Le Fooding è un’organizzazione francese, il cui nome nasce dalla crasi delle parole food e feeling, si potrebbe interpretare come “sensazione del cibo”. Il suo creatore, nel 2000, è Alexandre Cammas, giornalista e critico gastronomico, che nasce in una famiglia di ristoratori di provincia. Il suo scopo è rendere contemporaneo e disponibile a tutti quello che l’Haute Cuisine, intesa come rigida, rigorosa e limitata, preclusa alla cosiddetta “gente normale”.
Cammas vuole creare un approccio innovativo e creativo alla gastronomia tradizionale, che esalti il gusto e non solo. Così nascono gli eventi Le Grand Fooding, per mangiare tutti insieme, in tanti, delocalizzati, in aree ex-industriali o parcheggi, senza andare al ristorante, con cuochi speciali, artisti, tatuatori come in questo caso, musicisti e dj. Musica rock e chef rock, giovani, entusiasti, questi sono gli eventi Le Fooding. Il fenomeno si diffonde velocemente, come un tam tam fra giovani e meno giovani, prima in Francia poi in tutta Europa. Il trend di Le Fooding diventa talmente diffuso che arriva anche a Milano, tre anni or sono: la prima volta con un Le Grand Fooding dedicato all’olio extravergine, la seconda dedicata agli spaghetti e quest’anno dedicata a cuochi giovani, “arrabbiati” e magari anche tatuati, il fil rouge dell’evento.
Il 4 luglio, giorno dell’inaugurazione, alla Segheria in via Meda a Milano erano presenti tutti i giovani chef che si “dilettano” di street-food: James Lowe & Isaac McHale dal ristorante Young Turks di Londra, Eugenio Roncoroni & Beniamino Nespor dal ristorante Al Mercato di Milano, Jon Shook& Vinni Dotolo dall’Animal di Los Angeles, Jérôme Bigot dal Les Gres di Landry, Wade Brown & Andreas Dahlberg dal Bastard di Malmø e Matteo Torretta dal Visconti Street Food di Milano. Ciascuno con una specialità, molto originale e caratteristica. La prima serata, fra grandi aspettative, vede code per l’ingresso e un temporale che rinfresca l’aria da Caronte e dura abbastanza da bagnare i convenuti e far pentire le solite patite del sandalo tacco 12, anche perché il fondo del cortile è abbondantemente ricoperto da ghiaia irregolare. Acqua San Pellegrino e Acqua Panna a gogò e un calice di Veuve Clicquot hanno rinfrescato le ugole.
Ovunque immagini e decorazioni di tatuaggi, veri e posticci, proiettati sui muri ed attaccati come poster e gente, tanta gente, giornalisti, blogger, tutta la Milano del food che conta insomma e tantissimi habitué di eventi e della discoteca Plastic, che gestisce la parte musicale di Le Grand Fooding, con la sorpresa di due membri dei Red Hot Chili Peppers che si divertono a fare i dj. Per Veuve Clicquot un muscoloso atleta con tatuaggi multicolori si presta a farsi sfidare a braccio di ferro: in palio una bottiglia di champagne. Naturalmente solo dolci fanciulle, inclusa la foodblogger Chiara Maci, provano la sfida e mi pare con poco successo!
Gli assaggi proposti, tutti molto rock, spaziano dal Lecca-lecca di polpo e pancia di maiale (il più gradito in assoluto, secondo i pareri dei molti consultati) preparato dagli chef de Al Mercato, allo Street corn di LA, al Wrap di cuore d’agnello, yoghurt di pecora e acciughe dei londinesi Young Turks, che proponevano anche un Pollo castellato con sale agli aghi di pono o il Sandwich di pastrami di lingua di manzo, uova di trota e salsa di dragoncello del francese Bigot. Per poi finire con il Manzo crudo su pane grigliato con midollo sottaceto, germogli di aglio orsino, crescione e rafano degli svedesi del Bastard e il deludente Kebab di anatra con ketchup di carote e maionese tartufata. Poi i gelati di Bedussi, e il dolce di Galdina Della Seta, preparato in mezze arance, con gelatina, frutti di bosco e una crema a base di Aranciata San Pellegrino, la festeggiata, che compiva 80 anni.
