In Svezia siamo finalmente entrati nella stagione del semla, il dolce tipico prequaresimale: una sorta di panino dolce, nella versione classica odierna aromatizzato al cardamomo e ripieno di pasta di mandorle e panna montata. Io – che non amo particolarmente i dolci – vi assicuro che è una delizia.

 

Il nome semla deriva dal latino simila che indicava la farina di grano tenero, ben più preziosa di quella di farro (da cui il nostro termine farina), cerale maggiormente diffuso nella civiltà romana. Il semla è anche chiamato fastlagsbulle (=dolce della quaresima) o, appunto, fettisdagsbulle (dolce del Martedì Grasso). In alcune zone della Svezia è ancora diffuso il termine hetvägg (dal tedesco Heißwecke= zeppe calde) per indicare il semla servito nel latte caldo, nella sua prima versione risalente al XVIII secolo o forse, ancor prima, a ricordo delle fette di pane nero inzuppate nel latte, che dovevano costituire presumibilmente una versione di dolce più economica e accessibile alle masse. Personalmente mi sono chiesta perché proprio il termine zeppe e il pensiero è andato alla forma irregolare dei tozzi di pane tagliati alla buona e poi tuffati nel latte, a colazioni di altri tempi e ad altre vite… Con un volo pindarico sono arrivata alle nostre zeppole e alla loro etimologia controversa: dolci diversissimi e lontani geograficamente, anche se poi in fondo è vero che tutto il mondo è paese. Ad ogni modo, il semla prevede un triangolino di pasta brioche appoggiato a mo’ di cappello sulla panna montata, che ricorda effettivamente nella forma un piccolo cuneo… così, tanto per dire.

 

Si parla esplicitamente di semla già nella prima metà del XVI secolo, nella bibbia di re Gustavo I di Svezia. All’inizio confinato alla cerchia nobiliare e alle classi più abbienti, il semla era un paninetto bianco semplice, senza ripieno, servito come già detto nel latte caldo alla fine di un pasto di sette portate. Successivamente fu addolcito con miele e via via arricchito e affinato. Il ripieno di pasta di mandorle risale al XIX secolo e l’aggiunta di panna montata solo agli anni Trenta del XX. Oggi è decisamente più comune gustarsi un semla accompagnato a un buon caffè che inzuppato nel latte caldo.

 

All’inizio il semla costituiva un lusso che ci si concedeva volentieri il Martedì Grasso, l’ultimo giorno prima delle privazioni quaresimali. Si narra che il re Adolfo Federico di Svezia fosse morto nel 1771 per averne mangiati addirittura quattordici!  Pian piano il consumo si estese a tutti i martedì di quaresima e forse, proprio per mettere un freno, negli anni Cinquanta del secolo scorso, entrò in vigore una legge che vietava alle pasticcerie di produrre semla troppo in anticipo sulla stagione, pena una multa salatissima. Oggi il semla appare nei negozi già da subito dopo Natale e fino a Pasqua. Solo il Martedì Grasso se ne consumano circa sei milioni!

 

Benché sette svedesi su dieci preferiscono il semla nella sua versione classica, le varianti sono ormai tantissime, alcune decisamente bizzarre: a parte quelle diffuse nel resto dei paesi scandinavi e nelle regioni limitrofe, nella stessa Svezia e in particolare nella capitale, la settimana corrispondente al nostro carnevale, i pasticceri danno libero sfogo alla fantasia e si sfidano alla continua ricerca di forme, colori, consistenze e ripieni originali: versioni morbide, biscottate, a forma di involtino, fritte, dolci, salate e perfino miste. Il semla che più mi ha stupito è decisamente il Rossini, con ripieno classico di pasta di mandorle, mousse di paté di fegato e scaglie di tartufo nero. Ecco, io perdono tutto ma a volte – lo ammetto – avverto una certa resistenza…

M. Cristina Di Nicola, attrice e traduttrice, nasce a Teramo e vive a Roma ma ama la neve, il freddo e le aurore boreali, quindi un giorno chissà?  Appena può viaggia e se non può cammina – preferibilmente il mattino presto – in montagna, nei parchi, in città, ovunque!  Non ha mai smesso di stupirsi del mondo e prova a fermare la sua meraviglia con la macchina fotografica o con la penna. Golosa e curiosa, ha il culto del cibo, come elemento conviviale, culturale ma anche di puro divertimento.