Verona in primavera è bellissima: ovunque offre scorci romantici e delizia i turisti di tutto il mondo col suo fascino.
Chi poi, oltre che aggirarsi rapito per le strade tra l’Arena e Piazza delle Erbe, si spinge alla fiera del Vinitaly, troverà ulteriori piacevolezze.
Civiltà del Bere, il noto periodico d’informazione enologica, da sempre impegnato in primo piano nella kermesse veronese, quest’anno apre con una degustazione di livello eccelso: cogliendo come occasione il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, celebra le dodici aziende che hanno posto una pietra miliare nella storia vitivinicola italiana. Nel loro percorso sono incise pagine epiche del vino italiano: storie e persone diversissime per estrazione, interessi, abitudini e retroterra, si trovano accomunate dalla passione sviscerata per la cultura del vino.
Chi scrive ha la fortuna di essere stato presente all’evento.
In tema di celebrazioni, l’azienda Santa Margherita di Portogruaro festeggia i cinquant’anni di un’idea innovativa: è dal 1961, infatti, che vinifica in bianco il Pinot Grigio. Ed è stato subito successo, soprattutto internazionale.
Le caratteristiche del vitigno sono pronunciate e beneficiano della grande vocazione per i vitigni bianchi dei territori altoatesini, da dove provengono le uve utilizzate.
Il vino ha un piglio decisamente rivolto alla fragranza delle sensazioni: esibisce grande freschezza e sapidità al gusto, con sentori di frutta ed agrumi al naso. Si propone come vino adatto ad ogni palato e di facile abbinamento.
La famiglia Zonin di Gambellara estende le proprie coltivazioni viticole su diversi territori italiani, per portare vino di qualità alla maggior parte dei consumatori.
Il Sauvignon Blanc in purezza proposto in degustazione, ottenuto da uve coltivate ad Aquileia, evidenzia un netto sentore varietale su un fondo di menta fresca e salvia. All’assaggio mostra un bell’attacco, anche se la chiusura è forse un po’ corta.
Riccardo Cotarella, enologo italiano richiesto ovunque nel mondo, sfida i luoghi comuni dei terroir famosi e impianta a Montefiascone un’estensione dell’azienda Falesco, per esprimere la sua ideazione pionieristica. Il desiderio è forte: figurare come protagonista e non come comparsa in un territorio relativamente poco vocato.
Il lavoro di fantasia prevede l’impiego in purezza del Merlot, coltivato e selezionato con rigore. La fermentazione malolattica ed il passaggio in barrique realizzano un vino dai sentori vanigliati aggraziati e abbastanza morbido all’assaggio.
Negli anni sessanta, Giorgio Lungarotti inizia la valorizzazione del territorio umbro a Torgiano. Il figlio di questa terra è il Rubesco Riserva, vino di grande potenziale evolutivo che, all’assaggio, propone già sensazioni smaltate ed una buona persistenza gustativa.
L’azienda Frescobaldi è una delle più antiche del paese e da generazioni fa sognare gli appassionati con vini d’alta qualità.
Troviamo la storia, il territorio e la passione nei calici del Mormoreto, un esperimento di taglio bordolese in terra toscana.
Il vino è pulito, netto, sia al naso che in bocca. Elegante e bilanciato, esprime molte note terziarie di evoluzione e richiama, a gran voce, lo spirito e la gastronomia toscani.
Fratello gemello è il Tignanello, un vino mitologico (e carissimo!) ideato dai marchesi Antinori, anch’essi decani dell’enologia toscana.
La prevalenza di Sangiovese, evidente nel tratto varietale del vino, è impreziosita dai Cabernet a realizzare sentori tostati ed eterei al naso, con fitta trama di morbidi tannini al gusto ben equilibrati dalla componente alcolica e polialcolica.
Di mito in mito: ecco il Sassicaia, a completare la triade dei SuperTuscans.
L’incarnazione del Cabernet Sauvignon (e Franc) nella terra fertile di Bolgheri regala ai fortunati degustatori una gamma intensa di profumi balsamici e speziati; in bocca è deciso e molto persistente.
Ci allontaniamo dalle terre toscane, ma non dalla qualità enologica.
In Irpinia, i Mastroberardino sono presenti da quasi tre secoli. Il Taurasi esalta l’Aglianico, vitigno longevo come pochi altri. Pur se ancora neonato, mostra già tutta la sua potenza gusto-olfattiva, regalando una lunga persistenza.
Il viaggio ci porta a ritroso verso nord, sulle colline langarole dove Cesare Pio, ai tempi dell’Unità d’Italia, aveva già intuito il potenziale dell’uva Nebbiolo e di un territorio unico al mondo.
Il Barolo del 2006 proposto è ancora troppo giovane per essere ben valutabile. I tannini sono esuberanti e slegati dal contesto. Va atteso a lungo.
Montalcino, nel senese, appartiene ai santuari venerabili dell’enologia. E la famiglia Banfi fa parte dei sacerdoti di questo culto.
Il Brunello 2004, figlio del Sangiovese puro, è una miscela di potenza ed eleganza, seppur ancora non sviluppata a pieno.
L’Amarone è vino che non lascia mai indifferenti. L’Azienda Masi della Valpolicella ha grande tradizione ed entusiasmo. Il vino proposto è opulento, quasi masticabile. Ha un naso complesso, confermato dalla bella struttura e dalla rotondità all’assaggio.
La chiusura è di grande impatto. Veniamo rapiti dal “figlio del vento” di Pantelleria: il Passito di Donnafugata inonda la sala con i suoi intensi profumi di sole e di mare. C’è tutta la frutta surmatura possibile, condita dalla gioiosa esuberanza di José Rallo.
La meravigliosa cavalcata veronese è terminata.
Standing ovation !
Vini degustati:
Pinot grigio Alto Adige DOC 2010 Impronta del Fondatore (Santa Margherita)
Sauvignon Friuli Aquileia DOC 2009 Aquilis (Zonin)
Lazio IGT 2007 Montiano (Falesco)
Torgiano Rosso Riserva DOCG 2005 Rubesco “Vigna Monticchio”(Lungarotti)
Toscana IGT 2007 Mormoreto (Frescobaldi)
Toscana IGT 2007 Tignanello (Antinori)
Bolgheri Sassicaia DOC 2005 (Tenuta San Guido)
Taurasi DOCG 2006 Radici (Mastroberardino)
Barolo DOCG 2006 (Pio Cesare)
Brunello di Montalcino Riserva DOCG 2004 Poggio all’Oro (Castello Banfi)
Amarone Riserva DOC 2005 Costasera (Masi)
Passito di Pantelleria DOC 2008 Ben Ryé (Donnafugata)
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