Spesso lo diamo per scontato. Lo annusiamo con aria critica, pronti a incolparlo di ogni difetto possa presentarsi nel vino. Altrettanto spesso sappiamo ben poco di lui.
Sto parlando del sughero, quel meraviglioso materiale naturale che preserva e protegge i nostri preziosi vini. Un materiale che, in Portogallo, viene usato in mille modi. Come coibentante o rivestimento per le pareti, ma anche come fibra per confezionare borse e altri oggetti.
Il sughero è la corteccia esterna, ignifuga e idrorepellente, della quercia da sughero, l’unico albero che può essere privato della corteccia senza morire.
Per avere un’idea di quanto il sughero sia prezioso, basta ricordare che una quercia deve avere minimo 25 anni affinché si possa prelevare la corteccia per la prima volta, e il sughero ricavato è destinato alla bioedilizia, ad essere macinato e a creare oggetti ornamentali.
Dovranno passare 50 anni perché il sughero sia di buona qualità, adatto a diventare tappo per grandi vini. Dovranno poi trascorrere almeno 9 anni prima che sia possibile prelevare nuovamente il sughero dalla stessa pianta.
L’operazione non è semplice, perché, se non si è esperti, si potrebbe intaccare la parte sottostante del tronco, e provocare la morte della pianta.
Una volta esportata, la corteccia viene essiccata per circa 6 mesi poi bollita per ridurne le impurità e sterilizzarla.
Il Portogallo è il primo produttore mondiale di sughero e fornice attorno al 53% della produzione globale. L’Alentejo è la regione portoghese nella quale vengono allevati la maggior parte delle querce da sughero, circa il 70% della produzione nazionale. Questo fa dell’Alentejo un territorio speciale, per biodiversità e conservazione dell’ambiente.
Pensateci, quando, la prossima volta, annuserete un tappo…
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Il sughero è la corteccia esterna, ignifuga e idrorepellente, della quercia da sughero, l’unico albero che può essere privato della corteccia senza morire.
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Da quando mi sono trasferita in Portogallo ogni giorno è una scoperta, o meglio, una riscoperta, di riti, usanze, saperi contadini a volte banali e semplici, ma efficacemente evocativi di un universo che, in Italia, se non proprio scomparso, si è fortemente ristretto e ripiegato su se stesso.