Che il titolo non vi tragga in inganno: se siete in Svezia e pensate di andare al ristorante a Natale, accomodarvi a tavola ed essere serviti scordatevelo. A tavola si accomodano solo le pietanze – tante, troppe! – e voi lo farete solo quando avrete riempito il piatto, ma poi vi rialzerete, ancora e ancora, in un moto perpetuo, finché non avrete assaggiato tutto e, credetemi, non sarà facile.

Lo Julbord in Svezia, Julebord in Norvegia, Julefrukost in Danimarca e Joulupöytä in Finlandia è la tradizionale tavola di Natale che si imbandisce di ogni ben di Dio.   Si fa in casa ma anche – sempre più spesso – al ristorante, con la famiglia, con gli amici o – molto in voga – coi colleghi d’ufficio invitati dal capo.

Le origini di questa tradizione nordica risalgono senz’altro allo Yule, la festa sacrificale pagana del solstizio d’inverno, quando i Vichinghi banchettavano con abbondanti pietanze per celebrare la fine del buio. Il cristianesimo mantenne il banchetto a base di pietanze diverse in tempo d’Avvento e trasformò i sacrifici nel divieto di mangiare carne prima di Natale. Un po’ alla volta, la tradizionale tavola di antipasti che accompagnava l’acquavite prima del pranzo vero e proprio, col migliorare delle tecniche di conservazione del cibo, si arricchì al punto da diventare il pasto principale. Ed è a New York, in occasione dell’Esposizione Mondiale del 1939, che il buffet tradizionale svedese viene presentato per la prima volta al resto del mondo. Oggi come ieri, gli svedesi non ci rinuncerebbero mai, ucciderebbero per avere il privilegio di fare la fila col vassoio in mano e sbirciare tra i vari scaldavivande mischiando l’impossibile nello stesso piatto.

Con lo Julbord non si fa altro che assistere all’apoteosi del buffet. Si comincia a ottobre quando le famiglie scelgono il ristorante preferito, consultano le due, massimo tre date di dicembre in cui il ristorante offre lo Julbord, ne scelgono faticosamente una che vada bene a tutti e due mesi dopo si incontrano lì per il grande evento. Nessun vassoio quel giorno, naturalmente: le pietanze sono disposte con eleganza e attenzione per il dettaglio; piatti impilati e immacolati al lato. Forme, colori e simmetria ammaliano. Perfino io, con la mia scorza dura di buongustaia scettica, resto imbambolata davanti a tanta grazia poi, come in stato di trance, prendo un piatto e mi servo, sedotta, felice e contenta.

Si comincia con un bicchierino di glögg, sorta di vin brûlé, tanto per aprire lo stomaco. La prima sfida, una volta bevuto il glögg, è riuscire a mangiare le mandorle e l’uvetta sul fondo del bicchiere senza usare le dita… Ma questa è un’altra storia. Superato il primo livello di gioco, ci si avventura tra le pietanze divise in sezioni: piatti freddi, di carne e di pesce, contorni, piatti caldi, formaggi, dolci e caffè. Naturalmente, le pietanze variano a seconda delle contee e delle mode. Alcune sarebbero decisamente azzardate per un ristorante e penso ad esempio al Dopp i grytan (tuffo in pentola), un brodo in cui sono state cotte tutte le parti possibili immaginabili del maiale in cui si tuffa – appunto – del pane raffermo, oppure al Surströmming (aringhe acide), aringhe del Baltico fermentate il cui odore è così forte – per usare un eufemismo – che sarebbe impensabile servirle in un luogo chiuso. Ci sono però gli evergreen, come la Kalvsylta (aspic di carne di vitello) e lo Julskinka (prosciutto di Natale), aromatizzato con diverse spezie, tra cui la cannella, che spiccano tra i vari paté e gli affettati di carne o come la Janssons Frestelse (tentazione di Jansson), un gratin di patate, cipolle e papalina leggermente tendente al dolce che non manca mai tra i piatti caldi di pesce. E naturalmente ci sono le aringhe, di ogni genere, il salmone fresco, al vapore, affumicato a caldo, a freddo, marinato, lo stoccafisso, lo sgombro, le polpettine e i salsicciotti realizzati con impasti e spezie diverse, spesso – tenetevi forte! – le stesse usate per fare i Pepparkakor (biscotti di pepe), i tipici biscotti di zenzero che ormai tutti conosciamo. Tra le salse e i contorni senapi varie, gelatine, patate lesse o a insalata, cavolo riccio, cetrioli, barbabietole. Tra i dolci più tipici il Risgrynsgröt (porridge di riso), la Ostkaka (torta al formaggio), una specie di cheesecake morbida e calda, e i tartufini di cioccolato. Tra le bevande, oltre alle classiche birra e acquavite, non si può non assaggiare lo Julmust (mosto di Natale), una bevanda simile alla Coca-Cola, la cui ricetta, proprio come quella della parente americana, contiene un ingrediente segreto. E a giudicare dai 45 milioni di litri di Julmust consumati dagli svedesi ogni anno nel solo mese di dicembre, non credo sia azzardato affermare che crei dipendenza. Comunque la pensiate, quale migliore alleato per affrontare il processo digestivo a fine banchetto? E allora, signore e signori, che Julmust sia!

Photo: Carl Larsson “Julbord” 1904.

M. Cristina Di Nicola, attrice e traduttrice, nasce a Teramo e vive a Roma ma ama la neve, il freddo e le aurore boreali, quindi un giorno chissà?  Appena può viaggia e se non può cammina – preferibilmente il mattino presto – in montagna, nei parchi, in città, ovunque!  Non ha mai smesso di stupirsi del mondo e prova a fermare la sua meraviglia con la macchina fotografica o con la penna. Golosa e curiosa, ha il culto del cibo, come elemento conviviale, culturale ma anche di puro divertimento.