Carissime amiche e amici del Cavolo Verde, eccomi. Era un po’ che non scrivevo, e questo per svariate ragioni. Tra queste l’essere stato parecchio in giro, anche fuori Europa, e non sarebbe stato facile trovare tempo e calma per raccontarvi cose e fatti di cultura alimentare o di prodotti edibili con annessi e connessi. Ma ora parte la fase autunnale e invernale che diviene propedeutica alla scrittura viste le temperature esterne qui a Vienna e le molte ore di conseguenza passate in casa a studiare, leggere e cercar di capire il mondo del vivente vegetale e magari raccontarvelo.
Bene iniziamo con una particolarità che molti di voi sanno di me: amo sgambare per chilometri in natura, da solo o con mia moglie, e amo, ogni qual volta sia possibile, anche approfittare dei regali edibili che la natura, per chi la conosce abbastanza a fondo, a volte dona a noi Sapiens cercatori.
Per dirla dotta chiamiamo questa pratica per nome: alimurgia, la scienza che riconosce l’utilità di cibarsi di piante o frutti selvatici sapendoli riconoscere.
Per far questo non fidatevi mai di vostro “cuggino” che avrebbe saputo dal simpatico Gino, che è amico del buon Carlo, che quest’erba o frutto o fungo fatto così e cosà sarebbe squisito da mettere in pentola. Spesso la lezione da bar, post raccolto e post mangiata, si risolve con lunghe sedute in bagno o peggio con gravi intossicazioni. Per raccogliere in natura dovete avere riferimenti certi, fare corsi proposti e organizzati da pregiate Istituzioni esperte in fattori edafici e botanici e infine studiare. Sì, proprio quella cosa che si deve fare perdendo tempo su libri o ore di lezione. Poi, ma solo poi, uscendo in foresta con esperti per la pratica, per mettere mano, naso e occhi tra le erbe e frutti.
Fatta questa doverosa e puntigliosa premessa oggi iniziamo dai frutti, in particolare da alcuni frutti che da millenni utilizzano amici animali e umani per replicarsi, per riprodursi, per diffondere i propri frutti dell’amore vegetale e che si trovano spesso su piante spontanee, nate qua e là.
Mirtilli, lamponi, fragoline di bosco, pere e mele di strane cultivar abbandonate e leggermente rinselvatichite. Tutte cose buone di cui approfittare quando si possibile.
Una delle mie bacche preferite e ricercate è il frutto del corniolo; una bacca rossa detta corniola, frutto di una pianta dal nome strano: il Cornus mas. Quando la bacca diviene rosso scuro e al tatto risulta morbida è pronta per essere mangiata. Prima di questa condizione di maturità risulta acidissima e amarissima. Bisogna essere abituati per assaggiarla e poi, magari, per gioco tenere in bocca il seme per ore giocandoci come fosse una gomma da masticare dalla durezza di un sasso. Infatti, il legno del Cornus era il legno con cui si facevano gli archi da caccia. Durissimo e resistentissimo, dalla elasticità e forza di lancio incredibile.
Ma tornando al frutto quando lo si mangia si avverte subito che la proporzione tra seme e polpa è quasi sempre a favore del seme e la stessa cosa accade per le olive, ad esempio, o per le ciliegie selvatiche. Ma quel seme che ci rimane in bocca dopo aver gustato la polpa dolce che la pianta ci ha regalato è la parte più preziosa del regalo selvatico che la pianta da frutto ci ha fatto. Quel seme in natura si è evoluto grazie ad una collaborazione strettissima e millenaria con gli uccelli che ha permesso ai semi, dopo che gli uccelli ne avevano gustato il frutto, di viaggiare con i volatili nei loro intestini per chilometri allontanandosi dalla pianta madre ed evitare così incesti vegetali che non favorirebbero lo sviluppo di una sana biodiversità. Tanto che il ciliegio nel suo nome scientifico fa Prunus Avium, e quell’avium la dice tutta.
Detto questo la logica conseguenza dice che anche noi umani, disperdendo i semi in natura, sputandoli qua e là, possiamo dare una mano alla diffusione di quei frutti. Pensandoci meglio farlo lontano dalla pianta madre, se possibile. Pensiamoci quando pilucchiamo nel bosco frutti da piante trovate con sorpresa e contentezza dell’assaggio.
Nel caso invece di frutti piccoli e dai semi quasi invisibili – fragoline, lamponi, mirtilli ecc.- posso consigliare una tecnica diffusa tra amici viaggiatori a tempo indeterminato che è altamente ecologica e amica delle piante e della diffusione dei loro preziosi semi. Vi metto un link esplicativo a fine articolo. Ma nel caso di un frutto notissimo e che nella sua diffusione e vita millenaria è stato aiutato molto da animali che ne hanno diffuso i semi (e sto parlando dell’avocado), chi si è ingoiato il semino- si fa per dire- e poi lo ha spedito nel terreno dall’unica via d’uscita possibile? Curiosi? Ne parleremo la prossima volta di questi amici- animali- che nella loro vita dovevano avere… un gran c.… o.
Fausto Delegá
da Vienna.
(https://youtu.be/aOzC8_EuAWc Ecco il link che chiarisce il mio consiglio ecologista)
Photo Credits: Photo by Mario Mendez on Unsplash
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