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Il Risott e luganega fra Giöbia e Carnevale

08 Marzo 2014
il suggestivo ricordo di due scrittrici
Quando in tutto il resto dell’Italia si è già pronti per la prima domenica di Quaresima, nella diocesi ambrosiana il Carnevale è nel suo momento clou.
E così nella verde Insubria, terra di fate, folletti e fonti sacre, di antiche glorie politiche come il ducato milanese che la dominò per esteso, è tutto un friggere tortelli, chiacchiere, spadellar frittate rognose, quelle belle unte di burro e sapide di mortadella e salame; e mantecare risotti, e allestire travestimenti, e prepararsi per le sfilate dei carri, e colorare mascherine.

Non c’è dubbio che l’icona del Carnevale ambrosiano siano le chiacchiere, universalmente note, ma il contraltare salato è altrettanto onnipresente in questi giorni da Milano a Busto, da Monza a Varese, da Como a Novara, ed è il risott con la lüganega, declinato diversamente a seconda delle zone e delle tradizioni di famiglia.

Piatto “nazionale” insubre, che la città di Gallarate celebra grazie alla favella del poeta locale Pietro Tenconi (Re Risotto), è la classica pietanza della memoria.

L’“insalatologa” Jeanne Perego, scrittrice per ragazzi, che recentemente è diventata vegetariana, ricorda come il risotto con la lüganega fosse un classico di sua madre, milanese di origini ma comasca di adozione.
L’autrice de “Il nostro amico Jorge” (pubblicato dalle Edizioni Paoline) è particolarmente legata a quello che definisce “uno dei piatti da cui non si scappava, ogni inverno”.
«Prima o poi – racconta Jeanne - arrivava il momento del risotto con la lüganega, così come arrivava quello per la cassoela, quello per polenta ùncia e quello per il riso in cagnone. Era una sorta di rito, per mia madre, che partiva dall'essere tornata a casa con la lügànega che il macellaio da cui si serviva le aveva tenuto da parte perché "speciale".
Puntualmente il risotto era accompagnato dalla discussione linguistica tra lei e mio padre sul fatto se il nome corretto fosse lügànega, o lüganiga. Credo che poi, inevitabilmente, arrivassero alla conclusione che uno era il termine brianzolo e l'altro quello milanese».

Elena Percivaldi, saggista e medievista, ci regala un’altra intensa pagina della memoria.
«Il risotto con la lüganega era una delle specialità di mia nonna, che la faceva con salsiccia rigidamente comprata dal macellaio di fiducia, a Baggio. Non c'erano i supermercati, la carne era poca e il sapore tutto diverso da quello di oggi.
In più lei aveva il tocco magico, quasi da druidessa della cucina, e sapeva rendere ogni piatto davvero speciale».

L’autrice de “La vita segreta del Medioevo” (Netwon Compton) ci ragguaglia anche dal punto di vista storico.
«La carne di maiale era diffusa sulle tavole dei Celti come alimento di base dell'alimentazione. Il corrispettivo sacro era il suo simile dei boschi, il cinghiale, che era totemico e aveva molteplici e profondi significati.
Quello del risotto con la lüganega è un mondo fatto di simboli antichi e radicatissimi, che sopravvivono tuttora anche se per lo più a livello inconsapevole. In Brianza, dove vivo ora, il piatto era tipico della festa della Gibiana, che si celebra l'ultimo giovedì di gennaio.
In quella ricorrenza - il nome sembra derivare da "gioebia", giovedì, il giorno delle streghe -, al tramonto, le famiglie contadine si radunavano davanti al falò per bruciare un fantoccio di paglia e stracci chiamato, a seconda delle zone, Gibiana o Giubiana.
Dopo il rogo, si cenava con risotto giallo e salsiccia. Scelta non casuale: il riso, con tutti quei chicchi, si credeva portasse ricchezza, la lüganega di maiale era invece simbolo di opulenza. Nessuno saprà mai se un piatto simile lo mangiassero anche i Celti, dal cui universo religioso la festa deriva.
Certo, il riso ai loro tempi non c'era: la coltivazione fu introdotta solo nel Quattrocento (la prima apparizione storicamente confermata della sua coltivazione risale al 1475). Probabilmente usavano, con lo stesso significato, orzo, miglio, lenticchie o altri cereali o legumi in un piatto che ricordava la paniscia novarese».

Il risotto con la lüganega dovrebbe essere cucinato dalla donna più anziana di casa, la più abile ai fornelli: infatti la leggenda narra che se ne dovrebbe riservare sempre un piatto alla Giöbia.
La strega delle nebbie è un giudice gastronomico inflessibile, e se il risotto è scotto, o troppo salato, o non gliene è avanzato nemmeno un chicco, potrebbero partire i suoi feroci dispetti.

Quest’anno, poi, il sabato grasso coincide con la festa delle donne, in una serie di rimandi molto suggestivi per la città di Varese: per i bosini l’ultimo giovedì di Gennaio era “rapuscena di donn”, il dopocena delle donne (da post coenam), nel quale era ammesso a gustare il famoso risotto solo il gineceo, che poi si riuniva in cascina a raccontare storie ai bambini; e i mariti, i fratelli e i fidanzati fuori di casa fino all’indomani.

La ricetta nel blog “Una mamma e sette laghi”.
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