È facile dire: “finocchio”! Eppure un abitante dell’antica Grecia o dell’antica Roma, usando questa parola avrebbero inteso qualcosa di diverso da ciò che intendiamo noi. La specie “Foeniculum vulgare” infatti ha due varietà, quella selvatica – una pianta spontanea del mediterraneo con un fusto che può arrivare all’altezza di due metri – e quella di produzione orticola, che ha iniziato ad essere coltivata attorno al 1500 e che spesso viene indicata dall’aggettivo “dolce”. Il nome latino “Foeniculum” deriva chiaramente dal latino “foenum” (fieno), probabilmente perché le foglie della pianta del finocchio selvatico, per la loro forma, ricordano il fieno. Mentre il “finocchio dolce”, cioè quello coltivato, è diffusissimo e facile da reperire, il finocchio selvatico ha una diffusione limitata quasi esclusivamente alle regioni del mediterraneo in cui la pianta cresce spontaneamente.
Come spesso accade per le piante e i frutti che hanno origine nel mediterraneo, anche per il finocchio è possibile trovare numerosi riferimenti sia nella mitologia che nella letteratura antica. Addirittura in alcune versioni del mito di Prometeo il finocchio gioca un ruolo importante nel momento fondativo della civiltà, per il suo legame con la diffusione del fuoco.
Come si sa Prometeo è l’eroe cui Zeus affida il compito di forgiare gli uomini a partire dal fango. Da questo legame originario nasce l’amicizia protettiva di questo eroe per gli esseri umani. È lui infatti che successivamente riuscirà a dotare gli esseri umani di intelligenza e memoria. La sua figura è ancora oggi un simbolo di ribellione e di sfida all’autorità ed anche una metafora dell’aspirazione ad un sapere libero dai vincoli del mito e della superstizione, per un progresso che elevi la condizione degli umani. Questa immagine è legata in gran parte alla leggenda del “furto” del fuoco.
Se il padre degli dei Zeus cominciava a ritenere gli umani troppo pericolosi e troppo poco rispettosi della sua autorità, Prometeo, forse per quel ruolo originario di artefice materiale della loro venuta al mondo, garantisce agli umani la sua protezione. Prometeo avrà addirittura la sfrontatezza, durante un banchetto, al momento di distribuire il cibo agli invitati – sia uomini che dei – di ingannare gli dei, facendo in modo che essi scegliessero di mangiare solo gli scarti e le ossa rimanenti da alcuni tagli di carne, così da permettere agli uomini di poter gustare le carni e i cibi più gustosi. L’irritazione di Zeus sfocerà nella decisione di punire gli uomini e la loro sfrontatezza privandoli del fuoco, con l’idea quindi di ricacciarli ad un livello di civiltà primitivo.
Prometeo, che considerava gli umani le sue creature, con l’astuzia e l’audacia che gli erano propri, riuscì a rubare una scintilla dall’Olimpo e – nascondendola nella cavità di un gambo di finocchio! -riuscì a farla uscire dalla “casa degli dei” restituendo agli umani il fuoco. Il finocchio sarebbe dunque addirittura all’origine dell’accesso al fuoco e quindi della possibilità di cucinare i cibi, che come sappiamo costituisce un momento essenziale della civilizzazione umana.
Al finocchio è addirittura legata la memoria eroica della madre di tutte le battaglie, la battaglia di Maratona: finocchio in greco si traduce con “máratho” (“μάραθο”) ed il nome Maratona indica una pianura ricca di finocchi. Forse è la memoria di questa battaglia che ha fatto crescere la credenza che il finocchio sia un simbolo di virilità guerriera. Anche se nell’antichità il finocchio non era l’alimento che noi conosciamo adesso, ma era piuttosto considerato un condimento aromatico e una erba con proprietà medicinali ed i suoi “semi” – che in realtà sono il frutto della pianta – venivano mangiati per le loro qualità rigeneranti e rinfrescanti. Addirittura sappiamo che se ne nutrivano in abbondanza i gladiatori prima di entrare nell’arena.
Dunque nel finocchio gli antichi vedevano un principio attivo di forza, ma anche di fertilità e addirittura di sensuale sfrenatezza e sregolatezza. Nella sua “Storia naturale” Plinio esalta il potere afrodisiaco del finocchio, assunto attraverso vari infusi concentrati. Questa idea è forse legata al fatto che il fiore giallo e profumato della pianta di finocchio era sacro per Adone, figlio ed amante di Venere. Amatissimo per la sua bellezza e sensualità dalle donne, ma anche dagli uomini, Adone è il portatore di una bellezza ambigua ed avvolgente ed a lui erano dedicati i “giardini di Adone”. Si trattava di vasi in cui si seminavano grano, orzo, lattuga e finocchio: una rappresentazione della natura e della sua forza vitale in miniatura, che in primavera esplode in tutto il suo colorato vigore.
L’associazione del finocchio alla sfrenatezza sessuale è probabilmente legata alla descrizione delle licenziose feste di Dionisio, il dio di tutte le ebbrezze, in cui i sacerdoti del piacere dionisiaco si decoravano la testa con corone fatte di finocchio. La Scuola Medica Salernitana, che è stata la prima e più importante istituzione medica d’Europa nel medioevo (IX secolo) insegna che il seme del finocchio, bevuto col vino, ecciti i “piaceri di Venere” e abbia la forza di risvegliare negli anziani il vigore giovanile (“Semen cum vino sumptum veneris moves actus, atque senes eius gustu juvenescere dicunt”).
Mitologia, credenze popolari, superstizioni, saperi naturalistici: tutto concorre ad una ricchissima simbologia che partendo dal Mediterraneo ha diffuso in tutta Europa – e poi in tutto il mondo – l’aroma inebriante e sensuale del finocchio.
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