Archivio Storico 2011-2017

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Il risotto col persico (risott cun-t-el pès persigh)

10 Marzo 2011
Un classico della cucina lacustre lombarda
Vi avevo lasciato, un paio di settimane fa, con una presentazione generale sui miei risotti, promettendovi che l’avrei ripresa non appena ce ne fosse stata l’occasione, e adesso mi ritrovo a parlarvi di un piatto che noi bosini contendiamo allegramente con altre riviere lombarde: la Costa Fiorita, ossia la parte varesotta del Verbano, e poi naturalmente il Lario tutto ma anche la zona del Pusiano. Questo piatto, di origine povera ma impreziosito nella cucine nobili, è il famoso risotto col pesce persico. Pescato da sempre nei laghi prealpini, ed originario a quanto pare del delta del Nilo, il perca fluvialis era considerato una delle prede più pregiate non solo dai faraoni ma anche dai signori nostrani come i Borromeo, che ne avevano fatto un vanto della propria, rinomata, cucina; e, in pieno Rinascimento, nientemeno che da papa Pio V (1566-1572), il cui cuoco personale, Bartolomeo Scappi, varesotto (per la precisione originario di Dumenza), autore dell'"Opera dell'arte del cucinare", ne era un virtuoso.

Ma perché dovrei parlarvi di un piatto di magro... in un periodo di grasso? Cominciamo col dire che, per i canoni odierni, non si tratta di una portata propriamente leggera, e non solo per il fatto che è da considerarsi piatto unico. Non crediate poi che mi sia frullata l'idea in testa solo perché siamo reduci dal Festival di Sanremo, dove ha fatto tanto parlar di sé il mitico Davide Van De Sfroos, il menestrello laghée che sui pesci di lago ha scritto pure un libro (“Le parole sognate dai pesci”). No, non è solo questo il motivo, ovviamente. Seguitemi: vi spiego in poche (si fa per dire) parole cos'altro aggancia il gustoso pesce d'acqua dolce alle pagine di attualità.

Il fatto è che proprio questo sabato, in un convegno nella sede varesina dell’Università dell’Insubria, è stato presentato un progetto regionale sulla pesca ed acquacoltura nelle acque del lago di Varese, e il discorso si è focalizzato in particolare sui risultati di una ricerca finanziata dalla Regione Lombardia sul persico reale, una specie autoctona del lago che un tempo popolava fittamente le acque nostrane (da non confondersi con altri tipi di persico e in particolare col più grosso e meno pregiato persico africano). Simbolo della tradizione culinaria lacustre, purtroppo oggi, in un periodo in cui il bacino è colpito da una grave sindrome di eutrofizzazione, è a serio rischio di estinzione. Afflitto infatti da un lungo processo di inquinamento che solo di recente è stato seriamente affrontato con seri interventi di bonifica, il lago di Varese – che ha un ricambio d’acque lentissimo - non gode purtroppo di ottima salute e tra i principali laghi prealpini è sicuramente il più sofferente.

Di questa drammatica situazione si rendono conto, primi fra tutti, i pescatori professionisti, che denunciano l’ormai imminente scomparsa o comunque la rarefazione drammatica di diversi pesci pregiati, dall’alborella alla tinca, al lavarello sino a giungere al prelibato persico. Rimasto in pochi esemplari, il persico reale è preda ambita del siluro, particolarmente resistente a queste condizioni critiche e che si riproduce a ritmi vertiginosi, così come purtroppo è annunciata la moria imminente di altre specie, se non si prenderanno provvedimenti drastici in molteplici direzioni; c'è poi il discorso della recente, enorme proliferazione dei gamberi della Louisiana (fortunatamente di notevole interesse gastronomico), che sta creando ulteriore scompiglio nel già provato ecosistema lacustre. Ad esempio, determinanti sono gli incubatoi ittici del persico, veri e propri vivai artificiali progettati allo scopo di ripopolare il lago: un sistema che ha origini molto antiche, e che alle nostre latitudini risale al periodo altomedievale, dove straordinari creatori di vivai furono i monasteri, la cui enorme necessità di pescato rispondeva ai dettami del regime dell'astinenza dalle carni. Il Capitulare De Villis di Carlo Magno dedica del resto grande attenzione alle peschiere artificiali.

