoi aromi solo dopo la fermentazione primaria. Di fatto l'idromele è simile alla birra, col suo profumo di lieviti ed il frizzante della fermentazione.

Ma cosa supporta questa ricostruzione? Le ipotesi di produzione?
Non potendo far altro che produrre deduzioni, tra gli elementi tangibili che possono avvalorare le nostre supposizioni, uno è sicuramente quello proveniente dal Corno d'Africa, dove l'idromele è la bevanda nazionale (in Etiopia si chiama “tejj” ed inEritrea “mies”). Infatti, da circa 10 milioni di alveari rustici, l'80% del miele prodotto viene utilizzato per fare idromele e viene ancora prodotto esattamente come 10.000 anni fa utilizzando un otre di cuoio e ponendovi all'interno i favi sbriciolati e l'acqua; dopo qualche settimana, una volta prodotta la bevanda i residui della fermentazione vengono filtrati per recuperare la cera vergine.
L'idromele dunque, dal Corno d'Africa sua probabile terra di origine, già in epoca antichissima seguendo le migrazioni dei popoli si sposta verso nord, nord-est, facendosi conoscere nel bacino del mediterraneo e poi proseguendo nei millenni verso il nord Europa, dando vita alla tradizione dell'idromele celtico, germanico e scandinavo.

Col Medioevo l'idromele scompare dalla nostra tradizione, ultimo sopravvissuto nella nostra cultura rimase l'ipocrasso che è una miscela di miele, vino e spezie varie. L'idromele non scompare invece nel nord Europa dove la produzione rimane molto più stabile e duratura portando la bevanda fino ai giorni nostri. Infatti, in un clima che non permetteva la coltivazione della vite, praticamente la sola bevanda veramente alcolica che si potesse produrre era l'idromele, oltre alla birra e al sidro che erano le bevande da pasto.

Al giorno d'oggi molti apicoltori francesi si divertono a vendere l'idromele come la bevanda di Asterix. Nel fumetto come ben sappiamo non si parla di idromele, ma esso viene paragonato dagli apicoltori odierni alla “pozione magica”. Effettivamente, riflettendoci si possono trovare analogie tra la pozione magica e l'idromele: entrambe vengono fatte bollire, in entrambe vengono messi a bollire sostanze aromatizzanti, erbe e spezie nell'idromele, e ironicamente un sacco di altre cose nella pozione magica, ma soprattutto sia la pozione magica sia l'idromele con il suo rilevante contenuto alcolico danno il coraggio di affrontare il nemico in battaglia. A tal proposito può essere curioso il fatto che durante la Prima Guerra mondiale i soldati erano obbligati a bere una gavetta di grappa prima di andare all'assalto... In mancanza di questo chi sarebbe andato a farsi infilzare dalle baionette?
Ritornato a noi grazie ai numerosi festival celtici e alla riscoperta della cultura anglosassone e scandinava, l'idromele con diversi nomi e con diverse modalità, ha ripreso a scandire i passaggi stagionali dei solstizi e degli equinozi, anche qui nel nostro paese ed ha seguito gli anglosassoni in America e Canada, dando origine al maggiore concorso di idromeli artigianali, il “Mazer Cup”, che si svolge negli Stati Uniti.

Esistono diverse tipologie di idromele: possiamo trovare idromeli tradizionali o speziati.
L'abitudine di speziare dell'idromele si diffuse molto nel medioevo, probabilmente dovuta al fatto che la fermentazione spontanea portava assieme all'alcool anche dei sentori non troppo gustosi, quando si aveva la sfortuna di incappare in lieviti selvaggi e batteri poco inclini alla produzione di esteri “nobili”.