Molto quinto quarto, come si può notare e poco gradito a qualcuno. In questo evento così “arrabbiato”, però, non contano gli ingredienti, conta il risultato finale, il gusto di ogni singolo piatto e proprio i più “strani” sono risultati essere i migliori!
Appuntamento al prossimo anno……chissà cosa ci riserverà Le Fooding?
C’era una volta un mondo della ristorazione fatto di gamberi rossi di Mazara, capesante dell’Atlantico e ostriche Belon della Bretagna. Poi arrivò il km zero, con l’insalata dell’orto del ristorante, le uova delle galline del ristorante e il maracuja del balcone del proprietario del ristorante. All’alba dell’unico giorno di pioggia concesso da Caronte, erede di Scipione (potere mediatico degli anticicloni), arriva a Milano l’era punk… del cibo. Il punk è quello delle origini, quello dei Ramones, dei Sex Pistols, quando il rock stava stretto a chitarristi e batteristi e le parole straripavano di rabbia, forse prima di tutto nei confronti di se stessi e come riflesso nei confronti del sistema e dei propri predecessori.
Le Grand Fooding Milano si presenta alla Segheria di Via Meda con il tag “Pelle all’arrabbiata”, portando alla ribalta la dignità dello streetfood come forma espressiva suprema che distilla capacità di alta cucina in un “packaging” del piatto adatto all’assenza di posate, con un innato low profile della materia prima.
Il successore della battuta di Fassona razza piemontese è un ben più rock “manzo crudo su pane grigliato con midollo sott’aceto, germogli d’aglio orsino, crescione e rafano”, direttamente da Malmo in Svezia (per chi pensava fosse solo il nome di un mobile Ikea) dalle mani di Wade Brown e Andreas Dahlberg.
Torna il porco, senza “Cinta” e senza “Nebrodi” – la cui testa campeggia sull’Ape Cross che simboleggia il movimento dei cuochi di strada- a dare colpi di cassa e rullante al lecca lecca con polipo e pancia di maiale dei milanesi di “Al Mercato” Eugenio Roncoroni e Beniamino Nespor. Dagli USA direttamente per il 4 luglio, scatta la pannocchia sullo stecco, e non chiedete cosa sono le “guarnizioni” che la rendono così goduriosa, perchè gli ingredienti contano fino ad un certo punto: qui ti mangi la visione del cuoco per il cibo, il suo credo, il suo sound. E Jon Shook e Vinny Dotolo suonano all’americana, un Lust For Life scanzonato e sorridente in pieno stile Iggy Pop con i The Stooges.
L’agnello qui non è la costina di Pasqua del contadino dietro casa: è il cuore. Non paghi del “pulp” della materia prima, i due londinesi James Lowe e Isaac McHale lo hanno girato in una pita insieme a yogurt di pecora e acciughe: un delirio di sensi, una delle “cose” più buone mai mangiate nella vita, un Anarchy in the UK a far scoppiare le casse. Poi dalla Borgogna arriva Jerome Bigot con una versione soft del punk con il “pastrami di lingua di manzo, uova di trota e salsa di dragoncello” in un panino al latte che fa molto “Boys don’t cry” dei Cure. L’altro italiano, Matteo Torretta, con un “kebab d’anatra, ketchup do carote e maionese tartufata” in un panino di sesamo quasi delicato, dimentica il basso a casa, smorza i toni punk e si fa quasi neomelodico.
Ma è già ora dell’ultimo calice di champagne con La Grande Dame di Veuve Cliquot. Perchè sarà deformazione personale, ma le bolle di Francia sono decisamente molto rock. E allo champagne la mia dedica personale: “Baby I love you”, featuring Ramones. Gran bel concerto.
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