Per tornare all'argomento principale, non era certo questo scenario apocalittico che avrei voluto proporvi come preambolo della mia personale ricetta di risotto col persico, ma tant'è, e per dovere di cronaca mi tocca raccontarvelo. Oggi i ristoranti tipici – quei pochi che ancora ci sono – faticano a trovare in loco la materia prima per coltivare la tradizione, e diversi ammettono con franchezza di ricorrere a pesce non autoctono; per non parlare di noi sciure di casa che ci vediamo costrette ad adoperare, per far bella figura con l'ospite, il persico estone, surgelato, o decongelato all’occorrenza, in vendita nei banchi dei supermercati e comunque pesantino per i portafogli. Un prodotto di buona qualità, sicuramente, ma che non può certo competere per sapore, delicatezza e sentimento con quello nostrano. E' quindi con un po’ di dispiacere misto a senso pratico che vi do questa ricetta tradizionale, sperando di poterla rileggere in breve in termini più entusiastici. Per le aggiunte personali, dettate dalla già ricordata mancanza di materia prima più degna e saporita, non me ne vogliate: a volte la cucina di casa si trova a fare i conti con la ricerca di ingredienti impossibili e – del resto è sempre stato così, perché la tradizione è qualcosa di dinamico, per sua stessa definizione – la necessità aguzza l’ingegno e crea nuove prospettive anche ai fornelli.

Prendete allora un bel mezzo chilo di riso Originario, che, come vi ho già spiegato, in casa è sicuramente il più economico ma è anche il migliore. Tenete conto che, trattandosi di un piatto unico come tanti della cucina nostrana, bisogna abbondare nelle dosi, ragion per cui se in famiglia siete in quattro andrà benone, ma se siete forti mangiatori vi consiglierei di aggiungere ancora un etto buono di riso. Fatta imbiondire la cipolla in un filo d’olio delicato e in una noce di burro, quindi tostate per qualche minuto il riso rimestandolo spesso e sfumatelo con un bicchiere di vino bianco possibilmente secco (anche di birra chiara, se ce l’avete). Portate quindi a cottura il risotto con un paio di litri di brodo di verdura o di pollo leggero. Non scandalizzatevi: il fumetto, ossia il brodo di pesce, si fa con le teste e le lische del pesce, ma è prerogativa dei risotti di mare. Se avete la fortuna di trovarvi tra le mani del persico nostrano, potete comunque provarci e vi verrà sicuramente un piatto raffinatissimo; se, come invece credo, come me ricorrerete al surgelato, che è venduto già pulito e in filetti, non vi resterà che scegliere fra il classico risotto alla parmigiana o il ris in cagnun, un riso in bianco che va condito con burro e aglio alla nocciola e con parecchio grana.

Nel frattempo dovete cuocere i filetti di persico. Io ne conto sempre almeno quattro-cinque a testa, perché sono piccolini. Ci sono due modi per farlo. La ricetta della tradizione impone di infarinarli e friggerli nel burro e cipolla, oppure, per servirli proprio alla Borromea, di infarinarli, quindi impanarli nel rosso d'uovo sbattuto col latte, impanarli e friggerli sempre nel burro sfrigolante. Le spezie da usare saranno diverse, a seconda che vogliate un gusto più casalingo - e allora ci vorrà la salvia - o più nobile e rinascimentale - e quindi serviranno cannella e chiodi di garofano.

Vi giro anche un terzo suggerimento. Potete arrostirli delicatamente (attenzione: sono così teneri che tendono a disfarsi), senza infarinarli, in olio, burro e una spruzzata di limone. Salateli leggermente e, udite udite, profumateli con del curry di media potenza (ribadisco, leggermente). Man mano che li saltate in padella –bastano pochi minuti – disponeteli su un piatto da portata e teneteli in caldo. Quando servirete il risotto, completato da una bella mantecata di grana e burro, versatelo in un ampio piatto da portata dai bordi rialzati, irrorate la superficie di limone e disponete i filetti di persico col loro sugo sopra il letto del risotto. Vi assicuro che si leccheranno tutti i baffoni.

P.S. Da sempre ci si scortica sul discorso del formaggio e dell’olio, nel senso che c’è chi fa il purista e non li vorrebbe, mentre invece le nuove leve li ammettono volentieri. Per quanto riguarda l’olio, naturalmente l’optimum sarebbe il nostro di Sant’Imerio, ma è praticamente introvabile fuori da Varese; perciò andate tranquillamente su un olio di casa il più leggero possibile: quello che mettete nelle pappe dei bambini, quello che usate per condire, o, se siete fortunati, intenditori e disposti a spendere un pochino di più per una qualità decisamente fuori dall’ordinario, un gardesano o un ligure.



Per approfondimenti:
1) Gli incubatoi del persico reale nel lago di Varese
http://www.tinella.net/Tinella.net/+_Persico_files/Ventimila%20persici%20%22ripopolano %22%20il%20lago%20di%20Varese.rtf.pdf
2) Davide Van De Sfroos, "Le parole sognate dai pesci"
(mia recensione): http://liblog.blogdo.net/narrativa/le-parole-sognate-dai-pesci-van-de-sfroos/
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