Molti oggi sono i paesi che producono idromele, possiamo trovare questa bevanda chiamata con nomi diversi da zona a zona, o semplicemente per la differente speziatura che hanno.
Ad esempio in Bretagna è chiamato Chouchen o Mez, in Inghilterra e Irlanda ve ne sono diversi, quello tradizionale è chiamato Mead, nei paesi germanici e scandinavi è chiamato Med o Met.
Per produrre un buon idromele servono ingredienti di prima qualità.
L'acqua e la sua qualità sono un elemento molto importante, la sua durezza incide fortemente sul risultato finale: acque dure danno mieli più sapidi e meno secchi.
Il miele che è l’ingrediente principale della ricetta, può essere di tipo monoflora e dare delle caratteristiche molto spiccate al prodotto finito, oppure un “millefiori” se si vuole ottenere un idromele con un aroma non troppo definito.
La speziatura di norma serve per dare aromi non comuni all'idromele rendendolo più intrigante, ma serve molta attenzione riguardo alle dosi; infatti, l'eccesso di spezie rende l'idromele artificiale e fastidioso.
Ultimi, ma non meno importanti, sono il lievito e i suoi “nutrienti”.

Preparare l'idromele è abbastanza semplice e non necessita di sofisticati strumenti.
La fermentazione e l'affinamento è solitamente un processo molto lungo, può variare da 3-4 mesi a parecchi anni.
Per un idromele da 15° alcolici per volume, servono 2 kg di miele e 3 litri di acqua.
Se si vuole un idromele più secco e meno dolce si può aggiungere un litro d'acqua ottenendo così una gradazione più bassa e un prodotto meno dolce. Mediamente con una densità di 1.09 si otterrà un idromele secco, mentre con una densità superiore a 1.135 un idromele più alcolico e dolce.
Si inizia portando a bollore l'acqua in una pentola, si aggiunge il miele e lo si mescola per qualche minuto finché non si è disciolto del tutto nell'acqua; il breve contrasto termico ucciderà tutti i batteri e lieviti selvaggi e disattiverà gli enzimi contenuti nel miele.
In questa fase si inseriscono i “nutrienti” per i lieviti e le spezie qualora decidessimo di usarle, dopodiché si spegne il fuoco e si raffredda il mosto il più velocemente possibile, evitando accuratamente di farlo ossigenare.
Quando il mosto avrà raggiunto i 25/30°C possiamo ossigenarlo agitandolo energicamente e versarlo successivamente nel fermentatore continuando a scuoterlo per qualche minuto, a questo punto si aggiunge il lievito.
Dopo 24 ore si noterà la formazione di una schiuma che diventerà più consistente nei giorni seguenti. Il mosto all'inizio sarà torbido e molto denso, ma dopo qualche mese si sarà schiarito notevolmente e nel fondo si sarà formato uno strato di deposito dovuto al lievito “stanco”. Solitamente è di colore oro chiaro o anche bruno, a seconda del miele di provenienza, ma quasi sempre trasparente e pulito e la sua concentrazione alcolica varia dai 7° ai 22° vol.
Quando l'idromele sarà arrivato alla densità finale dobbiamo travasarlo in un recipiente pulito separandolo da lievito e spezie, ed imbottigliarlo dopo almeno 3 mesi o affinarlo a piacimento.
L'affinamento è il passaggio finale prima dell'imbottigliamento per ottenere il massimo risultato dal nostro idromele. Nell'antichità subiva la stessa lavorazione dei prodotti alcolici e quindi affinava in botti anche per parecchi anni. In alternativa alla botte è consigliabile l'uso di damigiane in vetro o anche di plastica alimentare che possono contenere il prodotto con un ingombro molto ridotto, ponendolo in un ambiente buio; raggiunta l'affinazione desiderata potrà essere imbottigliato e degustato fresco (8°-10°C), abbinandolo magari con ottimi formaggi erborinati o a pasta dura stagionati.

Nettare degli dei o pozione magica che sia, l'idromele è e rimane una bevanda che da sempre accompagna l'uomo nel suo cammino terreno.
Alzate i corni potori e buon brindisi a tutti!

Bibliografia:

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primi sui motori con e-max.it
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