La fontina, uno dei formaggi più antichi della tradizione casearia italiana dato che i primi documenti che ne parlano risalgono al 1200, ha visto la sua eccellenza riconosciuta anche fuori dai confini nazionali tanto che il Wall Street Journal l’ha inserita fra i 26 formaggi migliori al mondo. Da ambasciatrice della sua terra d’origine la fontina è abituata all’apprezzamento da parte degli stranieri visto che è il prodotto più esportato della Valle d’Aosta.

La filiera produttiva che sta dietro la produzione di questo formaggio è molto precisa e rigorosa già a partire dalle mucche. Infatti la fontina è l’unico formaggio Dop italiano per cui è richiesto l’allevamento di un’unica razza bovina che peraltro è originaria del luogo di produzione. Valdostana pezzata rossa, pezzata nera e castana sono alimentate con foraggio verde nel periodo estivo e con fieno locale nel resto dell’anno. Questa razza ha la particolarità di essere molto rustica e riesce a utilizzare bene erba e foraggio ma di contro produce un quantitativo molto limitato di latte. Per ogni mungitura si raccoglie una media di 7-8 litri, quindi ogni vacca non va oltre i 15 litri al giorno (la metà della produzione di una frisona).

Il latte di una sola mungitura, appena munto (la lavorazione deve iniziare entro 2 ore dalla mungitura) viene trasferito in caldaia per essere scaldato a 36°C . La caseificazione inizia con l’aggiunta del caglio che provoca la coagulazione del latte e la seguente separazione del siero. Al momento giusto il casaro inizia a rompere il caglio per ridurlo alle dimensione medie di un chicco di riso. Si porta la massa fino a 48°C continuando a mescolare e dopo circa 2 ore dall’inizio della lavorazione, il casaro raccoglie la cagliata con un telo a trama grossa e depone il “fagotto” in una fascera che conferisce alla fontina la tipica forma di cilindrica appiattita con facce piane e scalzo concavo. Una volta messa nello stampo la pasta subirà la pressatura per favorire il drenaggio del siero. Le forme rimangono sotto pressa per una decina di ore nel corso delle quali vengono rivoltate più volte. In occasione dell’ultimo rivoltamento viene impresso su una faccia, per mezzo di un calco, il numero di identificazione del produttore. Questo, insieme al numero riportato sullo scalzo, permette di ripercorrere la filiera produttiva di ogni forma. È una lavorazione molto delicata che non raggiunge mai temperature elevate (la fontina è un formaggio a pasta semicotta) e quindi preserva le caratteristiche del latte iniziale. Ne deriva un formaggio dai gusti delicati mai troppo forti che evolvono nel corso della stagionatura.

La stagionatura della fontina dura un minimo di 80 giorni in grotte scavate nella roccia dove l’umidità relativa raggiunge quasi il 100% e la temperatura rimane costantemente intorno ai 10 °C. La cooperativa (che raggruppa oltre 200 fra allevatori-conferitori e casari) gestisce i magazzini di stagionatura in cui si verificano le condizioni ideali per la formazione della crosta e la stagionatura della pasta. La più grande è a Valpelline ed è ricavata all’interno di un’ex miniera di rame che è stata sfruttata fino al 1946 quando sono stati convertiti in magazzino di stagionatura i primi 400 metri della galleria santa barbara. All’interno scorre un ruscello di acqua che nasce dalla montagna e che è molto importante perché mantiene il tasso di umidità elevato. A parte il magazzino di Valpelline, la cooperativa ha altri 5 magazzini di stagionatura che sono ricavati in grotte naturali o in bunker militari utilizzati nella II Guerra Mondiale. Nei luoghi di stagionatura le forme sono poste su assi di abete rosso e vengono sottoposte ogni giorno a salatura e spazzolatura. Questa tecnica conferisce sapore e morbidezza al formaggio e previene l’insorgere delle muffe. Il sale è distribuito manualmente su ogni forma mentre la spazzolatura può essere fatta a mano o con una macchina semiautomatica. Questi passaggi vengono fatti ogni giorno per un minimo di 80 giorni, dopodiché, a stagionatura conclusa, e dopo severi controlli, si procede alla marchiatura. Con questo metodo si producono, ogni anno circa 400mila forme 80mila delle quali provenienti da caseifici d’alpeggio. Le forme scartate diventano “formaggio valdostano” e vengono vendute a livello locale.

Il piatto principe a base di fontina è la fonduta dove il formaggio la fa da padrone per una crema in cui intingere carne, polenta o verdure cotte. Esiste una versione lusso della fonduta dove viene rifinita con una cascata di lamelle di tartufo. Altri piatto-emblema della Valle d’Aosta a base di fontina sono gli gnocchi alla bava, la polenta concia, le crespelle con i funghi e la seupa à la Vapelenentse. Tipica di Valpelline, questa zuppa ha come ingredienti principali la fontina, il brodo di carne e il pane raffermo. Il formaggio e il pane vanno tagliati a fette e disposti uno sull’altro, bagnati col brodo, coperti di burro fuso e con una spolverata di cannella e successivamente messe a cuocere in forno.

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Alessandra Iannello giornalista dal 1987 quando inizia a scrivere di informatica e di nuove tecnologie. Nell’ambito della Casa Editrice Tecniche Nuove passa poi all’ambito tessile, accessori e moda. In breve tempo arriva a collaborare con i quotidiani economico-finanziari come MilanoFinanzaFashion, Affari & Finanza, Finanza e Mercati, Libero Mercato dove si occupa di economia del mondo della moda e del lusso. Nel frattempo è collaboratore fisso della pagina di Costume e Società del quotidiano Libero. Oggi è corrispondente per l’area Macro de Il Messaggero e Il Mattino, direttore responsabile del quotidiano della comunicazione Pubblico On Line e del giornale online Ianny’s Eyes. Inoltre è contributor per Agrodolce, ilmessaggero.it, responsabile per l’area food di Manintown (cartaceo e online). Ianny’s Eyes è il suo giornale online che vanta una pagina Facebook seguita da 3.300 follower, un profilo Instagram con un seguito di 2.550 fan e un profilo Twitter con 600 follower.