Archivio Storico 2011-2017

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Un giorno, felice, a Testaccio

06 Dicembre 2014

più che un ristorante, un’istituzione

Quando una foodie (o presunta tale) vuol festeggiare una ricorrenza importante, sceglie un ristorante di un certo spessore. Molti miei “colleghi” amano approfittare di queste occasioni per sperimentare lo stellato di turno, il locale dove altrimenti non andresti, perché solo a sederti già ti sfilano 100 euro. E poi c'è il resto...

Io, che mi son sempre considerata una foodie atipica, con le mie cocenti passioni per Nutella e fast food, anche in questo caso faccio una scelta alternativa e prenoto, il giovedì mattina, per il pranzo del sabato, un tavolo per due da Felice a Testaccio, notissimo ristorante romano. Per darvi l'idea del volume di affari di Felice vi basterà sapere che ho trovato posto solamente nel secondo turno, quello delle 14:45...

E' che la crisi, l'Italia che si impoverisce, la disoccupazione galoppante e tutto il resto a Felice "je fanno un baffo". Felice è strapieno sempre, con persone di tutte le età e di tutte le razze, gruppi di turisti, appassionati della buona cucina e foodie come me (o presunti tali).

Da Felice la cucina è esclusivamente romana. Tutti, e dico proprio tutti, i migliori piatti della nostra tradizione trovano qui un tempio in cui poter essere onorati, venerati e… degustati. Che si tratti di amatriciana, di gricia, di abbacchio al forno o di polpette, carciofi fritti o puntarelle, c’è da dire che il re incontrastato di questo tempio (o forse sarebbe meglio dire il Dio) sono i tonnarelli cacio e pepe; vengono da tutta Roma per mangiare questi tonnarelli, che sono il vanto del locale e che sono – effettivamente – i migliori tonnarelli cacio e pepe che io abbia mai mangiato. 

Quando li ordini il cameriere si presenta con un piatto destrutturato, acqua e pepe in basso, tonnarelli sconditi e al dente in mezzo e cacio, tanto cacio (nella fattispecie un mix di pecorino e parmigiano) sopra. Lui arriva e poggia il piatto di lato, prende le tue posate e inizia ad amalgamare il tutto, dal basso verso l’alto, mescolando per bene la pasta, incorporando aria (che aiuta a creare la cremina) e continua così per un minuto buono. Poi con gesti sicuri pulisce il bordo, sposta il piatto, te lo piazza davanti e sorride nel vederti con la mascella ad altezza petto, il rigolo di bava che cola lateralmente e gli occhi sgranati sui tonnarelli. Dodici euro, per qualche minuto di pura estasi, un piacere che parte dagli occhi, si sofferma nelle narici e poi guizza veloce  verso il palato, tra la consistenza adorabile del tonnarello e la cremosità del cacio, con un pepe mai troppo presente e un risultato finale che non delude mai. 

Quel che invece mi risulta un po’ difficile da comprendere sono i prezzi delle altre portate. Prendiamo i secondi, per esempio, due piatti come le cotolette di abbacchio panate con zucchine fritte e le polpette al sugo arrivano a costare 31 euro in totale, forse un po’ troppo per un piatto di macinato (manco fosse scottona irlandese) al pomodoro e qualche cotoletta panata. Dalla sua Felice ha che ogni piatto è un successo, non sbaglia un colpo, non liscia un’uscita in sala, se vuoi far bella figura porta i tuoi ospiti da Felice e vedrai che – dal primo al dolce (qui non sono previsti antipasti) tutto sarà perfetto. I dolci, appunto, sette euro uno per l’altro (anche qui il prezzo non è un punto a favore) ma uno dei tiramisù rivisitati (con frolla al posto dei savoiardi) più buoni di sempre e crostate con frolle delicate e non burrose, semifreddi alle mandorle che non ti fanno smettere di mugolare, come a dire “paghi ma godi”. Credo che sintetizzare l’esperienza da Felice sia facile se si pensa a un incontro di amore. La solidità dell’innamorato, con le certezze che ti dà, l’estasi del gusto e la sicurezza che ogni volta sarà un successo, che ogni incontro lo ricorderai a lungo.

 

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