di Tatiana Martino

Il nome scientifico, Ruta graveolens L., ne sottolinea il “cattivo odore” dal latino graveolens (puzzolente, nel senso di “odore grave”) a comprova Mirsilo di Metimna racconta che quando Medea, navigando al largo di Lesbo, gettò in acqua un filtro composto da ruta contro le donne dell’isola le poverette finirono per puzzare orribilmente al punto che nessun uomo ardì più di avvicinarle.
Eppure in profumeria si usa l’estratto delle foglie per potenziare il profumo da creare e potenziarlo.
Chissà quale odoraccio avrà voluto rendere più “persistente”!
Ed è probabilmente con della ruta che Medea ingannò il serpente: era stato osservato che la pianta veniva mangiata dalle donnole prima di andare a caccia di serpenti. La ruta selvatica (Peganum harmala L.) puzza effettivamente, tanto da riuscire a tenere lontani topi e vipere.

Divenne, per tal motivo, uno dei principali ingredienti dell’antiveleno, composto da semi di ruta e vino, molto usato dai Greci e dai Romani quando temevano un avvelenamento da parte di chi si voleva liberare di un nemico, di un concorrente, di un marito o di una moglie.
Ma anche Ippocrate, Teofrasto, Plinio, Columella, Varrone e persino il grande affabulatore Cicerone ricordano i pregi di tale pianta.

Infine, portarne dietro i fiori e rami, è un gesto scaramantico noto fin dall’antichità anche ai Romani che le avevano designato un posto d’onore tra i tintinnabula della cimaruta, noto amuleto che teneva lontano le streghe, pure essendo pianta sacra a Ecate.

A partire dal Medioevo, invece, artisti, scultori ed artigiani ne usavano il decotto, oppure una soluzione leggera, per rafforzare la vista facendo dei lavaggi oftalmici. 

La Scuola Medica Salernitana così affermava:

“Giova la ruta agli occhi, fa la vista assai acuta, e scaccia la caligine”.

Un po’ più tardi, le guaritrici passate alla storia come streghe, come la Pincinella, conosciuta come la Stria de Nae (di Nave, nei dintorni di Brescia), usava la ruta per far guarire dai malefici, recitando la formula

“Stante in zenocchioni, la prendeva un poco di ruta et diceva:

Dio ve salvi Madona ruta da parte de Jesù Christo;

ve saludo da parte de Jesù Cristo e san Zulian e ve prego de

quella gratia che v’ho domandato.

Et fatto altre oration, e diceva tre pater nostri alla ruta”.

 

Da quelle parti, la ruta, è ancora chiamata “Zulian”. Nel Sud Italia, i contadini erano soliti infiocchettare di rosso un vaso di ruta e porlo sul davanzale della finestra contro il malocchio. La sua reputazione era quella di liberare da spiriti maligni e dal diavolo. Le neo-mamme ne appendevano mazzetti al collo dei neonati per preservarli dal malocchio. Le ragazze in età da marito che volevano avere in sogno la visione del futuro marito, mettevano un rametto di ruta sul guanciale. Gli sposi novelli erano soliti tenerne un mazzetto in tasca per preservarsi dalle invidie o dalle fatture (specie quelle fatte sul “gradino della chiesa” o nell’acqua santa) nel giorno del matrimonio.

Se ne faceva annusare un ramoscello con un respiro profondo per combattere “i vermi” (parassiti intestinali), oppure allo stesso scopo se ne usavano le parti verdi cotte nell’olio e ingerite.
E’ noto il detto “a rut’onn’mal’ stuta“, la ruta spegne ogni male, che fa di lei una panacea medica e spirituale.

Nell’uso popolare, non è solo usata come spezia ma le vengono riconosciute anche proprietà moderatrici dei fattori negativi dall’ingestione di alcol; di qui l’uso di infonderla in liquoreria specialmente in acqueviti e grappe.
Il modo più conosciuto per aromatizzare la grappa “giovane”, prevede l’uso di tre rametti di ruta graveolens, di cui si useranno fusto e rametti messi ad infondere in un litro di grappa.
I rametti, raccolti a fioritura avvenuta, vengono messi a macerare nella grappa avendo cura di agitarla di tanto intanto.
Il tempo di macerazione è stimato di circa un mese e dovrà avvenire a temperatura ambiente, quando l’infuso raggiunge un colore verde pallido, tendente al giallo è pronta.

Ha proprietà digestive, come notava già Santa Ildegarda e un gusto caldo e secco, come già nel XVI, sottolineava il medico Castore Durante nel suo Herbario Novo.

Si raccomanda per le dosi e i modi di uso di far riferimento sempre a un erborista di fiducia e di tener presente che la ruta non va mai maneggiata senza guanti per il potere urticante di alcune parti e che in dosaggi sbagliati è velenosa.

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