«Mi piace raccontare la storia di una bambina che si incantava a guardare la pietra bianca ed infuocata posta al centro dell’incavo del forno a legna di sua nonna. Era un forno antico, tondo, di mattoni d’argilla e pietre, arroventato da braci d’ulivo, che di lì a poco avrebbe accolto le forme impastate di acqua, sale lievito e farina, restituendole, poco dopo, cotte e profumate.»
Così inizia “La casa del pane”, un racconto autobiografico breve di Tina Maceri, avvocato e insegnante, che vive tra Varese e Bagnara Calabra, dove è ambientata la vicenda. Tina, nonostante la dimensione sospesa dell’incipit che rimanda a tempi passati, è una giovane madre di tre figli, non ancora quarantenne, occhi scuri e capelli fittissimi di ricci “da donna del Sud”, come ama orgogliosamente definirsi.
Il racconto, che assume sin dalla cadenza iniziale le note di una favola, prende il via da un’iniziazione: quella di Tinuzzeja, l’io-narrante, ammessa a quell’evento catalizzante che è “fare il pane”. La bambina ha cinque anni, le mani piccine e paffute e una grande emozione nel cuore, perché le è stato concesso di affiancarsi alla madre ed alla nonna nella “strana lotta della vasca degli impasti” nella casa del pane, faccenda declinata esclusivamente al femminile e che si rinnova dai tempi che furono ogni tre settimane. Quella del pane a Ceramida, borgo antico che sovrasta il paese di Bagnara, è un’avventura corale a cui partecipano le donne di tutta la famiglia; e a Tinuzzeja, la piccola di casa, è affidato innanzitutto l’importante compito di recuperare il “lavato”, la preziosissima madre che farà pulsare di vita propria il pane. Così il piccolo viaggio sino a cummari Cata, la vecchina del paese custode del lievito, diventa un’occasione per l’autrice per ripercorrere i ricordi assieme alla bambina che era e che oggi è diventata donna, che torna a Ceramida solo d’estate, e che in quel borgo antico ha lasciato il cuore.
Attraverso la corsa di Tinuzzeja fino alla casa del “lavato”, scopriamo un paese di fiaba fatto di casette di pietra e mattoni d’argilla rossa, di scale di pietra e di piazze antiche, un borgo che prende il nome dai “ceramiri” di cui sono rivestiti i tetti. Un luogo pennellato dalla nostalgia, la vera voce narrante, che percorre l’attesa dell’evento caricandosi di colori, di voci – la nonna le si rivolge sempre nella lingua arcaica di Bagnara -, di odori, come quello forte e caldo dello stufato di peperoni e patate, di rumori, come il canto notturno delle cicale e dei grilli nella notte che precede l’accesso di Tinuzzeja nella casa del pane.
Sono ricordi pieni di malinconia, quelli di Tina, quelli di un luogo che fu fisico e che oggi rimane solo nel cuore. All’ora stabilita del gran giorno cristallizzato nella memoria, tutte le donne della famiglia sfilano verso una casa vecchia e disabitata, che era stata degli antenati: il luogo dove da sempre si compie il rito del pane.
Lì, fra le immagini degli avi e le suppellettili antiche, la nonna dal viso bello e corrucciato - “il regista di ogni gesto” – scioglie in una bacinella in poca acqua il “lavato”, e, rispondendo alle domande della piccola, la invita finalmente ad impastare assieme a lei ed alle altre, coniugando nell’antica arte del pane ben tre generazioni di mani infarinate.
Un libro bello e struggente, scritto con la maestria dialettica di chi si è formata sui classici e tuttavia maturato in due soli giorni. Da questo testo, pubblicato grazie al contributo dell’Assessorato alla Cultura di Bagnara Calabra (e in cerca comunque di un editore), è stato ricavato nel 2012, ad opera del regista Walter Stranieri, un cortometraggio che vede protagonista Linda, la figlia di Tina, ad impersonare la piccola Tinuzzeja; il video si conclude con la stessa autrice che recita alcuni passi del libro. Il lavoro, molto suggestivo, è disponibile a questo indirizzo:
http://www.youtube.com/watch?v=QMN7NAsyLZs
Per informazioni sull’antico abitato di Ceramida e sulle sua tradizioni:
Associazione culturale Alba di Ceramida
http://albadiceramida.altervista.org/
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